Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

GIUGNO 2019

Le saline di Cervia

Siamo alle porte dell’estate, tempo di escursioni e di vacanze.
Questo itinerario descrive un luogo molto speciale, agevolmente raggiungibile in poche ore da qualunque località del centro-nord, e assolutamente imperdibile per chi dovesse trovarsi a trascorrere le vacanze sulla riviera adriatica: il Parco delle Saline di Cervia.

Cervia è un’antica cittadina in provincia di Ravenna, affacciata sull’Adriatico, venti chilometri a sud del capoluogo.
Fu fondata probabilmente da coloni greci, oppure – secondo una leggenda – da un condottiero etrusco che le avrebbe dato il suo primo nome, Ficòcle. In realtà questo nome è greco, e significa “luogo famoso per le alghe”.

Tutta la storia di Cervia è legata al sale. La prima testimonianza scritta della presenza di saline risale al X secolo d.C., ma alcuni recenti ritrovamenti archeologici fanno ipotizzare la sua presenza già in epoca romana.
Lo stesso toponimo Cervia potrebbe derivare dal latino “acervus”, cioè mucchio, in riferimento ai cumuli di sale che asciugano al sole.

L’importanza del sale nell’antichità è strettamente connessa con la stessa sopravvivenza del genere umano: prima dell’invenzione delle ghiacciaie, e in seguito dei frigoriferi, il sale era uno dei pochi metodi conosciuti per conservare adeguatamente i cibi. Il sale era anche usato per conciare le pelli, come disinfettante, come erbicida e insetticida.
La Via Salaria univa Roma alla foce del fiume Tronto, nelle Marche, ed era usata proprio per trasportare nella capitale il sale dell’Adriatico.
Il sale fu anche moneta di scambio in molte culture, come attesta l’etimologia della parola salario.

All’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, i Monopoli di Stato decisero di dismettere alcune saline considerate poco produttive, tra cui le saline di Cervia.
Ma i cervesi sapevano bene che la produzione non sarebbe dovuta cessare: se il territorio fosse stato abbandonato a sé stesso, si sarebbe rapidamente impaludato.
Le saline hanno anche una forte valenza paesaggistica, ed è per la loro tutela che nacquero dapprima la Riserva Naturale Salina di Cervia, nel 1979, poi la Società Parco della Salina di Cervia, nel 2002, con l’intento di valorizzare l’ambiente e l’ecologia del territorio, anche a scopi culturali e turistici.

Il sale integrale di Cervia è definito “dolce” perché composto da cloruro di sodio purissimo e quasi del tutto privo di sostanze quali solfati e altri cloruri che conferiscono al sale prodotto in altre zone un sapore amaro più o meno marcato. Dal 2004 è presidio Slow Food.

L’acqua dell’Adriatico raggiunge le saline attraverso un canale immissario (figura 1), lungo il quale è ancora possibile scorgere i caratteristici capanni usati per la pesca con le reti (figura 2).

Passando di vasca in vasca (figura 3), l’acqua del mare evapora e si concentra, fino a formare il sale, che – una volta raccolto – è lavato con acqua madre, ricca di oligoelementi, e poi lasciato essiccare al sole (figura 4).

Una particolare alga, la Dunaliella salina, colora le acque di rosso e conferisce anche al sale un colore rosato (figura 5).

Anticamente il sale veniva stoccato in appositi magazzini – oggi sede di eventi culturali e spettacoli – e sorvegliato dalla Torre di san Michele (figura 6).

Nell’antica Salina Camillone il sale viene ancora raccolto artigianalmente, utilizzando strumenti in legno di tradizione secolare. La salina fa parte del Museo del sale ed è lavorata a scopo dimostrativo da volontari (figure 7 e 8).

Tra le piante tipiche della salina ricordiamo la salicornia (Halocnemum strobilaceum), usata anche in cucina e come foraggio per il bestiame.

Inutile dire che le saline sono anche l’habitat naturale di molti uccelli acquatici, dal Cavaliere d’Italia agli aironi, da diverse specie di gabbiani alle oche selvatiche, che sorvolano la zona nella stagione opportuna (figura 9).

Visitare le saline in una giornata di sole significa immergersi in un paesaggio quasi primordiale, dove la natura e il lavoro dell’uomo hanno saputo creare un ambiente di rara e struggente bellezza: un regno d’acqua, di luce e di colori; un mondo di spazi e prospettive che il fotografo può esaltare, grazie all’uso attento della luce e delle sue caratteristiche: non solo direzione, ma anche intensità e qualità. La scelta della focale adeguata e un sapiente uso della messa a fuoco gli permetteranno di tradurre in immagine atmosfere e sensazioni (figure 10-12).

Qui la luce è la vera protagonista del paesaggio.
Il controluce mette in risalto la luminosità dell’acqua e sottolinea l’essenza di un ambiente inondato di sole.
Ovviamente la luce arriva da tutte le parti, e potrebbe causare notevoli problemi di flare e riflessi parassiti senza un economico ma efficace paraluce e un obiettivo adeguato: focale fissa, schema ottico semplice, efficace trattamento antiriflesso.
Lavorando a priorità dei diaframmi è possibile decidere di volta in volta la profondità di campo più adeguata a raccontare il soggetto (e di conseguenza il punto di messa a fuoco, stabilito mediante il calcolo dell’iperfocale), tenendo costantemente sotto controllo il tempo di otturazione deciso dalla macchina.
Se si lavora a mano libera (mai consigliabile ma talvolta inevitabile, soprattutto se ci si muove rapidamente), il rischio di micromosso va tenuto in seria considerazione.
Data la generosa quantità di luce (emessa dal sole, diffusa dal cielo e riflessa dall’acqua) è possibile impostare la sensibilità più bassa consentita dal sensore, per sfruttarne al meglio la gamma dinamica e garantirsi la massima nitidezza possibile.

Applicando la tecnica ETTR (expose to the right), sarà possibile ottenere una buona leggibilità delle ombre: le alte luci saranno poi opportunamente gestite in fase di trattamento.
In situazioni di forte contrasto io applico una sovraesposizione di un intero stop (ma al neofita consiglio di iniziare con un terzo o – al massimo – due terzi di stop): una pratica che può apparire paradossale, soprattutto in presenza di una luminosità così elevata, ma che non lo è per nulla se solo si conoscono a fondo i principi fisici che stanno alla base della formazione dell’immagine sul sensore.

Il servizio nelle saline (interamente ceduto a un’agenzia internazionale) è stato realizzato con una compatta a ottica fissa.
L'impossibilità di modificare la focale dell'obiettivo non ha presentato problemi di sorta, ma anzi mi ha permesso di mettere alla prova capacità tecnica e fantasia alla ricerca di inquadrature il più possibile formalmente corrette, nonostante il limite, apparente, rappresentato dalla focale obbligata.
Questo dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, che non è grazie alle sue pentole che uno chef stellato realizza i suoi piatti migliori.

Alla prossima.

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