Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

LUGLIO 2013

I filtri digradanti

Proseguiamo la nostra carrellata sui filtri, iniziata nel mese di maggio, parlando dei filtri digradanti e delle loro alternative digitali, in realtà molto più efficaci…
Ma andiamo con ordine.
I filtri digradanti, o gradual, sono per metà trasparenti e per metà colorati o grigi. Il passaggio dalla zona trasparente alla zona colorata non è netto, ma graduale e sfumato.
La loro funzione è duplice.
Prima di tutto, se colorati, inducono una forte dominante cromatica in corrispondenza della zona dell'inquadratura coperta dal colore. I cieli viola, tabacco o malva che andavano di moda negli anni Ottanta, soprattutto in ambito pubblicitario, erano ottenuti in questo modo. Oggi questi effettacci appaiono ingenui e gratuiti, ma c'è ancora qualcuno che mostra di apprezzarli.
Attenzione: non usate questi filtri per colorare il cielo quando nella parte bassa dell'inquadratura c'è dell'acqua: simulare un cielo incendiato dalla luce del tramonto non è sufficiente se poi quello stesso cielo non viene riflesso.
Seconda precauzione: non usare i filtri digradanti se la linea dell'orizzonte non è diritta. In presenza di montagne o edifici di diversa altezza si rischia di colorare anche le cime o i tetti più alti. Ovviamente se la linea di demarcazione tra cielo e paesaggio terrestre è netta ma inclinata (come avviene ad esempio fotografando un pendio) il filtro digradante può essere ruotato nella sua sede e posizionato obliquamente.
La seconda funzione di questi filtri, la più seria e professionale, è quella di compensare la differenza di esposizione esistente tra due zone dell'inquadratura. In presenza di forte scarto tonale tra cielo e paesaggio terrestre, ad esempio, si rischierebbe di avere un cielo troppo chiaro (se si espone per il paesaggio), o al contrario un paesaggio illeggibile (se si espone per il cielo). Un filtro digradante grigio, con la zona scura posta in corrispondenza del cielo, bilancerà il contrasto tonale senza indurre dominanti cromatiche. In presenza di cieli azzurri e liberi da nubi (che se presenti verrebbero colorate) si può - con giudizio! - sostituire al grigio neutro un digradante azzurro.
Nonostante lo spazio che abbiamo dedicato a questi filtri, che ancora usa chi lavora su pellicola, va detto che il digitale li ha resi praticamente inutili.
I software di trattamento permettono infatti di simulare l'effetto dei filtri digradanti, con il vantaggio di poterne regolare l'intensità, il contrasto, la saturazione e il colore, il tutto con un effetto molto naturale.

Si osservino le due fotografie pubblicate qui sotto.

immagine 1 immagine 2

La prima è la fotografia "as shot", come appariva appena scaricata dalla scheda di memoria e aperta in Adobe Camera Raw. Sia il cielo che l'acqua del fiume appaiono alquanto insignificanti e tendenzialmente sovraesposti, logico effetto collaterale dell'avere calcolato l'esposizione per il paesaggio. Ma il sensore registra tutte le informazioni, anche quelle che non vediamo, e io sapevo che quel cielo era molto più interessante di come lo percepivo a video.
Perciò (seconda immagine) ho dapprima applicato un filtro digradante grigio sul cielo, diminuendo l'esposizione di due stop, abbassando le alte luci ed aumentando contrasto e saturazione. In questo modo i toni di grigio presenti nelle nuvole si sono differenziati acquistando rilievo. Poi ho applicato un filtro digradante anche all'acqua in primo piano per renderla meno "sparata" e più cupa, adatta al clima temporalesco che mi aveva spinto a scattare la fotografia.
Tengo a precisare che questi interventi di postproduzione non sono dei "falsi" e non alterano in alcun modo la pretesa "naturalità" dell'immagine: in un'immagine digitale (numerica!) non c'è nulla di "naturale" e sicuramente il RAW catturato dal sensore non è - né può essere - la "riproduzione" fedele di ciò che avevamo visto. In realtà sul sensore le informazioni ci sono tutte, anche quelle riguardanti la differenza di toni tra le nuvole. Se non ci fossero state non avrei potuto evidenziarle.
La postproduzione, infatti, non fa altro che mettere in risalto alcune caratteristiche dell'immagine (che il sensore ha registrato) minimizzandone altre.
Nulla di diverso da ciò che si faceva e ancora si fa in camera oscura, quando da un negativo in bianco e nero si traggono stampe tra loro molto diverse, ognuna delle quali è in grado di mettere in risalto una o più caratteristiche dell'immagine.
Alla prossima.