Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

SETTEMBRE 2014

Il mestiere del fotografo

Una rivoluzione epocale
La fotografia ha spesso subìto, nel corso della sua storia, rivoluzioni di portata epocale.
Pensiamo al passaggio dal dagherrotipo (in copia unica) al procedimento positivo/negativo, o a quando le emulsioni alla gelatina soppiantarono quelle al collodio, o ancora all'invenzione della pellicola 35 millimetri e alla conseguente miniaturizzazione degli apparecchi, che resero la fotografia un'attività alla portata di tutti e praticabile anche in luoghi prima impensabili.
Del resto la stessa fotografia, al suo nascere, aveva messo in crisi la pittura (o meglio un certo genere di pittura): i ritrattisti avevano perso il lavoro proprio "per colpa" dei fotografi, i quali riuscivano a realizzare ritratti più somiglianti in minor tempo.
Al punto che numerosi pittori avevano abbandonato i pennelli per acquistare un apparecchio fotografico (trasformandosi così da mediocri pittori in mediocri fotografi)…
Oggi è cambiato non soltanto il supporto di registrazione delle immagini, ma la stessa concezione della fotografia come arte visiva.
Il digitale, infatti, rende il procedimento fotografico più rapido, comodo e creativo di quanto non sia mai stato.

Professionisti e dilettanti: una differenza azzerata
In questo panorama di rapida e tumultuosa evoluzione, come si colloca il mestiere del fotografo?
Fino a non molti anni fa, il fotografo era "colui che sa far venire bene le foto".
Non che mancassero i dilettanti bravi.
Anzi, la loro indipendenza operativa, il non dover sottostare alle esigenze del cliente, il maggior tempo a disposizione per leggere e aggiornarsi faceva sì che molti di essi riuscissero a condurre una ricerca personale che li portava a conseguire risultati stilistici di gran lunga superiori a quelli di tanti professionisti.
Molti grandi fotografi, sia nel passato che ai giorni nostri, sono "nati" come semplici fotoamatori, conservando per tutta la vita quell'atteggiamento di curiosità e voglia di sperimentare tipico di chi si dedica "per diletto" alla propria attività preferita.
L'unica differenza stava nel fatto che il professionista riusciva a diffondere il suo lavoro e a farlo conoscere, grazie ai contatti e ai canali professionali che poteva utilizzare, mentre il dilettante non aveva di solito la possibilità di divulgare la sua produzione al di fuori della ristretta cerchia degli amici, dei parenti o degli iscritti al suo circolo fotografico; tutt'al più poteva sperare di collaborare con qualche periodico a diffusione locale.
L'esempio delle agenzie fotogiornalistiche è illuminante.
Quando un fotografo riteneva che il suo lavoro meritasse di essere immesso sul mercato, si rivolgeva a un'agenzia. Questa gli chiedeva in visione dalle trecento alle cinquecento diapositive, meglio se di uno stesso argomento (le agenzie preferivano i fotografi specializzati ai principianti tuttofare).
Alle diapositive, numerate, andavano allegati dei fogli dattiloscritti o - più recentemente - un file di testo con le didascalie, numerate nello stesso modo.
L'agenzia selezionava un certo numero di immagini e - se le riteneva commerciabili - inviava al fotografo un contratto di collaborazione.
Per ogni fotografia venduta, l'agenzia corrispondeva al fotografo il compenso pattuito (dal 40 al 60 per cento di quanto percepito).
Se l'autore era un professionista emetteva regolare fattura; se era un dilettante emetteva parcella in regime di ritenuta d'acconto.
In entrambi i casi pagava le tasse su quanto percepito.
E' evidente, in realtà, che ben pochi dilettanti erano in grado di fornire trecento e più immagini monotematiche, ma soprattutto di garantire una produttività sufficiente a rendere favorevole la collaborazione.
L'avvento della fotografia digitale ha drasticamente cambiato questi equilibri.
La vera novità della fotografia digitale, infatti, non è tanto la possibilità di elaborare le immagini in postproduzione (anche in camera oscura si fanno le elaborazioni!), quanto la possibilità - grazie alla rete - di condividere le proprie fotografie con un numero virtualmente illimitato di persone.
Quel dilettante che ben difficilmente riusciva a mostrare i suoi lavori all'esterno della cerchia dei conoscenti si è trovato improvvisamente in grado di renderli disponibili a chiunque.
La conseguenza di questo è sotto gli occhi di tutti: in rete sono oggi reperibili alcuni trilioni di fotografie: un numero difficilmente immaginabile (un trilione è pari a 1 seguito da 18 zeri!), oltre che una miniera praticamente inesauribile (e in continuo incremento) di informazioni visive.

Quantità e qualità
Questo fenomeno ha trascinato con sé conseguenze la cui importanza era stata solo parzialmente prevista agli inizi della rivoluzione digitale.
La prima conseguenza è rappresentata dalla graduale scomparsa delle agenzie fotogiornalistiche.
L'editore, il pubblicitario o l'azienda che prima si rivolgevano alle agenzie, si rivolgono oggi a Flickr o ad altri social network (ancora poco a Wikimedia Commons, almeno in Italia).
Qui trovano fotografie mediamente accettabili a costi irrisori, quando non addirittura gratis.
Il dilettante, infatti, è ben contento di cedere i diritti di riproduzione di una sua immagine a fronte del semplice riconoscimento della paternità dell'opera: il suo nome pubblicato su un'enciclopedia a dispense o su una rivista è spesso il massimo a cui possa aspirare.
Del resto, perché l'editore dovrebbe pagare 200 Euro per una foto d'autore di un elefante, quando su Flickr può trovare centinaia di foto di elefanti, magari meno spettacolari ma gratuite?
E poi, che cosa se ne fa della spettacolarità quando deve solo far vedere com'è fatto un elefante ai lettori di un'enciclopedia a dispense?
Per questo le agenzie perdono i clienti e finiscono per chiudere, come è accaduto a Grazia Neri (una delle più prestigiose agenzie italiane), messa in liquidazione nel 2009, o a Panda Photo nel 2011.
Sopravvivono, per ora, le agenzie di stock "royalty free", che corrispondono compensi irrisori ma garantiscono volumi di vendite elevati.
La seconda conseguenza (o meglio, la prima conseguenza della conseguenza) è rappresentata da un calo evidente della qualità media delle immagini che vengono diffuse e pubblicate.
L'agenzia era di fatto un tramite e un filtro: la sua funzione era quella di selezionare i fotografi e le fotografie migliori, scartando i lavori mediocri, per proporre al cliente prodotti di elevata professionalità.
L'editore, che spesso non capiva niente di qualità di immagine (del resto non è quella la sua funzione) era certo di ottenere il meglio che il mercato potesse offrire, accettando di pagarlo per quanto valeva.
Oggi l'editore (che continua a non capire niente di qualità di immagine) può servirsi da solo in quel grande emporio che è la rete.
Peccato che nessuno sia in grado di dirgli che ciò che ha scelto è una schifezza.
Del resto, se anche qualcuno lo facesse, le sue obiezioni andrebbero ad infrangersi contro l'inappuntabile argomentazione rappresentata dai costi, irrisori quando non addirittura inesistenti.
Nelle redazioni lavorano grafici e art director che sanno tutto di software, ma che spesso non sono preparati a giudicare una fotografia: pensano che una foto scaricata da Flickr possa diventare una buona immagine con due minuti di Photoshop.
Questo è sufficiente ad abbassare la qualità globale delle immagini pubblicate, come è facilmente verificabile consultando - ad esempio - una rivista di viaggi attuale con una pubblicazione analoga degli anni Ottanta.
Ne consegue che la maggioranza della popolazione (e cioè i potenziali clienti di un fotografo professionista) si disabitua alla qualità e diventa incapace di distinguere un lavoro ben fatto dalla desolante approssimazione con la quale (ad esempio) agenzie di viaggi e tour operator diffondono orizzonti inclinati e palazzi cadenti sui loro pieghevoli pubblicitari!
La seconda conseguenza della conseguenza sta nel fatto che i compensi che un fotografo può sperare di ottenere si sono drasticamente ridotti.
Abbiamo già citato le agenzie di stock, che corrispondono pochi centesimi per ogni fotografia venduta, ma potremmo estendere il discorso ad altre attività, come ad esempio la fotografia di matrimonio.
Perché pagare un professionista quando c'è lo zio Anselmo con la sua reflex superaccessoriata?
O magari un amico che "ne capisce"?
Un (mal)costume talmente diffuso che persino la Federconsumatori (che dovrebbe tutelare la qualità) scrive in un suo comunicato stampa, datato 19 maggio 2009 e dedicato ai costi del "fatidico sì": "Per quanto riguarda le foto, poi, domandare ai propri invitati di fare foto in abbondanza potrebbe essere un modo per evitare di ingaggiare fotografi professionisti".
E brava la Federconsumatori!
Se volete leggere tutto il comunicato, andate alla pagina http://www.federconsumatori.it/ShowDoc.asp?nid=20090519124953.
Che poi lo zio Anselmo o gli invitati, che non sono del mestiere, facciano delle schifezze (ammesso che il parroco sia disposto a tollerare tutta quella gente che si muove intorno agli sposi bombardandoli con i flash) poco importa: l'importante è risparmiare, almeno potremo spendere un po' di più per la carrozza, ci mettiamo quattro cavalli invece di due.
Per cui il professionista deve abbassare i prezzi, se non vuole sentirsi dire "Ma come, così tanto? Ma non fotografi in digitale, che non ti costa niente?".
E questo nonostante il fatto che - nella realtà - la fotografia di matrimonio sia un genere che richiede un consolidato mestiere, oltre a conoscenze e competenze che non si possono improvvisare (al punto che molti professionisti - me compreso - preferiscono non occuparsene).
Ma questo non viene percepito dal cliente, ormai diseducato alla qualità e - il più delle volte - al rispetto del lavoro altrui.

Una situazione senza paragoni
La situazione che si viene così a configurare è davvero unica nel panorama lavorativo.
Pensiamoci un attimo: nessuno si può improvvisare carrozziere, dentista o avvocato senza aver dimostrato di saper fare quel mestiere e - soprattutto! - senza avere ottemperato a una serie di obblighi fiscali e legali.
Al contrario, chiunque può improvvisarsi fotografo senza che nessuno abbia certificato le sue reali competenze.
A questo va aggiunta la disinvoltura con cui - specialmente in Italia - vengono talvolta gestiti i rapporti di collaborazione, non sempre improntati al pieno rispetto delle regole fiscali (ricordiamo che - anche se dilettante - il prestatore d'opera è comunque tenuto a presentare parcella con ritenuta d'acconto, documento che sostituisce la fattura quando non si lavora in regime di IVA).
Si potrebbe obiettare che la fotografia è (anche) un'arte e che - in quanto tale - non richieda a chi la pratica il possesso di un diploma o di un certificato professionale: nessuno impedisce a un pittore dilettante di dipingere e nessuno si scandalizza se ogni tanto vende qualche quadro senza per questo dover compilare documenti fiscali.
Analogamente, se il fotografo è bravo, è giusto che sia conosciuto e che possa ricevere compensi per le sue opere.
Tutto vero.
Il problema sta in quella parola, "anche", che poco sopra abbiamo messo tra parentesi.
Di fatto, l'Agenzia delle Entrate non equipara la fotografia alla pittura, né i fotografi ai pittori.
Per il fisco il fotografo non è un artista (che ogni tanto può anche vendere un quadro) ma uno che vende abitualmente le sue fotografie, che spesso ha uno studio, che possiede attrezzature costose (i cosiddetti beni strumentali), acquistate in regime di IVA, e che pertanto deve pagare - giustamente! - le tasse su quanto percepisce per la sua attività professionale.
Nessuno sarebbe contento se l'azienda da cui è stato regolarmente assunto lo licenziasse per assumere al suo posto un lavoratore in nero.
Analogamente, il fatto che dei fotografi dilettanti offrano prestazioni chiedendo compensi sui quali non pagheranno quelle imposte che i professionisti sono invece obbligati a versare, viene percepito unanimemente come concorrenza sleale (art. 2598 Codice Civile).
Un disappunto comprensibile, quello dei fotografi professionisti, che da qualche tempo si sono mobilitati per identificare e denunciare alle autorità competenti i casi più eclatanti di abuso.

Estinzione o evoluzione?
Ma poiché, almeno in Italia, il problema è ben lontano dall'essere risolto, dobbiamo decidere se continuare a lamentarcene o se invece non valga la pena di fare qualcosa per capovolgere in modo definitivo la situazione.
In altre parole, dato questo panorama apparentemente desolante, come si pone, oggi, il mestiere del fotografo?
Bene, c'è una notizia cattiva e una buona.
La cattiva è che il mestiere del fotografo, inteso come "colui che sa far venire bene le foto", non è in crisi.
Semplicemente è scomparso!
Nella percezione generale (che sia vero o no poco importa) con gli apparecchi moderni chiunque è in grado di "far venire bene le foto".
La notizia buona è che - data la situazione - tutte le alternative sono aperte.
Soprattutto è aperta la possibilità di inventarsi un nuovo mestiere, che sappia conciliare l'esperienza nel campo dell'immagine con la preparazione culturale; la capacità di autopromozione con la conoscenza del mercato.
In altre parole il fotografo di successo, quello che ancora rimane saldo sul mercato, è di fatto diventato qualcosa di diverso (e soprattutto qualcosa di più): ad esempio un abile creativo, non solo dal punto di vista strettamente fotografico; oppure un divulgatore, che mette la sua esperienza a disposizione di chi voglia progredire non solo sulla conoscenza tecnica del mezzo, ma anche sulle capacità comunicative della fotografia; o ancora un organizzatore di eventi (culturali, artistici, sportivi, mondani) nei quali l'immagine abbia una parte importante anche se non necessariamente esclusiva.
Ha saputo - grazie ad una solida preparazione culturale e artistica, alla capacità di tenere gli occhi aperti sulle tendenze del mercato, all'abilità nel coinvolgere le persone giuste al momento giusto - entrare nel gioco della comunicazione culturale, dire la sua, sapersi proporre in definitiva come unico, vero e qualificato esperto dell'immagine.
Insomma, ha saputo trasformarsi da abile confezionatore di fotografie in comunicatore a 360 gradi!
Ma soprattutto sa infondere nelle sue opere tutto il suo retroterra di conoscenza, sensibilità e cultura.
Così la vera differenza tra il dilettante e il professionista non è più la semplice abilità tecnica nel "far venire bene le foto", né tantomeno il possesso di una partita IVA: la vera differenza è tra il chiedersi "Che cosa ho visto?" e il chiedersi "Che cosa ho capito?".
Il vero professionista è colui che sa comunicare allo spettatore ciò che davvero ha capito, l'essenza profonda di un soggetto introiettato, assimilato, e infine restituito attraverso il filtro del proprio vissuto, della propria storia, della propria - unica e irripetibile - visione del mondo e della vita.
Infine, in un mercato in costante evoluzione (o crisi, se preferite vedere il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno) bisogna saper rinunciare a ciò che si credeva acquisito per esplorare nuovi territori, ricordando che l'intelligenza (nel senso evoluzionistico del termine) non è altro che la capacità di adattarsi alle nuove situazioni.
Chi sa usare l'intelligenza e trarre vantaggio dalle mutate condizioni ambientali sopravvive; chi non lo sa fare si estingue.

Intelligenza è sopravvivenza
Ecco quindi pochi e semplici "tip", utili a non affogare nel mare di una concorrenza non solo agguerrita, ma anche - come abbiamo visto - sleale.
1. Imparate a lavorare per progetti: la fotografia isolata difficilmente sarà così spettacolare da trovare un mercato, mentre un progetto fotografico avrà più probabilità di suscitare interesse.
2. Non cercate di calcolare quanto il progetto vi costerà: i preventivi non vengono mai rispettati, per cui evitate di perdere tempo.
3. Non chiedetevi quanto guadagnerete, fate ciò che vi piace e divertitevi. I soldi verranno dopo, magari non dall'attività specifica che state svolgendo, ma da altre ad essa conseguenti: ogni iniziativa innesca una sequenza di eventi che può portare molto lontano.
4. Non disdegnate di lavorare gratis, ma fatelo solo per progetti di alto valore etico o culturale, in grado di qualificarvi e dare prestigio al vostro curriculum: organizzazioni umanitarie, istituti di ricerca o amministrazioni pubbliche impegnate in progetti di valorizzazione e diffusione della cultura sono clienti per i quali vale la pena spendere il proprio talento senza aspettarsi un immediato riscontro economico.
5. Evitate tuttavia di cedere alle lusinghe di chi vi propone un lavoro non retribuito con la prospettiva di ottenere in seguito un ingaggio vantaggioso: un simile comportamento denuncia non solo scarso rispetto per il lavoro altrui, ma soprattutto poca serietà e nessuna affidabilità. A chi mi dice "non abbiamo soldi per questo lavoro, ma se ci piace te ne affideremo altri che ti saranno pagati", io rispondo okay, ma mettetemelo per iscritto, facciamo un contratto. Ovviamente loro non lo fanno e allora io me ne vado, lasciandoli al loro destino.

Volare alti
Ma al di là di tutto questo, è indispensabile sapersi elevare al di sopra delle mode e delle tendenze dominanti.
In una società dove l'apparire è considerato il più prezioso dei valori e dove l'egoismo, la mediocrità e la pretesa di primeggiare senza averne le capacità sono considerate armi vincenti, occorre mettere in campo doti non comuni di modestia, umiltà e desiderio di imparare.
Queste sono le qualità che consentono davvero di emergere.
Le altre non fanno che generare sospetti, ingratitudini, trucchi di bassa lega e - di conseguenza - mancanza di rispetto per i propri clienti e per il proprio stesso lavoro.
Costerà fatica, costerà insuccessi e delusioni, ma l'epoca in cui viviamo ci ha ormai abituati a rinunciare a ciò che credevamo acquisito, e ben pochi hanno ancora la possibilità di adagiarsi sulle vecchie certezze.
Dovremo imparare a lavorare come i lupi: dieci inseguimenti a vuoto per avere un coniglio.
Per cui…
In bocca al lupo a tutti!
E alla prossima.