Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

MARZO 2021

Violare le regole?

Sento spesso ripetere una frase fatta, che mi sta antipatica come del resto tutte le frasi fatte: “Le regole sono fatte per essere violate”.
Quando sento questo mi arrabbio.
Perché è un ragionamento perverso, stupido e tipico di una mentalità purtroppo diffusa, ma capace di provocare danni inimmaginabili.
Cavoli, se vado a duecento all’ora in tangenziale nell’ora di punta o passo regolarmente col rosso non sono un creativo, sono un idiota e un potenziale assassino.
Le regole hanno un loro perché.
Possiamo metterle in discussione, soprattutto quando questo perché viene a mancare, o è stato superato dai tempi.
Possiamo lavorare per cambiarle, ma violarle per il solo gusto della trasgressione rivela una mentalità immatura e disturbata.
Parliamo di letteratura.
Voi dite: ci sono scrittori che volutamente violano la grammatica e la sintassi.
Pensiamo a Bukowski, a James Joyce, o al nostro Andrea Camilleri, che addirittura si è inventato una lingua tutta sua, che non è siciliano e non è italiano, ma uno strumento di comunicazione verbale assolutamente originale e potentemente creativo.
E allora, perché noi dobbiamo sottostare alle regole dello scrivere che ci hanno insegnato a scuola?
Io rispondo: diventa James Joyce e poi ne riparliamo.
Non perché chi è famoso può fare quello che vuole, questa è una mentalità da perdenti, ma perché Bukowski, Joyce o Camilleri possono scrivere in quel modo soltanto grazie a una conoscenza delle regole talmente approfondita da potersi permettere di superarle, creandone di nuove, elaborando una grammatica e una sintassi del tutto originali, capaci di adattarsi ai contenuti del messaggio.
Se Camilleri sbaglia un congiuntivo è arte, perché lo fa volutamente e a ragion veduta, ben conoscendo l’uso dei tempi e dei modi verbali e ben sapendo quale effetto vuole ottenere sul lettore.
Se un parlamentare o un calciatore sbagliano un congiuntivo non è per licenza poetica, è per ignoranza (ben più grave nel parlamentare, ma questa è un’altra storia).

In fotografia accade la stessa cosa, perché la fotografia è uno strumento del comunicare e ha anch’essa la sua grammatica e la sua sintassi.
Le verticali convergenti sono un errore, tranne quando l’effetto è voluto, ma in questo caso bisogna comporre l’immagine secondo uno schema ben preciso, perché l’osservatore deve capire che ho voluto superare la regola con intento creativo, non che ho sbagliato la foto per ignoranza.

Dall’altra parte, ci sono persone che insegnano a rispettare le regole in modo rigido e intransigente. Alcune di queste persone, purtroppo, si presentano come esperti o come maestri.
Loro hanno imparato le regole e le ripetono acriticamente, spesso copiandosi l’uno con l’altro e senza chiedersi le ragioni profonde, spesso derivate dall’arte o dalla storia, che stanno alla base di ogni regola e la giustificano.
Insegnano a fotografare ripetendo che l’incrocio dei terzi è l’unico modo corretto per comporre l’immagine, senza chiedersi da dove provenga e che significato abbia, nell’arte occidentale, quel particolare modo di disporre gli elementi nello spazio, e di conseguenza in quali occasioni, e con quali modalità, sia possibile andare oltre la regola.
Insegnano che mettendo a fuoco sull’iperfocale si otterrà “tutto a fuoco” dall’infinito alla metà della distanza iperfocale, senza ragionare sul fatto che questa regola nata ai tempi della pellicola, quando un negativo non veniva stampato in dimensioni superiori al 20×30, non ha alcun senso ai tempi del digitale, quando un’immagine viene giudicata visualizzandola al 100%.
O ancora la bufala del “tempo di sicurezza”, secondo cui posso ottenere fotografie nitide lavorando a mano libera con un trentesimo o un cinquantesimo (a seconda dell’obiettivo che uso), salvo poi percepire una nitidezza da schifo e dare la colpa all’obiettivo economico.
Anche in questo caso, una regola nata quando il fattore di ingrandimento era sufficientemente contenuto da poter nascondere un leggero micromosso, ma improponibile con il digitale.

Certo, darsi delle regole e seguirle senza discutere è comodo e facile: si pensa di meno, si risparmiano energie (per cosa, poi?).

Per questo dico che le regole non vanno violate, ma possono essere superate: conoscendone la genesi e le motivazioni, si può capire quando applicarle in modo rigido e quando – al contrario – può essere più efficace un’interpretazione personale, capace di rendere originale, inatteso, e quindi più creativo, il nostro messaggio.

Alla prossima.