Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

LUGLIO - AGOSTO 2017

Un cliente come lei

Sono un professionista fortunato.
Lavoro con i miei tempi e con i miei ritmi e riesco a organizzare in autonomia la mia giornata, se si eccettuano sporadiche inevitabili urgenze o necessità familiari (che comunque esulano dall’àmbito lavorativo).
Ciò non vuol dire che me la prenda comoda: a volte inizio un lavoro e non mi fermo finché non l’ho finito, perfezionato, cesellato e consegnato con i fiocchi e le frange, anche se questo implica un numero di ore di lavoro incompatibile col buonsenso e con l’ipertensione.
In questo la mia mentalità sabauda (di origine culturale, più che genetica) ha il suo peso e la sua influenza: mi è stato insegnato (e ci credo fermamente) che quando si comincia un lavoro lo si porta fino alla fine, nel miglior modo e con il massimo impegno possibile.
Questo vale tanto per i lavori che implicano un ritorno economico quanto per quelli che determinano un semplice ma indispensabile ritorno di immagine, come gli articoli (che le riviste non pagano più), i libri (i cui diritti d’autore non ripagano neppure lontanamente il tempo e le energie impiegate per scriverli) o i filmati didattici su YouTube: tutta roba che non ti riempie il frigorifero ma consente al tuo nome di girare e rimanere sul mercato, perché – come viene ripetuto, tipo mantra, in tutti gli ambienti accademici – “publish or perish”.
Altre volte riesco a seguire ritmi più rilassati, soprattutto quando decido di fotografare ciò che semplicemente mi piace, tanto so che riuscirò comunque a piazzare le immagini; e se questo non avviene, poco male: sarà stata una pausa di puro divertimento.

Ma sul fronte della comunicazione seguo un principio ferreo (anche in questo, sabaudo): quando uno possiede un indirizzo di posta elettronica, allora lo deve controllare quotidianamente.
Se non lo può controllare perché sta con Megan Fox alle isole Vanuatu e giustamente ha gettato lo smartphone nell’oceano, allora incarica qualcun altro di farlo per lui.
Se è un’azienda individuale e non ha collaboratori, allora inserisce un messaggio automatico per far sapere ai suoi corrispondenti da quale data sarà di nuovo disponibile (o che ha deciso di rimanere per sempre alle Vanuatu con Megan Fox, beato lui).
Io faccio così (nel senso che mi rendo reperibile, non che vado alle Vanuatu con Megan Fox), e mi aspetto che anche gli altri lo facciano, soprattutto le aziende!
La rapidità della risposta a una mia mail di contatto è la discriminante che mi spinge a decidere a quale azienda accordare la mia fiducia: secondo il mio modo di vedere rigido e intollerante, chi risponde entro 24 ore ha capito come funziona il mondo e merita di rimanere sul mercato (ok, tengo conto del fuso orario e concedo un ritardo di due giorni nel weekend e nelle feste comandate); chi fa passare più di 72 ore è meglio che fallisca, perché tanto è inutile.
Voi dite: le grandi aziende ricevono migliaia di mail al giorno, come fanno a rispondere subito? Semplice: formano una squadra di persone, quante ne servono, che facciano solo quello, perché l’attenzione alle esigenze del cliente viene prima di tutto.
È inutile affannarsi a fare vetrina sui social, quando poi non si risponde in tempi ragionevoli a una semplice richiesta di informazioni.

Potrei citare episodi quotidiani, ma mi limito a un aneddoto risalente ad alcuni anni fa (nel pieno della crisi, e quindi in un momento in cui le aziende avrebbero dovuto fare di tutto pur di rimanere sul mercato).
A quell’epoca, accortomi che il mondo stava cambiando e che il mestiere di fotografo (già messo in difficoltà dalla rivoluzione digitale) non sarebbe mai più stato quello di prima, decisi – con felice intuizione, o forse grazie a una semplice botta di… fortuna – di intraprendere una nuova strada, prevedendo che mi avrebbe portato lontano.
Questo però avrebbe implicato un investimento non indifferente per le mie finanze, così mi presi il giusto tempo per acquisire tutte le informazioni necessarie: un’impresa fortunatamente facile per chi abbia accesso a Internet e sappia come usarlo.
L’indagine mi portò a restringere la scelta fra due serie di prodotti e servizi, molto simili ma in concorrenza fra loro; per cui scrissi una mail alle due rispettive aziende chiedendo la loro disponibilità per un contatto più personale.

Una delle due mi rispose quello stesso pomeriggio, chiedendomi un contatto telefonico.
Prima che la giornata si concludesse avevamo stabilito l’appuntamento, ma quello che davvero mi sorprese fu sapere che un loro rappresentante si sarebbe recato da me, per mostrarmi e farmi provare direttamente ciò che avevo chiesto, senza che fossi io a dovermi spostare.
È evidente che non avrei avuto problemi a percorrere duecento chilometri per andare a visitare il loro showroom, ma dal punto di vista psicologico una proposta del genere ha un impatto incredibile sul potenziale cliente, che si sente molto più sicuro e molto più in vantaggio quando l’incontro si svolge nel suo territorio, piuttosto che nel territorio (a lui sconosciuto) della controparte.
Inoltre, un trattamento del genere fa sentire il cliente importante e implicitamente assegna un enorme valore al prodotto.
Insomma, è come possedere una Rolls-Royce: quando non sei tu a doverla portare dal meccanico, ma è il meccanico che viene da te, allora capisci di avere tra le mani un qualcosa di unico.
Il risultato, prevedibile, fu la mia decisione di affidarmi a quell’azienda, non solo perché ero rimasto favorevolmente colpito dalla loro competenza, professionalità e disponibilità, ma anche perché dall’altra parte non avevo avuto riscontri.

Dopo poco meno di tre settimane si fece viva anche la seconda azienda, rispondendo alla mia mail e chiedendomi la disponibilità a un appuntamento nella loro sede.
Poiché certe cose preferisco trattarle direttamente, presi il telefono e chiesi di parlare col firmatario della mail, spiegandogli che ormai avevo ricevuto – e accettato – un’interessante offerta da un'altra ditta.
Il tipo andò su tutte le furie (ahó, ma sarò libero di fornirmi da chi mi pare?), trattandomi praticamente da traditore, perché prima dell’estate mi ero dimostrato interessato ai loro prodotti e adesso avevo scelto quelli della concorrenza.
Sempre più alterato, concluse la telefonata esclamando “Adesso lei mi dice come faccio a spiegare ai miei superiori che ho perso un cliente come lei!”.
Un cliente come me?
Uau, una frase del genere è capace di farmi camminare a dieci centimetri da terra fino a sera!
Ma la mia gigioneria, invece di sentirsi solleticata dall’implicito apprezzamento, era in realtà mortificata dall’aggressione verbale di cui ero stato oggetto.
Mi sentivo quasi in colpa per essermi mostrato interessato a un prodotto e poi non averlo scelto, ma gli affari si conducono in questo modo, e non altrimenti: io sono interessato, ti scrivo, tu non mi rispondi, io vado da un altro che mi ha risposto prima (e si è dimostrato attento, cortese e professionale).
Questo è il libero mercato, libero da patti di fedeltà e regolato solo da una legge, quella della convenienza.
Che non è soltanto convenienza economica, ma anche e soprattutto feeling che si instaura tra compratore e venditore: un rapporto fatto di competenza e disponibilità da una parte, di fiducia e stima dall’altra.

Quanto detto vale anche per i negozianti che si lamentano della concorrenza – spesso ritenuta “sleale” – dell’e-commerce.
Ma quando non si può combattere contro prezzi inevitabilmente più bassi, allora diventa necessario attrarre il cliente con altri argomenti: appunto la professionalità, la consulenza, i consigli, l’assistenza post-vendita, ma soprattutto una risposta rapida, pronta e informata (ho detto informata, non imparaticcia) alle sue esigenze.
Tutti sono disposti a pagare un po’ di più per avere – oltre che un bene – un servizio.
Senza contare il valore incomparabile del rapporto umano, del tutto assente quando si compra online.
Ed è proprio su questo aspetto che si fonda la fidelizzazione del cliente.
Ma se uno ti chiede qualcosa e tu gli rispondi dopo tre settimane, oltretutto sgridandolo, lui andrà – giustamente – da un altro.

Alla prossima.