Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

GIUGNO 2013

Il cancello di luce

Dopo avere (s)parlato, il mese scorso, dei filtri di "protezione", più dannosi che inutili, descriviamo ora un altro filtro molto chiacchierato (e poco conosciuto): il filtro polarizzatore.

Contrariamente a quelli descritti in aprile, questo filtro è forse fra i più utili e interessanti, anche se non sono molti i fotoamatori che ne conoscono davvero il funzionamento e le caratteristiche, finendo quindi di non sfruttarne a fondo tutte le possibilità.

Per capire come funziona il filtro polarizzatore, dobbiamo richiamare alla mente la natura ondulatoria della radiazione elettromagnetica.

Un raggio di luce bianca che viaggia libero nello spazio vibra disordinatamente in tutte le direzioni.

Quando però questo raggio colpisce una superficie riflettente non metallica (acqua, ghiaccio, ma anche semplicemente un muro, una roccia, una persiana verde) ne viene per così dire schiacciato, appiattito: il raggio riflesso vibrerà secondo un solo piano, parallelo alla superficie stessa. Immaginate una palla di pasta per pizza: fino a quando la rigirate fra le mani rimane una palla, ma se la sbattete violentemente sul piano di lavoro si appiattisce.
Alla luce accade lo stesso.
Si dice in questo caso che il raggio riflesso è stato polarizzato (ok, potevano dire "schiacciato" e si capiva meglio, ma gli scienziati, si sa, amano parlare difficile).

A sua volta il filtro polarizzatore ha la capacità di far vibrare secondo un solo piano la luce bianca che lo attraversa.
Questo perché le molecole che costituiscono la sostanza polarizzante sono orientate in modo da formare una specie di griglia (immaginate un cancello di ferro formato da sbarre parallele), che lascia passare solo la luce che vibra secondo il senso di orientamento delle molecole stesse (le sbarre del cancello, nel nostro paragone).

Se a questo punto poniamo un filtro polarizzatore lungo il cammino di un raggio riflesso che è stato polarizzato, abbiamo due possibilità estreme:

1. Le molecole del filtro (le sbarre del cancello) sono orientate secondo lo stesso senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio passerà senza problemi, come illustra la figura qui sotto:

esempio 1

2. Le molecole del filtro sono orientate perpendicolarmente al senso di vibrazione del raggio luminoso: il raggio verrà bloccato:

esempio 2

(Importante: sulla paternità dei disegni si veda la precisazione alla fine di questo articolo).

Questo spiega perché il polarizzatore, se correttamente orientato, elimina i riflessi dall'acqua e dalle superfici riflettenti in genere.

Non solo: eliminando parte della luce riflessa da tutte le superfici (non solo quelle lucide), il polarizzatore rende più saturi i colori.

Un altro effetto interessante è un parziale, e talvolta marcato, scurimento del cielo.
Il fenomeno è dovuto al vapore acqueo sospeso nell'atmosfera terrestre, le cui minuscole goccioline polarizzano la luce solare (polarizzazione per diffusione).
Questa luce polarizzata può essere bloccata dal filtro, che in questo modo rende il cielo azzurro più saturo e gradevole a vedersi.
Il massimo effetto di polarizzazione si ottiene quando il sole si trova a 90 gradi rispetto all'asse di ripresa (in pratica, quando il fotografo ha il sole di fianco).

Attenzione: in assenza di sole il filtro polarizzatore è inefficace e conviene toglierlo.
Nel controluce, poi, si trasforma in un vero nemico: una serie di superfici aria-vetro e vetro-aria aggiunte all'obiettivo che facilitano l'insorgere di riflessi parassiti e perdite di nitidezza.

Il filtro polarizzatore elimina parte della luce (la luce riflessa, come abbiamo visto), perciò, di fatto, la luce che arriva al sensore (o alla pellicola) non è quella corrispondente alla coppia tempo-diaframma che noi (o la macchina) abbiamo impostato. In parole semplici, se lavoriamo con priorità ai diaframmi il tempo di otturazione si allunga, mentre se lavoriamo con priorità ai tempi il diaframma si apre. La conseguenza della prima opzione è che se lavoriamo a mano libera rischiamo immagini mosse (perché il tempo di otturazione può diventare inferiore al tempo "di sicurezza"); la conseguenza della seconda è che rischiamo immagini sfocate a causa della riduzione della profondità di campo dovuta all'apertura del diaframma (se poi lavoriamo in modalità interamente programmata e lasciamo fare tutto alla macchina allora i risultati saranno imprevedibili, ma io non prendo neppure in considerazione un modo di lavorare così dilettantistico).

Ma quanta luce assorbe il polarizzatore?
Ovviamente dipende dall'intensità dell'effetto di polarizzazione, ma generalmente si va da un fattore di 2x (si legge "due per" e significa che la luce si dimezza, quindi si perde uno stop) a 4x (la luce si riduce a un quarto, quindi si perdono due stop). Per capire bene che cosa significa, immaginiamo di scattare (senza filtro) con un diaframma 11 e un tempo di otturazione di 1/100 di secondo. Applicando il filtro e "spingendo" al massimo l'effetto di polarizzazione, otteniamo che - mantenendo fisso il diaframma - il tempo di otturazione scenderà a 1/25 di secondo: troppo lungo per garantire l'assenza di mosso se si lavora a mano libera.
E' quindi necessario valutare con attenzione la scelta della coppia tempo-diaframma, eventualmente ricorrendo (con la prudenza necessaria) alla regolazione della sensibilità ISO.

E' vero che il polarizzatore circolare è migliore e più efficace del polarizzatore lineare? Assolutamente no.
Il suo maggior costo è giustificato da una particolare struttura e non da una migliore qualità.
Il suo uso è reso necessario dal fatto che i sistemi autofocus possono entrare in crisi in presenza di luce polarizzata.

Anche per il filtro polarizzatore valgono le solite raccomandazioni:
- Usare filtri di ottima qualità e possibilmente originali (ciò che costa poco, vale poco);
- Controllare che il filtro sia privo di polvere, graffi o ditate;
- Usare sempre il paraluce (che in ogni caso non deve mai mancare).

Precisazione: i disegni che illustrano il testo sono stati fatti da me (a mano, non col computer) una trentina di anni fa e pubblicati per la prima volta nel mio libro Macrofotografia (Milano, Hoepli, 1985) ed anche in libri successivi, come è facile verificare recandosi in qualunque biblioteca pubblica e cercando "Vacchiano, Michele" nel catalogo per autori.  
Poi li ho visti in giro per il web, variamente riprodotti, evidentemente ad opera di qualcuno più bravo con lo scanner che con la matita.
Non sono un piantagrane e non ho mai detto niente, anche perché la conoscenza va diffusa, non gelosamente protetta.
Ma se qualcuno salta fuori a dire che ho copiato i disegni dal suo sito allora io lo querelo, perché è lampante che è stato lui ad avere copiato me.
Alla prossima.

Gallery

Piemonte, Valle Gesso. La fotografia è stata scattata su pellicola piana di grande formato (10x12cm) con un apparecchio a banco ottico. Il filtro polarizzatore ha contribuito a rendere più saturo l'azzurro del cielo. La chiesa romanica di San Nazario e Celso a Montechiaro d'Asti. Fotografia scattata utilizzando un obiettivo decentrabile (Canon TS-E 24mm f/3,5 su Canon Eos-1 Ds Mark II). Il decentramento verso l'alto, sfiorando il limite del cerchio di copertura, ha potenziato l'effetto del filtro polarizzatore scurendo ulteriormente il cielo. Piemonte. Le colline del Monferrato astigiano fotografate dapprima senza filtro polarizzatore, poi utilizzando un polarizzatore circolare (Phase One 645DF con dorso Phase One P45+; obiettivo Schneider Kreuznach LS 80mm f/2,8). Piemonte. Le colline del Monferrato astigiano fotografate dapprima senza filtro polarizzatore, poi utilizzando un polarizzatore circolare (Phase One 645DF con dorso Phase One P45+; obiettivo Schneider Kreuznach LS 80mm f/2,8).