Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

NOVEMBRE 2012

Sabato 10 novembre Michele Vacchiano vi aspetta a Torino per un incontro di fotografia notturna.

E’ autunno inoltrato, le giornate si accorciano.
Le gite fuori porta che hanno caratterizzato i weekend estivi si fanno sempre più rare.
Inoltre le ore di luce per fotografare si fanno sempre più corte…
Insomma, siamo entrati in una stagione durante la quale la maggior parte dei fotoamatori ripone nell’armadio la propria attrezzatura, in attesa della primavera.
Ma le macchine fotografiche non sono vegetali e non hanno bisogno del riposo invernale. E nemmeno i fotografi, del resto.
Anzi, proprio in questa stagione di giornate corte e di weekend in città è possibile sperimentare con soddisfazione la fotografia notturna.
Ma come, fotografare al buio?
Sì, certo, e con numerosi vantaggi.
A parte la suggestione delle strade illuminate, dei palazzi e dei monumenti rischiarati dalle luci artificiali, dei riflessi magici creati dall’asfalto bagnato di pioggia, resta il fatto che di notte è possibile isolare i soggetti escludendo quei brutti sfondi che durante il giorno ne disturbano la lettura: il condominio-casermone anni Settanta, la selva dei tralicci dell’alta tensione, il tabellone pubblicitario che ci illustra senza alcuna verecondia le prestazioni di un famoso pannolino per bambini…
Un altro vantaggio è rappresentato dalla possibilità di fotografare la gente senza che nessuno – o quasi – appaia chiaramente riconoscibile: i tempi di otturazione sono talmente lunghi che chiunque si sposti, anche di poco, all’interno dell’inquadratura, verrà reso come una figura sfumata e resa indistinta dal mosso. Sono quelli che in gergo si definiscono “fantasmi” e che risolvono al fotografo i problemi legali rappresentati dal pubblicare immagini in cui compaiono delle persone.
Precauzioni?
Una sola: cavalletto obbligatorio.
Consigli?
Impostate il valore ISO più basso possibile, meglio quello nativo del sensore, allo scopo di evitare il rumore elettronico sempre in agguato nelle zone d’ombra uniforme. Il lungo tempo di otturazione non costituirà un problema, dato che la macchina sarà montata sul cavalletto.
Ah, a proposito, se usate un obiettivo stabilizzato escludete lo stabilizzatore: quando la macchina è sul cavalletto, cioè ferma, lo stabilizzatore rischia di “impazzire” causando (paradossalmente) immagini mosse (non ci credete, eh? Provate, provate…).
Le pose lunghe e il conseguente surriscaldamento del sensore possono provocare un aumento del rumore elettronico. In quasi tutte le reflex è possibile impostare – via menu – la riduzione del rumore con pose lunghe. In pratica, dopo lo scatto la reflex fotografa un “dark frame” che viene sottratto all’immagine appena ripresa. In questo modo è possibile – a fronte di un prolungamento del tempo di elaborazione pari alla durata dell’esposizione – effettuare pose di diversi minuti senza alterazioni evidenti dell’immagine.
Problemi di esposizione?
Quasi nessuno. Gli esposimetri moderni sono perfettamente in grado di bilanciare alte luci e ombre profonde, a patto di scegliere con oculatezza il sistema di misurazione adeguandolo al soggetto; e in ogni caso è sempre possibile correggere l’esposizione in postproduzione (RAW obbligatorio, ça va sans dire).
Meglio sovraesporre che sottoesporre: moderare le alte luci non è un problema, mentre “tirare su” le ombre ci costringe a “tirare su” anche un bel po’ di rumore elettronico.
Anche in questo caso vale la regola dell’ETTR, “expose to the right”, cioè esporre in modo che la curva dell’istogramma appaia spostata verso destra, perché è nella zona delle alte luci che il sensore registra la maggior parte delle informazioni.
Poi, in fase di trattamento, si decrementa l’esposizione, ottenendo così una buona ganmma dinamica unita a una drastica riduzione del rumore elettronico.
E le alte luci bruciate?
Dipende.
Se ad essere bruciata è la facciata di un palazzo allora non va bene: l’esposizione deve essere corretta.
Ma se ad essere bruciate sono le luci dei lampioni… e chissenefrega?
Chi guarda la fotografia è abituato a pensare che la luce di un lampione sia bianca, anzi abbagliante, perché così la percepisce ad occhio nudo e di sicuro non si aspetta di distinguere il filamento della lampadina.
Quindi non facciamoci paranoie se vediamo sull’istogramma la temuta righetta verticale all’estrema destra: se ci sono lampioni o fari è a quelli che si riferisce l’avvertimento delle alte luci!
Ma è possibile fotografare anche fuori città, là dove non ci sono luci artificiali e l’oscurità è quasi totale?
Beh, se l’oscurità è “quasi” totale vuol dire che un po’ di luce c’è ancora, ad esempio la luce della luna, o quella riflessa dalle nuvole. In questo caso è possibilissimo fotografare.
L’unica cosa che non si può fare è fotografare la luna insieme al paesaggio terrestre: la differenza di esposizione è troppo estesa, per cui se si espone per la luna (che – non dimentichiamolo – è un oggetto illuminato dal sole, e perciò richiede esposizioni “diurne”) tutto il resto appare nero, mentre se si espone per il paesaggio terrestre il lungo tempo di otturazione trasformerà la luna in una macchia bruciata e vagamente ovale, una specie di fagiolo luminoso.
Sì, perché (anche se non ce ne accorgiamo) la luna si muove rapidamente nel cielo e bastano cinque secondi di posa per ovalizzarla (oltre che per “bruciarla” rendendone illeggibile la superficie).
Quindi per fotografare la luna e rendere leggibile il paesaggio bisogna ricorrere a una doppia esposizione.
Come si è già detto, la luna è un oggetto illuminato dal sole e se si vuole ottenere una buona immagine, con tanto di mari e crateri leggibili, bisogna esporre come in pieno sole o quasi, dimenticando le indicazioni dell’esposimetro (che sarebbe ingannato dalla grande quantità di cielo nero che circonda il soggetto) e rispolverando la sempre valida regola del 16.
A 100 ISO, il dato di partenza sarà 1/125 di secondo con f/16.
Bisogna tuttavia considerare che in questo modo si otterrà una luna un po’ grigia e poco luminosa, dato che questa è l’esposizione per il grigio medio: funziona se ci troviamo di fronte un paesaggio illuminato dal sole (in cui luci ed ombre concorrono a formare più o meno un grigio medio), ma non un unico oggetto bianco.
Bisogna perciò incrementare l’esposizione di almeno un diaframma o due. La scelta dipende dalla luminosità della luna: in città lo strato d’aria più spesso (oltre all’inquinamento da smog e alla foschia) attenua la luce della luna, che in alta montagna appare invece quasi inguardabile ad occhio nudo a causa della sua brillantezza.
Se l’esposizione è eccessiva la luna appare bianca ma più povera di particolari, quasi indistinguibile dal sole. Quindi è meglio evitare il bianco accecante per leggere qualche dettaglio in più.
Inoltre, se sapremo essere un po’ avari con la luce potremo apprezzare la rotondità della luna, che apparirà sull’immagine finale come una sferetta e non come un disco luminoso.
Quando lavoro (sempre più raramente) in grande formato fotografo la luna su una pellicola piana con un tempo di 1/60 di secondo a f/16 o 22. In questo modo rendo visibili i mari e i crateri, evitando di trasformare la luna in una macchia luminosa indistinguibile dal sole. Poi, con la matita grassa, segno sul volet il punto della lastra in cui è stata fotografata la luna. Il giorno dopo fotografo un paesaggio sulla stessa lastra, curando di scurire il cielo con il filtro polarizzatore, oppure decentrando verso l’alto la piastra portaottica fino a sfiorare il limite del cerchio di copertura. Quello che otterrò sarà la fotografia di un paesaggio diurno con la luna che si staglia in un cielo molto saturo.
In digitale si può ottenere lo stesso effetto, addirittura con maggiore facilità.
Alla prossima.

Gallery

Torino. Stadio olimpico e Palazzo del ghiaccio progettato da Arata Isozaki. L'acqua delle grandi vasche che fronteggiano le due costruzioni amplifica i riflessi e moltiplica la luce, mentre i fari appositamente disposti esaltano la copertura in acciaio inox del Palazzo del ghiaccio. La luna fotografata come un oggetto illuminato dal sole (1/60 di secondo a f/11) ha reso del tutto illeggibile il paesaggio terrestre: le montagne appaiono qui come una nera silhouette. Il bagliore colorato intorno al satellite è dovuto all'umidità presente nell'atmosfera. Torino. Via Po e la chiesa dell'Annunziata durante la manifestazione Luci d'artista. Il lungo tempo di otturazione ha provocato le classiche strisciate delle luci delle auto. La temperatura cromatica tendente al giallo, propria delle lampade al sodio che illuminano la città di notte, non è stata corretta appositamente per lasciare intatta l'atmosfera del luogo.