Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere più divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo

LUGLIO - AGOSTO 2016

Dagli all’occupante!

Vigevano (Pavia), Piazza Ducale.
Arrivo sul posto di prima mattina, per un rapido sopralluogo prima di incontrare gli allievi.
La luce è difficile ma interessante, grazie a quell’alternanza di ombra profonda e di luminosità quasi accecante che caratterizza i centri cittadini nelle prime ore della giornata.
Monto la macchina sul cavalletto e inizio a scattare qualche foto.
Mi muovo tutt’intorno alla piazza, alla ricerca di inquadrature sempre nuove.
Passa un’auto della polizia.
Mi vedono, si fermano, mi osservano con attenzione.
Poiché so già – per lunga esperienza – come vanno queste cose, non aspetto che mi facciano domande: mi avvicino e spiego loro chi sono e che cosa sto facendo, non senza avvisarli che di lì a poco saremo in cinque a fare la stessa cosa.
Soddisfatti dalla mia esauriente spiegazione, i tutori dell’ordine mi salutano e ripartono.
Dopo nemmeno dieci minuti passa un’auto dei carabinieri.
Rallenta, i due occupanti mi scrutano per un attimo e poi proseguono il loro giro.
Intanto arrivano gli allievi: cinque cavalletti in giro per la piazza.
Racconto loro che ho già parlato con due agenti della Polizia di Stato e che quindi possono lavorare tranquilli: nessuno ci disturberà chiedendoci chi siamo e che cosa stiamo facendo.
Errore fatale!
Avrei dovuto ricordarmi che i rappresentanti delle istituzioni si dimostrano tanto più arroganti e spocchiosi quanto più in basso si trovano nella scala del potere.
La tragica dimostrazione del teorema appena esposto si concretizza di lì a poco, con l’aspetto di un impettito, ignorante e zotico vigile urbano.
Il quale, senza nemmeno presentarsi né salutare, ci intima con fare perentorio di smontare i cavalletti.
Ne nasce un’accesa discussione, ma l’esito della disputa è scontato: se fossi da solo andrei fino in fondo, a costo di svegliare il questore in persona, ma non me la sento di trascinare gli allievi in una vicenda dall’esito incerto, per cui faccio buon viso a cattivo gioco e decido di svolgere il workshop sulle rive del Ticino, appena fuori città.
Ovviamente – una volta rientrato a Torino – mi affretto a consultare il Regolamento di Polizia Urbana della Città di Vigevano.
Bene, in nessun articolo del regolamento si parla di treppiedi o cavalletti fotografici.
Per quanto riguarda nel dettaglio Piazza Ducale, è detto espressamente che “Lungo tutto il porticato della Piazza Ducale è vietato appoggiare biciclette o altri veicoli sotto i portici e alle colonne sia nella parte esterna che interna di queste ultime”.
Ma un treppiede, correggetemi se sbaglio, non è né un veicolo né una bicicletta…

Una scena, quella appena descritta, non infrequente nemmeno oggi e nemmeno nelle città turistiche, affollate di fotografi di ogni genere e capacità. Nonostante che gli apparecchi da ripresa (dallo smartphone alla reflex professionale) siano capillarmente diffusi e che gente col cavalletto in spalla si possa incontrare sempre più spesso, accade ancora che qualche pubblico ufficiale senza cose importanti a cui dedicarsi vieti ai fotografi l’uso del cavalletto.
Per quanto ne so, si tratta di un fenomeno tutto italiano.
Nella maggioranza dei paesi di cui ho esperienza (Stati Uniti compresi) il cavalletto è vietato solo quando rappresenta un rischio effettivo per la sicurezza: ad esempio quando può costituire inciampo (come nei luoghi affollati), o quando potrebbe essere usato per compiere atti di vandalismo (come nei musei, dove peraltro – proprio negli Stati Uniti – sono vietati anche i bastoni per i selfie), o ancora in aree private, dove è il proprietario dell’area a dettare le regole (che in questo caso si rispettano, punto e basta).

Chi in Italia si oppone all’uso del cavalletto adduce di solito due diversi ordini di argomentazioni.

La prima riguarda luoghi sottoposti a tutela da parte di Sovrintendenze o altri enti di salvaguardia del patrimonio artistico.
Quando ciò si verifica non c’è molto da fare, se non accertarsi della veridicità di quanto il pubblico dipendente sta affermando: in alcuni casi esistono davvero dei vincoli (ok, si può discutere sulla cretinaggine di certe regole, ma le regole vanno rispettate e in altra sede – se necessario – contestate).
In altri casi – purtroppo – non si tratta che di scuse addotte al solo scopo di esercitare il proprio piccolo, meschino potere burocratico, come ha fatto il vigile di Vigevano (peccato che non gli ho chiesto il nome, l’avrei pubblicato).

Quando poi ci si vuole comportare da bravi cittadini e rispettare meticolosamente tutte le procedure, allora si rischia di andare incontro a situazioni complesse.
Sirmione (Lago di Garda): due giorni di corso sull’uso degli apparecchi a banco ottico nella fotografia di architettura.
Impossibile, con macchine di questo genere, non usare il cavalletto, che deve anche essere bello massiccio.
Nel preparare il corso mi ero proposto di inserire nel giro anche le cosiddette “Grotte di Catullo”, un’area archeologica di grande interesse, contenente i resti di una villa romana del I secolo d.C.
Piccola precisazione storica: la villa è in realtà posteriore al poeta latino Catullo, vissuto nel I secolo a.C. La fantasiosa denominazione nasce dal fatto che la ricca e potente famiglia del poeta, nato a Verona, possedesse una sontuosa villa proprio a Sirmione, dove sembra che sia stato ospitato anche Giulio Cesare. In una sua celebre composizione, il carme 31, il poeta celebra le bellezze di Sirmione e la quiete ritrovata nella casa paterna (che però, come abbiamo detto, non è quella che oggi visitiamo).
Dato l’imperdibile interesse dell’area, telefonai all’ente preposto (Soprintendenza Archeologia della Lombardia), il quale mi rispose che l’uso dei cavalletti non era di per se stesso proibito, ma che avrei dovuto inoltrare una richiesta formale in tre copie, ovviamente cartacee (ma perché tre copie nell’epoca degli scanner e delle fotocopiatrici? E perché cartacee nell’epoca della posta elettronica, volendo anche certificata?), esponendo dettagliatamente le ragioni della visita e i motivi che mi obbligavano ad usare il cavalletto.
Cosa che feci immediatamente, inviando le tre copie per raccomandata A.R.
Come mi aspettavo non ricevetti risposta, ma sapendo che il silenzio della Pubblica Amministrazione equivale a un assenso (studiate gente, studiate!), non mi preoccupai più di tanto, premurandomi solo di portare con me una copia della richiesta, da esibire in caso di necessità.
Giunto il fatidico giorno, ci presentammo in sei all’ingresso dell’area archeologica, armati di apparecchi a banco ottico e imponenti cavalletti.

Di fronte allo sguardo terrorizzato dell’addetta alla biglietteria, mi premurai di esibire copia della mia richiesta alla Soprintendenza, certo che le fossero giunte comunicazioni in merito.
Ovviamente la poveretta non ne sapeva nulla (tutto regolare: anche all’interno di quell’ente le informazioni viaggiano con italica tranquillità), per cui si affrettò – correttamente – a sottoporre il problema a una funzionaria di grado superiore.
Dopo alcuni minuti di incertezza fu trovata la soluzione: potevamo entrare e fotografare usando i cavalletti, ma per essere sicura che non avremmo deteriorato le pietre bimillenarie, la funzionaria ci avrebbe assegnato un accompagnatore.
Nulla da eccepire, se non che si era a maggio inoltrato, il sole picchiava, e il poveretto costretto a sorvegliarci – con tanto di divisa e berretto d’ordinanza – soffriva visibilmente a causa del caldo.
Del resto, dopo tanta fatica per riuscire ad entrare, non avevo intenzione di affrettare il lavoro solo per evitare a quel solerte dipendente il disagio del caldo, per cui lo convinsi che i nostri apparecchi non emettevano raggi nocivi e che i nostri cavalletti non avrebbero avuto la forza di scalfire il calcestruzzo romano: perciò si sedesse tranquillo all’ombra e per favore si togliesse la giacca ché mi veniva caldo solo a guardarlo.
Il brav’uomo acconsentì di buon grado, ringraziandomi per la gentilezza, così noi potemmo dedicare al lavoro tutto il tempo che ci occorreva.

La seconda argomentazione addotta dai tutori dell’ordine riguarda la presunta “occupazione di suolo pubblico”: il cavalletto occupa una parte di marciapiede, di selciato o di strada, per cui o paghi la tassa per l’occupazione di suolo pubblico oppure chiudi l’aggeggio e lavori a mano libera.
In risposta a queste limitazioni, alcuni suggeriscono stratagemmi che sfiorano la farsa e che altro non fanno se non aggiungere ridicolo al ridicolo: appoggiare il cavalletto alla punta della scarpa (sai che stabilità!) o posarlo sul cofano della propria auto, che pagando la tassa di circolazione è già legittimata, di fatto, ad occupare il suolo pubblico.
Ma piantiamola!

Volendo affrontare l’argomento un po’ più seriamente, dobbiamo dire innanzitutto che non esiste nessuna legge dello Stato che disciplini l’uso del cavalletto: l’occupazione del suolo è materia sulla quale i Comuni hanno piena autonomia.
La TOSAP/COSAP (Tassa/Canone per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche) è entrata in vigore con Decreto Legislativo n. 507/1993 (articoli 38-57).
La norma dice chiaramente che sono soggetti alla tassa coloro che occupano il suolo pubblico per svolgere attività professionali o commerciali (quindi, ad esempio, chi monta una bancarella per vendere delle merci), o per manifestazioni politiche (il palco di un comizio) o religiose.
Nell’articolo 39 è chiaramente detto che deve pagare la tassa colui che “trae il beneficio economico dall’utilizzazione dell’area”.
Se così stanno le cose, allora diventa consequenziale che chi impedisce al fotoamatore di montare il cavalletto per riprendere la facciata di un palazzo compie – ai sensi della normativa vigente – un abuso.
Diversa – lo ammetto – è la mia situazione: io faccio fotografia per trarne un utile, perciò non avrei nulla da eccepire se mi venisse contestato, purché con valide argomentazioni, l’uso del cavalletto.
Perciò, cari fotoamatori, qualora un esponente della Pubblica Amministrazione vi intimasse di rinunciare all’uso del cavalletto, chiedetegli di indicarvi esplicitamente a quale articolo di quale legge o regolamento locale si riferisce; se non ve lo sa indicare, potrete chiedere l’intervento di un suo superiore o di un’autorità di grado più elevato.
Un giorno, mentre riprendevo le facciate di alcuni edifici storici, uno zelante custode uscì da un palazzo privato (che peraltro non stavo inquadrando) intimandomi di andarmene perché – secondo lui – era vietato fotografare palazzi.
“Facciamo così” gli risposi con molta calma: “lei adesso chiama i carabinieri e noi due li aspettiamo insieme”.
Ovviamente non lo fece, ma rientrò brontolando nella sua guardiola.
In ultima analisi, sta al singolo decidere se mettersi a discutere, affrontando magari perdite di tempo e arrabbiature, spesso con esito deludente (come afferma Charlie Brown, “ogni volta che un uomo lotta contro un’istituzione, è l’istituzione che tende a prevalere”), o se spostarsi di poco per continuare a lavorare senza dover subire l’ottusa arroganza di un piccolo, meschino e frustrato rappresentante del potere.

Alla prossima.

Gallery

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