Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

MAGGIO 2021

Quando il cielo “spara”

Osservate l’immagine pubblicata qui sotto.
È stata scattata controluce, calcolando l’esposizione sul paesaggio terrestre.
Il paesaggio risulta esposto correttamente, con tutti i particolari leggibili, ma il cielo è fortemente sovraesposto.
Immagine 01
Nella seconda foto, invece, l’esposizione è stata calcolata sul cielo: le nuvole sono ben visibili, ma il paesaggio è completamente in ombra.
Immagine 02
Recuperare queste ombre in postproduzione si rivelerebbe rischioso, perché l’aumento del segnale provocherebbe inevitabilmente un aumento del rumore elettronico.
Nella maggior parte dei sensori, risulta quindi più conveniente esporre per le ombre e poi recuperare le alte luci, eventualmente ricorrendo a regolazioni locali o al filtro digradante reso disponibile dai più diffusi software di trattamento (vedremo più avanti perché abbiamo detto “nella maggior parte dei sensori”).
Tuttavia ci sono occasioni in cui il contrasto è talmente elevato che nemmeno le regolazioni locali possono risolvere il problema: se nel cielo ci sono luci bruciate (cioè se i livelli RGB raggiungono un valore prossimo o uguale a 255), i particolari presenti in quell’area non potranno in alcun modo essere recuperati, semplicemente perché il sensore non li ha registrati, come si può vedere nella fotografia qui sotto.
Immagine 03
Ovviamente ci sono occasioni nelle quali questo si può considerare normale: quando il sole entra direttamente nell’inquadratura, ad esempio, è logico che quell’area appaia completamente bianca, cada cioè nella zona X del sistema zonale (255-255-255 nel modello RGB).
Come facciamo a sapere, in fase di ripresa, se potremo recuperare le alte luci?
E, di conseguenza, come facciamo a sapere qual è la coppia tempo-diaframma che ci consentirà di ottenere il risultato migliore, cioè quello più facilmente trattabile in postproduzione?
Semplicemente calcolando l’esposizione in modo intelligente, cioè misurando separatamente le diverse aree della scena, dopo avere deciso dove far cadere il grigio medio: una procedura che abbiamo già esaurientemente trattato sia in diversi tutorial pubblicati su YouTube, sia negli articoli pubblicati mensilmente su questo sito.
Se la differenza tra la zona più chiara e la zona più scura rimarrà entro un range di sei o sette stop, potremo stare relativamente tranquilli: il sensore sarà certamente in grado di registrare correttamente tante le ombre quanto le luci.
Perché solo sei o sette stop?
La gamma dinamica dei sensori non è molto più estesa?
Sì, ma la gamma dinamica reale che noi riusciamo a sviluppare fotografando sul campo non coincide con quella teorica, e sicuramente sarà ancora inferiore a quella che otterremo in stampa, perché in stampa i toni estremi della scala tendono ad appiattirsi.
E non parlo solo della stampa su carta fotografica, ma anche e soprattutto della stampa tipografica, che rappresenta l’output finale per il professionista che lavora per riviste, cataloghi o pubblicazioni di qualsiasi natura.
Ovviamente non tutti i sensori rispondono nello stesso modo ai contrasti tonali: io raccomando in modo generico di lavorare in ETTR (cioè sovraesponendo in fase di ripresa), perché la maggioranza dei sensori recupera più facilmente le alte luci che le ombre.
Ma non tutti si comportano nello stesso modo: per questo occorre conoscere alla perfezione il comportamento del proprio sensore per ottenere un’immagine quanto più ricca possibile dal punto di vista tonale.
Se invece la differenza tra ombre e luci sarà superiore a quanto il sensore è in grado di registrare correttamente, e quindi non sarà possibile compensare adeguatamente i contrasti (anche ricorrendo ad aggiustamenti e regolazioni locali separate), abbiamo tre possibilità.
La prima, la più semplice, è quella di rinunciare alla fotografia: ci sono molti altri modi per raccontare quella situazione o quel soggetto, e non c’è scritto da nessuna parte che noi dobbiamo scegliere proprio quello che ci mette più in difficoltà.
La seconda è quella di ricorrere alla tecnica dell’HDR.
Ma questo, come chiunque può facilmente constatare osservando la miriade di HDR pubblicati su Instagram o Flickr, rischia di generare immagini artefatte e poco realistiche.
L’HDR ben fatto è possibile, ma richiede tempo, abilità e conoscenze che di solito non fanno parte del bagaglio del fotoamatore medio.
La terza è quella di equilibrare già in ripresa il forte scarto tonale, ricorrendo a filtri digradanti grigio-neutro.
Il filtro digradante, colorato solo su metà superficie, è in grado di abbassare l’esposizione della zona illuminata quel tanto che basta a comprendere gli scarti tonali entro un valore accettabile e perfettamente trattabile.
Spesso è sufficiente un solo stop di differenza per aiutare il software di trattamento a lavorare nelle migliori condizioni.
Esistono filtri digradanti colorati, spesso con colori decisamente fantasiosi e sinceramente improbabili.
Andavano di moda, soprattutto in ambito pubblicitario, negli anni Ottanta.
Personalmente li evito, perché rischiano di generare effetti ridicoli, come la neve delle montagne colorata di azzurro (perché il fotografo non è stato attento a posizionare correttamente l’area di transizione), o un tramonto rosso fuoco che però non si riflette nell’acqua.
Come abbiamo spesso ricordato, i filtri devono essere puliti, possibilmente originali e usati sempre insieme al paraluce.
I filtri originali (cioè della stessa marca degli obiettivi in uso) garantiscono la massima accuratezza costruttiva e l’assenza di interferenze ottiche dovute alla disparità del trattamento antiriflesso del filtro e dell’obiettivo.
È vero, sono più costosi dei filtri universali, e sicuramente un osservatore inesperto non noterebbe la differenza sull’immagine finale, soprattutto se stampata, o visualizzata a un ingrandimento ridotto.
Ma a volte il professionista lavora per clienti che sono in grado di notarla, e a questi deve dare un prodotto di qualità ineccepibile.
Ovviamente non è questa la preoccupazione del fotoamatore, che – se si accontenta – può rivolgersi a un prodotto meno costoso.
Però attenzione: nella marea di offerte che il mercato propone è facile incappare nella classica fregatura.
L’unico suggerimento che posso dare è chiedere consiglio al proprio fornitore di fiducia (un negoziante esperto è in grado di fornire quell’assistenza che inevitabilmente manca negli acquisti in rete), oppure, se si sceglie questa seconda via, di consultare con attenzione i giudizi degli utenti che hanno già acquistato il prodotto, senza farsi fuorviare dal miraggio del prezzo più basso.
Se il cielo è molto chiaro ma con valori tonali ancora recuperabili, è possibile utilizzare il già citato filtro digradante digitale presente nei migliori software di trattamento del RAW.
Il vantaggio, rispetto ai filtri fisici, è che il filtro digradante digitale permette di regolare con continuità non solo la luminanza, ma anche altri parametri quali il contrasto, l’equilibrio tra luci e ombre, la saturazione e anche la sfumatura di colore.
Le due fotografie qui sotto mostrano come sia stato possibile recuperare le informazioni presenti nelle nuvole, che il sensore aveva sicuramente registrato ma che la forte luminosità non “permetteva” di cogliere al meglio.
Immagine 04 Immagine 05
Alla prossima.