Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

OTTOBRE 2017

West

Il 21 agosto scorso, giorno dell’eclissi totale di sole, mi trovavo con la famiglia nel Wyoming e più precisamente a Cody, la città di Buffalo Bill.
Se immaginate una cittadina del Far West, beh, è questa.
A parte gli inevitabili stores per turisti e i ristoranti più o meno tipici (tra cui il famoso “Irma”, fondato dallo stesso William Cody), la struttura del centro cittadino è tipicamente western.
All’ingresso dei locali pubblici (compreso il museo locale), appositi cartelli avvertono che “è vietato entrare con le armi”.
Quella mattina tutta la famiglia si svegliò di buon’ora: dovevamo metterci in macchina e procedere verso sud, lungo la U.S Highway 20 e il Wind River Canyon fino a Shoshoni, alla ricerca di un luogo aperto e adatto all’osservazione del fenomeno, previsto per la tarda mattinata.
Dopo una breve sosta a Shoshoni decidemmo di proseguire ancora verso sud-est, allo scopo di superare una leggera ma sospetta copertura nuvolosa.
Fermammo l’auto dopo alcune miglia, all’incrocio con una strada sterrata che si inoltrava nella prateria, probabilmente diretta a un lontano ranch.
Seguimmo con entusiasmo tutte le fasi dell’eclissi, affascinati soprattutto dall’oscurità che scendeva uniforme circondando il paesaggio da ogni direzione (non come al crepuscolo, quando il buio arriva da est), dall’ombra della luna che si avvicinava divorando la prateria con la velocità di un treno e dall’improvviso ammutolirsi degli uccelli e degli insetti che frinivano tra le aride artemisie e le erbe stente.
Decisi di non sprecare tempo a fotografare l’eclissi: c’erano accanto a me fior di astrofili, giunti fin lì su giganteschi camper ed equipaggiati con strumenti adeguati.
Io avevo un misero 300 millimetri con un filtro ND.
Scattai alla svelta tre foto che non meritano di essere mostrate, perché quello che mi interessava era guardare, non fotografare.
Il momento della totalità durò troppo poco per consentirmi di togliere il filtro: l’unica fotografia riuscita la fece mio figlio con il suo zoom.
Ma va bene così.
Avevo visto l’eclissi del 1961 a Torino, all’età di dieci anni.
Quella del 21 agosto scorso è stata probabilmente l’ultima della mia vita, il vero motivo dell’intero viaggio: per questo preferivo osservarla, godermela, gustarla senza l’ansia di trasformare anche quei momenti in un lavoro.
La cosa bella accadde dopo, quando, dirigendoci verso nord, ci ritrovammo imbottigliati nel traffico: coloro che pochi minuti prima erano sparsi in centinaia di miglia quadrate di prateria, ora si ritrovavano tutti insieme sulla Hwy 20, l’unica strada possibile per risalire verso nord.
Tutti, ovviamente, seguivano fedelmente le indicazioni dei loro navigatori satellitari, che indicavano necessariamente quella strada come l’unica percorribile.
Per fortuna avevamo anche una mappa cartacea della regione, per cui iniziammo a consultarla alla ricerca di un’alternativa.
“Carta batte Google uno a zero” constatai, non senza soddisfazione.
Trovammo una strada sterrata che si distaccava dalla Hwy 20 poco a nord di Shoshoni e, aggirando le Copper Mountains, si spingeva dapprima verso est per poi ritornare indietro, verso nord-ovest e la città di Thermopolis.
Non avevamo la minima idea di come sarebbe stato il fondo stradale, ma piuttosto che trascorrere le successive cinque o sei ore in una lunga coda sul fondo del Wind River Canyon, preferimmo tentare l’avventura, fidando nelle solide ruote e nella trazione integrale del nostro mezzo di trasporto.
Fu una decisione felice: 86 miglia di sterrato (neppure troppo dissestato) in mezzo a praterie sconfinate, cespugli di artemisia, rare pozze d’acqua, ranch isolati in mezzo al nulla, mandrie di mustang selvaggi che ci attraversavano la strada, bovini semibradi, antilopi della prateria e vedute mozzafiato, mentre gli ululati dei coyote echeggiavano fra le colline di arenaria rossa.
In quasi quattro ore di percorso incontrammo sì e no tre auto.
Regolarmente, incrociandoci, i conducenti ci chiedevano se andasse tutto bene e se avessimo bisogno di qualcosa: la rude gentilezza del West, che già altre volte avevo avuto modo di apprezzare, dettata dalle necessità della sopravvivenza in un ambiente ostile e desertico.
In effetti, se l’auto si fosse guastata o fosse finita in una “trappola di sabbia”, come se ne incontrano a volte sulle sterrate del West, saremmo stati davvero nei guai, data la temperatura elevata, l’assenza di acqua e l’inesistenza di una qualunque copertura cellulare.
Incontrammo anche un cow-boy, non a cavallo ma accanto al suo fuoristrada, che osservava la sua mandria con il binocolo.
Non potemmo non notare il pesante revolver che gli pendeva dalla cintura.
Mio figlio Giorgio scese dall’auto per chiedergli se fossimo sul giusto percorso: poche parole per rispondere che sì, lo eravamo, sarebbe bastato proseguire verso ovest.
Una poderosa stretta di mano, “nice to meet you” e ritornò al suo lavoro.
Ormai mancavano poco meno di dieci miglia a Thermopolis: potevamo rilassarci e dedicare più tempo alla fotografia e all’osservazione del paesaggio.
Dopo mezz’ora eravamo di nuovo nel traffico.
Avevamo vissuto la più bella avventura di tutto il viaggio.

Alla prossima.

Gallery

Costruzioni isolate, steccati bianchi e cavalli al pascolo a nord di Riverton, Wyoming. Il Wind River, la ferrovia e la prateria sconfinata a nord di Shoshoni. A sinistra, nella foschia, le Copper Mountains. Uno dei rari alberi secolari che crescono nell’arida prateria, sfruttando la poca acqua che si raduna nelle depressioni del terreno. A sinistra, la strada sterrata che aggira le Copper Mountains, affiancata dai tipici tralicci (di solito in legno, qui in metallo) e dalle immancabili colline di arenaria rossa. Cavalli selvaggi nella prateria. ILa mappa del nostro percorso. I circoletti rossi segnano il percorso della U.S. Highway 20 lungo il Wind River Canyon; la linea continua di colore azzurro segna il percorso alternativo: 86 miglia di sterrato in mezzo al nulla.