Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

FEBBRAIO 2015

Marketing territoriale e fotografia del territorio

Introduzione
Perché l’Unesco ha dichiarato le Dolomiti “patrimonio dell’umanità”?
Perché non il Monte Bianco (la vetta più alta d’Europa), o il gruppo del Monte Rosa con i suoi Quattromila (senza contare il Cervino!), o il Gran Paradiso, cuore del primo parco nazionale italiano?
 Semplicemente perché – al di là degli indiscutibili motivi geologici e paesaggistici – intorno alle Dolomiti si è da sempre organizzata un’eccellente operazione di marketing territoriale, capace di valorizzare non soltanto le bellezze naturali o la spettacolarità dei panorami, ma anche il rapporto dell’uomo con il suo territorio, e cioè la civiltà, la cultura, i costumi, i servizi turistici, la cucina e i vini.
 Marketing territoriale è la capacità di definire – sul lungo periodo – progetti, programmi e strategie di sviluppo di un territorio; è saper dare valore alle specificità e alle tradizioni di ogni singola comunità, che possono diventare un potente volano per una crescita sostenibile, nel rispetto e per la valorizzazione delle culture e dei particolarismi locali.
 
Marketing territoriale e fotografia
Che cosa c’entra la fotografia con tutto questo?
C’entra tantissimo, ovviamente, perché l’immagine (nella sua accezione più generale, e l’immagine fotografica in particolare) è oggi la più potente, immediata ed efficace forma di COMUNICAZIONE!
 L’immagine sa sintetizzare in un unico sguardo concetti complessi, ma soprattutto è un tipo di comunicazione al quale non ci possiamo sottrarre: noi siamo liberi di non leggere un messaggio scritto, di spegnere radio e TV, di non consultare il sito internet che ci viene suggerito, ma non possiamo non vedere un’immagine. E nel momento in cui la vediamo, il messaggio è già passato!
L’efficacia comunicativa dell’immagine non è una scoperta recente. Già san Gregorio Magno credeva nella forza evocatrice della mente che guarda un’immagine, tanto da insegnare la religione al volgo analfabeta proprio attraverso le immagini: “Videndo legant quae legere in codicibus non valent”. A questo servivano, dopotutto, i mosaici delle basiliche ravennati.
L’età in cui viviamo è pesantemente condizionata dall’immagine, la quale in molti casi non solo affianca, ma addirittura sostituisce la parola scritta. L’efficace termine coniato Da Romàn Gubern, “iconosfera”, descrive meglio di ogni altro il mondo di immagini nel quale l’uomo della società tecnologica è costantemente e spesso inconsapevolmente immerso.
Di fatto possiamo tranquillamente concordare con chi parla di “era postalfabetica”, non tanto nel senso che i codici linguistici abbiano perso la loro efficacia informativa, quanto piuttosto perché essi sono stati ormai in molti casi soppiantati (in termini di efficacia e rapidità di trasmissione del messaggio) dai codici iconici.
Ecco dunque l’importanza che una buona immagine può rivestire nel raccontare un territorio.

L’importanza della qualità dell’output
Abbiamo parlato non a caso di “buona” immagine.
A dispetto di chi pensa che tutto si possa aggiustare con Photoshop, una buona immagine nasce al momento della ripresa. Anzi, ancor prima, una buona immagine nasce quando il fotografo individua, negli stimoli visivi (tutti equiprobabili) presenti alla fonte, quei pochi elementi ai quali affidare valore di segno. Questi saranno strutturati in base a un codice capace di attribuire significato non solo ai singoli elementi, ma anche e soprattutto alle loro relazioni reciproche, in modo da strutturare un messaggio quanto più possibile chiaro, comprensibile e ricco di valenze emozionali.
In una fase successiva la postproduzione (lo sviluppo e la stampa del negativo, o in alternativa l’elaborazione digitale in “camera chiara”) migliorerà l’efficacia del messaggio, sottolineando gli aspetti ai quali l’autore vuole attribuire maggiore importanza.
L’output derivante da questo processo, non solo tecnico ma anche e soprattutto creativo, sarà l’immagine finale, che sarà sottoposta al giudizio dello spettatore.
In tema di comunicazione visiva, dalla qualità dell’output dipendono non soltanto il godimento estetico da parte del destinatario, ma anche e soprattutto l’efficacia della comunicazione e la persistenza dell’informazione nella sua memoria.
Comunicare il territorio attraverso le immagini impone prima di tutto la necessità di curare minuziosamente proprio quegli aspetti qualitativi che oggi sono così spesso negletti.
Inquadrature inclinate, facciate con linee verticali convergenti, composizioni casuali sono frequenti non soltanto sui pieghevoli turistici distribuiti dalle agenzie di viaggi, ma anche sulle pubblicazioni istituzionali di enti locali territoriali. Errori che forse sfuggono all’osservatore non preparato (cioè non educato alla “lettura” dell’immagine) ma che certo non passano inosservati a chi sa apprezzare, anche in un’informazione promozionale, la gradevolezza di un prodotto ben fatto e correttamente confezionato. A nessuno verrebbe in mente di pubblicare un testo sgrammaticato; non si vede perché pubblicare fotografie formalmente sbagliate!
Questo impone la necessità, da parte del committente, di rivolgersi non soltanto a chi abbia la capacità “strumentale” di realizzare fotografie tecnicamente riuscite, ma anche e soprattutto a chi sia in grado di capire e interpretare correttamente le reali esigenze di comunicazione del cliente.
Il professionista è in grado di interfacciarsi in modo corretto con il committente, sa che cosa questi si aspetta da lui e possiede il “mestiere” necessario per far fronte alle sue richieste. Sa come interpretare ciò che vede e come strutturare il messaggio iconico in modo efficace dal punto di vista comunicativo; durante una campagna fotografica è in grado di prevedere e prevenire gli imprevisti e sa con quali accorgimenti risolverli o aggirarli.
L’evenienza banale rappresentata dal cattivo tempo, capace di scoraggiare il dilettante imponendogli di rinunciare alla fotografia, può ad esempio essere sfruttata dal fotografo esperto come occasione di estrinsecare la propria creatività nell’elaborazione di un’immagine “diversa” e lontana dai canoni consueti, soprattutto quando il lavoro deve essere consegnato immediatamente – come il più delle volte succede – per una pubblicazione che deve andare in stampa il giorno dopo.

Raccontare il territorio, non celebrarlo
Di fronte a lavori che a volte comportano – per le amministrazioni pubbliche – un impegno finanziario spesso non indifferente, quali l’affidare a un fotografo professionista una campagna di valorizzazione del territorio, occorre evitare il rischio, sempre presente, di generare prodotti di natura esclusivamente celebrativa, immagini spettacolari utili ad illustrare strenne e volumi patinati, ma che alla fine si rivelano soltanto un vano sforzo di crescita autoreferenziale di immagine.
In realtà la fotografia permette di attualizzare e storicizzare il territorio attraverso l’interpretazione creativa del fotografo, attento non soltanto agli aspetti celebrativi e “turistici”, ma anche alle dinamiche sociali che nel territorio si esprimono e si evolvono. Ovviamente questo non è possibile se non si è capaci – come già avevamo accennato – di “immergersi” nel territorio, di viverlo e di fare esperienza diretta di ogni suo aspetto non soltanto climatico, paesaggistico, strutturale, ma anche e soprattutto sociale e culturale.
Il che sembra contrastare con la tendenza attuale del “vedere apparente”, dell’esplorare per categorie e astrazioni (o pregiudizi), del soggiacere a stereotipi capaci di proporre una visione del territorio che quanto più appare luccicante e patinata tanto più è lontana dal comunicare la sua vera natura.
Insomma, comunicare il territorio per immagini produce un output che non consiste soltanto nella messa a disposizione di immagini spendibili ai fini della promozione turistica, ma anche e soprattutto in un lavoro di documentazione, testimonianza e storicizzazione che può costituire un elemento irrinunciabile di collaborazione alla pianificazione territoriale.
L’idea non è nuova.
Negli anni Ottanta intorno al fotografo Luigi Ghirri si svilupparono ricerche formali e artistiche sul paesaggio che anticipavano idee e concetti oggi acquisiti. La fotografia era chiamata ad assumere la funzione di medium capace di interpretare e comunicare i valori culturali e sociali – oltre che estetici – di un luogo.
Sotto questo aspetto il marketing territoriale si arricchisce – grazie alla fotografia – di valori capaci di sottolineare quelle potenzialità locali che si caratterizzano come volano dello sviluppo economico e sociale dei luoghi.

Be local!
Raccontare il territorio con la fotografia significa allora essere consapevoli della forza comunicativa delle immagini, che non vanno considerate come una semplice descrizione/riproduzione del luogo e dei suoi aspetti estetico-paesaggistici, ma come elementi capaci di evocare atmosfere e sensazioni, inducendo lo spettatore ad approfondirne la conoscenza.
Questo richiede, da parte del fotografo-comunicatore, capacità non soltanto tecniche e una conoscenza del territorio non improvvisata.
“Be local!”, siate locali, raccomandano le più accreditate agenzie fotogiornalistiche americane!
Solo chi conosce bene il territorio (non solo perché “ci” vive, ma anche e soprattutto perché “lo” vive) è in grado di raccontarlo al meglio.
Non illudiamoci di poter piazzare sul mercato le fotografie fatte durante una vacanza in Egitto, perché là noi scatteremo le foto che fanno più o meno tutti.
Ma di sicuro riusciremo a vendere le fotografie scattate nella nostra regione, perché solo noi la conosciamo così a fondo da saperne interpretare ogni aspetto, cogliere ogni taglio di luce, individuare i particolari capaci di evidenziarne l’originalità.
Tutto questo richiede al fotografo un profondo coinvolgimento personale.
Per raccontare un territorio, infatti, occorre viverlo, parteciparvi, assaporarne i profumi e le atmosfere, insomma entrare in comunione con quel genius loci di cui parlavano i latini.
E poiché – come affermava il grammatico Servio – “nullus locus sine genio” – ecco che conoscere un luogo significa prima di tutto conoscere e capire lo “spirito” che lo caratterizza, uno spirito fatto essenzialmente di cultura e di vita.
E’ per questa ragione che comunicare un luogo attraverso le immagini significa prima di tutto saperne cogliere e interpretare gli aspetti culturali e sociali, comprendendo in questo usanze, costumi, gastronomia, modi di abitare e di condividere gli spazi, di preparare e consumare il cibo, prodotti locali e lavorazioni tradizionali.
Conoscere davvero un territorio vuol dire perciò saper approfondire quegli aspetti che a noi uomini tecnologici appaiono forse marginali, o tutt’al più relegati nell’ambito del folclore, ma che rappresentano elementi fondanti del vivere civile e aspetti primari dell’appartenenza ad una comunità per chi vive in modo autentico e non virtuale.
Così lo studio strettamente morfologico del territorio cede il passo a una visione interpretativa di aspetti e valori che l’occhio sensibile ed esperto (non solo tecnicamente) del fotografo sa esprimere ed evocare.
La tradizionale rappresentazione dei luoghi viene così riempita di contenuti, la cartolina cede il posto alla Fotografia (la maiuscola non è casuale), il reportage diventa la testimonianza dei cambiamenti e dell’evoluzione non solo di un territorio, ma anche e soprattutto della sua cultura.
Le fotografie pubblicate in calce vogliono illustrare come – spesso – i particolari e gli scorci inusuali siano in grado di raccontare un territorio in modo creativo, suscitando nello spettatore più curiosità di quanto non farebbe il “solito” grandioso panorama d’insieme.

Alla prossima.

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