Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

SETTEMBRE 2019

Nascita di una fotografia

Il sole tramonta dietro il gruppo delle Levanne (Valle dell’Orco, Piemonte)

Ottobre 2012.
Il clima era ancora mite, nonostante la stagione autunnale.
Claudia ed io non amiamo dormire con le finestre oscurate: a casa nostra le tapparelle potrebbero anche non esistere.
Quel sabato mattina ci svegliammo presto: il sole inondava la camera e faceva venire voglia di uscire.
Aspettammo che anche Federico si svegliasse e partimmo.
Come spesso accade, lasciammo al caso la scelta di una destinazione.
Poco prima di imboccare la tangenziale, vidi una lama di sole che sembrava indicare la vetta del Gran Paradiso.
Il caso aveva scelto: ci dirigemmo verso la Valle dell’Orco, una delle più selvagge e spettacolari vallate del versante piemontese del Parco.
Non avevamo grandi progetti: giusto una passeggiata intorno al grande lago di Ceresole Reale e un pranzo in un ristorantino senza pretese, dove però si possono gustare specialità locali servite con garbo.
Possedevo la Phase One da poco meno di un anno, ma recentemente aveva avuto un piccolo problema e mi era stata appena restituita dopo la riparazione, comprendente un accurato restyling effettuato presso la casa madre in Danimarca: l’occasione giusta per provarla e testare le prestazioni del dorso digitale nuovo di pacca.
Scattai diverse fotografie al mattino, intorno al lago e sulle rive del ruscello.
Il dorso digitale rispondeva bene e rapidamente, tutto funzionava alla perfezione.
Dopo il pranzo nel ristorante tipico, con ottima cucina e molte mosche, uscimmo di nuovo verso il lago.
La giornata non era più così limpida come al mattino: l’evaporazione dei ghiacciai del Gran Paradiso, scaldati dal sole delle alte quote (ancora rabbioso nonostante la stagione avanzata), aveva favorito la formazione di nuvole inquiete che il vento agitava e stracciava, accumulava e separava, in una danza inesausta e ansiosa che pareva non volersi fermare.
Il sole, nel frattempo, stava per scomparire dietro il gruppo delle Levanne.
Montagne aspre, rocciose e ghiacciate, un nodo orografico contorto e tormentato che unisce e al tempo stesso separa tre diverse vallate: la Valle dell’Orco, la Val Grande di Lanzo e la Val d’Arc (in territorio francese).
Ma le Levanne, viste dal lago, non sembrano così imponenti.
Anzi, le pendici boscose che ne costituiscono i contrafforti meno elevati ne addolciscono il profilo, rendendolo elegante e armonioso.
Le nuvole e il controluce nascondevano le cime rocciose, confondendole nella foschia.
Il sole filtrava attraverso la cortina di vapori creando effetti di luce sempre mutevoli e vivi.
Decisi che la scena valesse una fotografia, ma sapevo anche di essere in completo controluce.
Se avessi esposto in modo da rendere leggibile il paesaggio, il cielo sarebbe apparso completamente bruciato.
Al contrario, se avessi reso leggibile il cielo, i contrafforti boscosi sarebbero risultati fortemente sottoesposti, costringendomi a “tirare su” le ombre in postproduzione e incrementare così il rumore elettronico.
Decisi pertanto di esporre in modo da rendere leggibile il paesaggio terrestre: il sensore avrebbe registrato comunque le informazioni presenti nel cielo, che io avrei poi evidenziato in fase di trattamento.
Non avevo con me il cavalletto (lui viaggia sempre con me, ma l’avevo lasciato nel bagagliaio dell’auto, parcheggiata a duecento metri di distanza, e non avevo il tempo di recuperarlo perché il sole stava per scomparire).
La luminosità non era elevata e il tempo di otturazione rischiava di risultare troppo lungo (so per esperienza che il micromosso può verificarsi a tempi che il dilettante considererebbe supersicuri), per cui decisi di elevare la sensibilità a 200 ISO, un valore più che accettabile per chi lavora con i formati piccoli, ma già abbastanza “pericolosa” su un sensore di 4x5 centimetri da 40 milioni di pixel, la cui sensibilità nativa corrisponde a 50 ISO.
Regolai l’apertura a f/8, un diaframma intermedio capace di garantire i risultati migliori in termini di correzione delle aberrazioni, e controllai il tempo di otturazione: 1/200 di secondo, quasi sicuramente (ma non del tutto, in barba a ciò che si racconta ai principianti) sufficiente a garantire una fotografia nitida, anche lavorando a mano libera.
Come obiettivo, scelsi il normale da 80 millimetri, capace di reggere il controluce più esasperato senza creare riflessi parassiti, flare o immagini fantasma.
Scattai tre fotografie a distanza di alcuni minuti l’una dall’altra.
Con il pennello correttivo saturai il cielo, in modo da far risaltare le nuvole e i raggi del sole: informazioni che il sensore aveva registrato ma che nel file appena aperto non comparivano (evidentemente, avendo calcolato l’esposizione sulle pendici boscose, il cielo risultava quasi bruciato).
Infine, un po’ di luce agli alberi in primo piano, per restituire all’immagine quella profondità e quel contrasto che avevo percepito osservando la scena dal vero.
Avrei potuto eliminare, o comunque ridurre fortemente, l’effetto foschia, ma decisi di non intervenire in quel senso, per lasciare la sensazione della impalpabile nebbiolina che il calore della giornata stava sollevando dal terreno, quasi a proteggere la grande foresta dall’arrivo della sera, nascondendola sotto una coltre di umidità scintillante.

Alla prossima.