Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

MARZO 2013

La luce nel ritratto

“Fotografare”, cioè scrivere/disegnare con la luce.
La luce crea le forme, differenzia i toni, esalta i colori.
Lo stesso soggetto assume significati diversi se fotografato in una giornata di sole o col cielo coperto.
Per capire e controllare l’illuminazione occorre tenere conto di tre parametri fondamentali:
- Quantità
- Direzione
- Qualità
La quantità di luce che giunge alla superficie sensibile determina la corretta esposizione.
Inutile ricordare qui che l’esposizione corretta non è un dato numerico, dipendente dal responso di uno strumento, ma un fatto espressivo, che coinvolge direttamente la creatività del fotografo, il suo stile, il suo modo di raccontare.
Lo stesso soggetto, fotografato in high key o in low key, assume significati del tutto diversi.
La direzione della luce costituisce anch’essa un parametro fondamentale.
Lo stesso soggetto assume significati molto diversi se fotografato in luce piena, in luce angolata o in controluce.
Spesso il fotografo attende per ore che si verifichino le condizioni di illuminazione da lui ritenute ideali.
Il controluce, in particolare, offre le possibilità più creative, a patto che si sappiano padroneggiare con estrema perizia le tecniche dell’esposizione e che si disponga dello strumento giusto: un obiettivo di elevata qualità, con uno schema ottico semplice e dotato di un efficace trattamento antiriflesso.
La qualità della luce è un parametro più labile e indefinito, che ha a che fare con la temperatura cromatica ma non solo.
Molti grandi fotografi hanno notato come in luoghi diversi la stessa luce solare alla stessa ora del giorno crei effetti del tutto differenti.
In alta montagna il riflesso della neve e la radiazione ultravioletta creano dominanti azzurrine che sarebbe sbagliato eliminare completamente.
In Toscana, al contrario, la luce calda di metà mattina appare esaltata e amplificata dai colori del cotto che ricopre case e tetti, dal marrone-rossiccio delle zolle nei campi...
E così ogni luogo, ogni paesaggio ha la “sua” luce, che il fotografo deve saper cogliere ed esaltare.
Il sole, come abbiamo visto, è la prima e più importante fonte di luce, ma talvolta crea problemi al fotografo.
Il sole diretto genera ombre profonde, che la pellicola o il sensore registrano come nero non strutturato.
Di conseguenza, tutti i particolari in ombra andranno persi.
A volte l’effetto è cercato, ma non sempre questo è ciò che il fotografo vuole ottenere.
Il rimedio è ancora una volta rappresentato da un'esposizione "pensata", oltre che dalla necessaria perizia in fase di trattamento.
Quando ci si dedica al ritratto, bisogna controllare con attenzione direzione, quantità e qualità della luce.
Una sole fonte di luce non è mai consigliabile, perché produrrebbe un contrasto eccessivo tra area illuminata e area in ombra.
Nel ritratto la configurazione ideale è costituita dalla "triade classica": luce principale, luce secondaria e "luce d'accento", cioè quell'effetto di parziale controluce che disegna i contorni e rende luminosi i capelli.
Anche se non si possiedono costose e sofisticate luci da studio, è possibile utilizzare i mezzi a disposizione del fotoamatore: la luce naturale, le superfici riflettenti, ma soprattutto il flash.
Nel ritratto, il sole diretto è la fonte di luce peggiore, perché forma sul volto ombre che lo deturpano: con il sole di fronte il soggetto chiude gli occhi e fa le smorfie, mentre con la luce che cade dall'alto i capelli fanno ombra alla fronte, le arcate sopracciliari fanno ombra agli occhi, il naso genera un’ombra che taglia in due il labbro superiore, il mento fa ombra al collo e gli zigomi proiettano la loro ombra sulle guance, scavandole.
Questo spiega perché i vecchi fotografi da spiaggia preferivano riprendere i loro soggetti sotto l’ombrellone o intorno alle ore del tramonto.
Un’alternativa non sempre comoda è costituita dall’uso di un pannello riflettente, ma si possono anche sfruttare le superfici riflettenti naturali, come la neve, l’acqua, la sabbia, la pietra chiara illuminata dal sole.
Nei luoghi chiusi è possibile sfruttare la luce proveniente da una finestra (meglio se schermata da tende) per ottenere un’illuminazione morbida e diffusa.
Una superficie riflettente posta sul lato non illuminato (un lenzuolo, un asciugamano o anche un semplice muro bianco) contribuirà ad ammorbidire ulteriormente il contrasto.
Purtroppo questo metodo è soggetto a diverse ed imprevedibili variabili: l’ora del giorno e le condizioni atmosferiche possono influenzare in modo pesante la quantità, la qualità e il colore della luce.
Così, il mezzo più sicuro per garantirsi il pieno controllo sull’illuminazione è costituito senza alcun dubbio dal lampeggiatore elettronico (flash).
Le possibilità creative del flash sono innumerevoli, non solo (e non tanto) in condizioni di scarsa luminosità, ma anche e soprattutto in luce diurna.
Il fill-in diurno ci rende completamente padroni della luce e dei contrasti, come ben sanno i fotografi di cerimonia, che usano il "sole portatile" anche (soprattutto) quando il sole vero rischierebbe di  creare sul viso della sposa quelle ombre di cui abbiamo appena parlato.
In questo modo potremo utilizzare il flash come luce principale, un pannello riflettente (dal lato opposto) come luce secondaria e una finestra o il cielo come luce d'accento.
In ogni caso il flash non va mai rivolto frontalmente verso il soggetto, ma deve sempre lavorare secondo un angolo fra i 30 e i 50 gradi: il flash frontale crea un effetto da foto segnaletica, genera il famigerato "effetto occhi rossi" e proietta contro lo sfondo l'ombra del soggetto, con un risultato artificioso e sgradevole.
Nei luoghi chiusi, il flash può essere rivolto verso il soffitto o verso un muro bianco, per ottenere una luce più morbida e più diffusa, paragonabile a quella emessa dai softbox usati in studio.
Illuminare il soggetto con due fonti di luce impone di affrontare il problema del "rapporto di illuminazione".
Si tratta del rapporto tra la luce che cade sulle parti del soggetto investite dalla luce principale e quelle investite dalla luce secondaria.
Normalmente si va da un rapporto di illuminazione di 3:1 (le luci ricevono un’illuminazione doppia rispetto a quella delle ombre) a un rapporto di 8:1 per ritratti molto drammatici e contrastati.
Un rapporto di 3:1 può essere stabilito facilmente regolando la luce principale a piena potenza e la luce secondaria a metà potenza.
In alternativa, si possono usare lampade di eguale potenza sistemate a distanze diverse.
In base alla legge dell’inverso del quadrato, la distanza della luce secondaria rispetto alla luce principale non dovrà essere doppia, ma differenziata di un valore di diaframma (in pratica, pari alla distanza della luce principale moltiplicata per la radice di 2).
Se ad esempio la luce principale è a 2 metri, quella secondaria andrà posizionata a 2,8 metri e così via, secondo la scala dei diaframmi, in cui si passa da un valore a quello successivo moltiplicandolo, appunto, per la radice di 2: 1-1,4-2-2,8-4-5,6-8-11-16-22-32-45-64-90 e così via.
La luce di schiarita avrà in questo modo un’intensità dimezzata rispetto a quella della luce principale.
Il motivo per cui si dice che un simile rapporto di illuminazione è di 3:1 e non di 2:1 va ricercato nel fatto che la luce principale non cade sulle ombre, mentre la luce secondaria cade sia sulle ombre che sulle alte luci.
Se la luce secondaria fa cadere 500 lux sull’intero soggetto, la luce principale farà cadere 1000 lux soltanto sulle aree delle alte luci.
Le ombre ricevono un totale di 500 lux, mentre le parti illuminate dalla luce principale ricevono 1500 lux (i 1000 della luce principale più i 500 della luce di schiarita).
Il rapporto tra aree illuminate dalla luce principale e aree illuminate dalla luce secondaria sarà quindi 1500:500, cioè 3:1.
Dosando con perizia il rapporto di illuminazione (basta fare delle prove, è anche divertente) si potranno ottenere effetti completamente diversi anche sullo stesso soggetto.
Occhio!
Quando il soggetto ha una pelle di tipo "caucasico" (lungi da noi ogni connotazione razzista, ma ci sono pelli chiare e pelli scure: quella caucasica - o europea - è chiara) non bisogna misurare l'esposizione sul suo volto!
L'esposimetro è tarato per restituire sempre e comunque il grigio medio (zona V della scala zonale), ma la pelle "caucasica" cade in zona VI.
Questo vuol dire che misurando l'esposizione sul soggetto e lasciando fare all'esposimetro si otterrà una fotografia sottoesposta di uno stop (è logico: l'esposimetro vede un tono più chiaro del "normale" e decrementa l'esposizione di uno stop).
Quindi si può misurare l'esposizione sulla pelle del soggetto, ma solo a patto di sovraesporre di uno stop prima di scattare.
Una domanda che i dilettanti fanno spesso è: "Si possono ottenere con mezzi amatoriali (compresi uno o più lampeggiatori) i risultati che si ottengono in studio?"
La risposta - purtroppo - è "no".
Ma non perché le luci e i fondali da studio non siano riproducibili (un flash è un flash, e indipendentemente dalla potenza lavorano tutti allo stesso modo), bensì perché in studio gioca un fattore fondamentale che al dilettante è negato: il trucco.
Il trucco fotografico è materia complessa, che solo i truccatori specializzati conoscono.
Non fatevi ingannare quando sulle riviste vedete l'immagine di una ragazza "acqua e sapone".
Per ottenere quell'aspetto "naturale" sono stati necessari almeno tre quarti d'ora di intervento da parte di una truccatrice esperta.
Che quando trucca la modella non la guarda se non nello specchio, perché sarà lo specchio della reflex a restituirne l'immagine.
E questo non è che uno degli innumerevoli "segreti" (che segreti non sono, basta frequentare uno dei nostri workshop) di quell'avvincente argomento che è il ritratto.
Alla prossima.

Gallery

Ritratto ambientato in un antico casale del Monferrato.  La luce calda della lampada a muro contrasta con la luce più fredda che proviene dalla finestra aperta. Un flash ricolto verso il soffitto ha ammorbidito le ombre che avrebbero sacrificato i primi piani. Rembrandt è il nome di una specifica configurazione di luce, che prende il nome dal celebre pittore fiammingo. Si tratta di un'illuminazione piuttosto dura, che lascia in ombra un lato del volto eccetto l'area dell'occhio e dello zigomo. Qui è stata usata un'unica fonte di luce proveniente da destra (rispetto al fotografo) a cui si è aggiunta una seconda luce per ammorbidire e rendere leggibili (anche se molto contrastate) le zone d'ombra. La messa a fuoco è stata effettuata sull'occhio della modella, lasciando che l'ampia apertura del diaframma sfocasse le spalle e il collo. In questo ritratto all'aperto si è voluta mettere in risalto l'eterea e quasi angelica bellezza nordica della modella. L'esposizione è stata calcolata sul lato in ombra del volto (quello rivolto verso la macchina) in modo che il forte controluce disegnasse i contorni staccando il soggetto dallo sfondo.
Nessuna fonte di luce è stata usata se non l'illuminazione naturale presente nell'ambiente.
. Ambientazione tropicale per questo ritratto, in realtà effettuato in studio con l'uso di un fondale e di un parco luci professionale. Un rapporto di illuminazione molto basso tra luce principale e luce secondaria simula la luce diffusa di una giornata senza sole nella foresta pluviale. Un bank quasi frontale fornisce un'illuminazione diffusa e uno scarto quasi inesistente tra luci e ombre, mettendo in risalto la pelle della modella e soprattutto la fattura e il drappeggio dell'abito. E' una delle configurazioni più usate nel campo della fotografia di moda. Qui la ragazza (ripresa in una posa dinamica) sembra uscire dall'oscurità. Stessa configurazione della fotografia precedente, ma con fondo bianco, nello stile delle pubblicità della Benetton. L'abito è completamente visibile in ogni suo particolare. Gli occhi di Petra. Primissimo piano ottenuto grazie a due flash da studio differenziati di uno stop (rapporto di illuminazione di 3:1) e un teleobiettivo da 135 millimetri su formato pieno. Un ritratto che evoca Penelope in attesa del ritorno di Ulisse. La fotografia è stata scattata sul Lago di Garda, al tramonto, in luce naturale. L'aspetto naturale della modella è frutto - in realtà - di un trucco sapiente.