Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

OTTOBRE 2012

Il LaCie 2big Network è un RAID (Redundant Array of Independent Disks) che usa un gruppo di dischi rigidi (in questo caso due) per condividere o replicare le informazioni. In configurazione RAID 1, il sistema crea una copia esatta (mirror) di tutti i dati sui due dischi.Sappiamo tutti che una delle principali novità della fotografia digitale è la possibilità (che per il professionista diventa necessità) di postproduzione dell’immagine, allo scopo di modificarne i parametri e renderla aderente all’idea che il fotografo si era fatto del soggetto al momento della ripresa.
Ma c’è una cosa molto importante da considerare, e cioè che la fotografia digitale ha bisogno di molte, molte cure!
Un negativo fotografico correttamente sviluppato o una stampa in bianco e nero su carta baritata possono durare fino a trecento anni e anche più, se le condizioni di conservazione sono ottimali.
Come responsabile della conservazione presso il Sistema bibliotecario urbano di Torino, fin dal 1993 avevo iniziato a far microfilmare sistematicamente tutti i fondi antichi, le lettere e i manoscritti conservati presso la Biblioteca civica centrale, in vista di una successiva digitalizzazione.
Insomma, meglio avere le bretelle e la cintura, come dico sempre, e un master negativo conservato in cassaforte a temperatura controllata è una buona garanzia di conservazione, oltre – ovviamente – alla riproduzione digitale.
Negativi, diapositive e stampe a colori durano decisamente meno: non più di una cinquantina d’anni, a patto che le condizioni di conservazione siano ideali. Si tratta comunque di un bel po’ di tempo.
L’immagine digitale, invece, è destinata a vita breve se non opportunamente curata.
Il rischio coinvolge tanto i supporti di registrazione quanto i formati oggi utilizzati.
I CD e i DVD hanno una vita media di una decina d’anni, poi il policarbonato che li protegge rischia di opacizzarsi. Quando questo accade, il raggio laser non è più in grado di leggere le informazioni registrate sul disco.
I supporti masterizzati in proprio tendono ad avere una vita più breve di quelli realizzati industrialmente.
Per questo i fotografi professionisti e le agenzie fotogiornalistiche conservano le immagini su potenti dischi rigidi esterni o su server di grande capacità.
Ma i dischi rigidi sono soggetti a guasti, e addirittura a vere e proprie rotture: a volte basta uno sbalzo di tensione per renderli illeggibili.
Al punto che – per sicurezza – si preferisce utilizzare due o più dischi che lavorano in parallelo (nel gergo tecnico si dice in mirroring, cioè “a specchio”) e che registrano entrambi (contemporaneamente) gli stessi dati.
Ovviamente c’è sempre il rischio che un incendio, un’alluvione o dei ladri devastino la sede dove sono conservati i dischi.
Così, se ci tenete al vostro archivio, dovrete portarne uno sempre con voi, o metterlo al sicuro in una cassetta di sicurezza, o ancora nasconderlo in una sede diversa da quella abituale.
Il mio archivio fotografico, ad esempio, è salvato su quattro differenti dispositivi, uno dei quali viaggia sempre con me, mentre un altro è conservato nella mia casa in montagna.
Una bella schiavitù, non vi pare?
Poi c’è la questione dei formati.
Quanto durerà il formato TIFF o il JPEG? Quanti anni passeranno prima che qualcuno inventi un nuovo formato di immagine molto più bello e nello stesso tempo “leggero”?
E che fine faranno i formati RAW (uno diverso dall’altro) quando un qualunque produttore di fotocamere deciderà di abbandonare la fotografia per mettersi a fare telefonini? Quale software leggerà – dopo qualche anno – il formato RAW generato dalle sue macchine?
Adesso vi racconto una storia illuminante.
Il Domesday Book è un documento che il re normanno Guglielmo il Conquistatore fece compilare nel 1086, vent’anni dopo l’invasione dell’Inghilterra, per censire le sue nuove terre a scopo fiscale. I suoi inviati registrarono tutte le proprietà di signori e contadini “fino all’ultimo maiale”, come scrissero i cronisti di allora.
Nel 1983, il governo di sua maestà britannica affidò alla BBC il compito di digitalizzare questo documento. Furono creati due videodischi contenenti mappe interattive, filmati, descrizioni di luoghi…
Insomma un gran bel lavoro, il quale, ovviamente, fu protetto da copyright. In altre parole, chi voleva consultare l’edizione elettronica del Domesday Book doveva acquistarlo, oppure pagare i diritti alla BBC.
Peccato che dopo quindici anni questa versione digitale fosse già illeggibile: non esistevano più gli apparecchi e nemmeno i computer in grado di leggere i videodischi. Solo un salvataggio in extremis impedì, nel 2002, che tutto il lavoro andasse perduto.
Ah, a proposito: l’originale in pergamena è ancora perfettamente leggibile, anche se sono passati quasi mille anni.
Non richiede attrezzature particolari o macchine sofisticate: basta conoscere il latino!
E non bisogna neppure pagare per consultarlo: chiunque può farlo gratis, pur se con le precauzioni richieste da un documento così unico e antico.
Insomma, paradossalmente sembra che la durata di un documento sia inversamente proporzionale alla complessità della tecnologia usata per produrlo (pensate alle incisioni rupestri della preistoria, ancora perfettamente conservate).
Da tutto questo bisogna trarre un insegnamento.
L’immagine digitale ha bisogno di essere continuamente seguita e coccolata.
Evitate di usare CD e DVD. Se proprio non potete evitarli, duplicateli tutti e rimasterizzateli almeno ogni due anni.
Conservate i file RAW (sono il vostro “negativo digitale”), ma fate delle versioni in altri formati.
Io ad esempio ne faccio tre versioni: un TIFF a 16 bit per mantenere il massimo della qualità (questa versione è destianta a riviste, editoria, clienti istituzionali, stampa su carta di qualità); un JPEG delle stesse dimensioni a qualità massima (da inviare alle agenzie di stock o per fare stampe non troppo grandi); un JPEG a qualità media di piccole dimensioni (1000 pixel sul lato lungo) per il web, la posta elettronica e la ricerca rapida.
Tenete d’occhio i progressi della tecnologia e non esitate a convertire le vostre immagini nei nuovi formati, soprattutto se questi diventano standard di riferimento (come potrebbe avvenire in un prossimo futuro per il DNG).
Acquistate un hard disk esterno su cui effettuare il backup di tutte le immagini dell’archivio, aggiornatelo spesso, ma soprattutto non conservatelo nella stessa sede in cui tenete il vostro computer.
Quanto detto può apparire segno di eccessiva pignoleria, se non di fanatismo, ma – credetemi – ho visto più di un archivio (decine di migliaia di scatti) finire distrutto solo perché il fotografo non aveva mai effettuato un backup delle sue immagini, fidando nel fatto che un Mac non potesse rompersi!
Ricordate il Tamagochi, quell’animaletto virtuale che andava costantemente nutrito e accudito, altrimenti moriva?
Ok, l’immagine digitale è lo stesso!
Alla prossima.

Gallery

Salvacondotto di Eugenio di Savoia, con firma autografa, datato 1705 e conservato presso la Biblioteca civica centrale di Torino. Come tutti i documenti antichi e rari conservati presso la Biblioteca, anche questo è stato microfilmato oltre che fotografato in digitale. L'arazzo di Bayeux, lungo poco meno di 70 metri, illustra la conquista dell'Inghilterra da parte del re normanno Guglielmo, detto il Conquistatore. Fu realizzato negli anni immediatamente successivi alla conquista e costituisce un documento unico che ci informa sul modo di vestire, sulle armi, sui castelli e sulle navi di un'epoca per noi in parte oscura, al punto che nel 2007 l'Unesco ha inserito questo arazzo nell'elenco delle Memorie del mondo. Una pagina del Domesday Book (letteralmente: libro del giorno del giudizio), conservato presso il Public Record Office di Londra.