Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

FEBBRAIO 2019

Check list

Uno dei vantaggi della fotografia digitale, il fatto di poter riempire una scheda di memoria praticamente a costo zero, ha trascinato con sé una conseguenza pericolosa.
Poter fotografare tutto ciò che si vuole senza la preoccupazione di sprecare costosi metri di pellicola spinge molti a fotografare in modo compulsivo, senza ragionare sul soggetto e sui suoi rapporti con lo sfondo, “tanto quelle doppie le cancello e quelle sbagliate le aggiusto con Photoshop”.

Questo spinge molti principianti verso un deprimente concatenarsi di eventi: dapprima l’insoddisfazione derivante da fotografie banali e non coincidenti con quello che si aveva in mente, poi il timore di non essere portati, che spinge verso la disillusione e la rinuncia.
In alternativa, ci si convince di non possedere gli strumenti adeguati, come se la riuscita di una fotografia dipendesse dalla macchina o dall’obiettivo, e si inseguono – ancora una volta, compulsivamente – upgrade sempre più sofisticati e costosi, i quali – non potendo ovviare al problema di fondo – non faranno altro che aumentare la frustrazione e il senso di inadeguatezza, oltre al senso di colpa derivante dall’aver dilapidato un capitale in oggetti inefficaci.

Tutto questo accade perché si sottopone l’attività fotografica alla logica del consumo: fotografo per portare a casa un ricordo, cioè per prendere, afferrare, possedere.

Cerchiamo invece di considerare la fotografia per quello che è: una forma di comunicazione.
Si fotografa per “dire” qualcosa.
Facciamoci allora la domanda giusta: “Che cosa voglio raccontare?”.

Il racconto fotografico non è diverso dal racconto letterario: entrambi devono avere un tema principale, un filo conduttore, un soggetto ben definito.
Questo tema principale, questo leitmotiv, deve essere forte, chiaro, deve essere dominante, altrimenti il racconto viene diluito da particolari inutili e il tema si perde.
E allora il lettore (e lo spettatore) si chiedono: “Ma che cosa voleva dire, esattamente?”.
Questo non possiamo permettercelo, ecco perché nello scrivere è importante individuare un tema dominante che leghi il racconto dall’inizio alla fine, ed ecco perché in fotografia il soggetto principale deve riempire lo spazio dell’inquadratura fin quasi a soffocarlo.
Prendiamo ad esempio il ritratto.
A volte i fotografi tagliano la parte superiore del viso e i capelli, allo scopo di mettere in risalto l’espressione del volto e lo sguardo.
Perché la fotografia deve essere piena, lo sfondo assente o così sfocato da non essere percepibile.
In questo modo tutto è al suo posto, non ci sono elementi superflui, e il soggetto è prepotentemente evidenziato come unico protagonista del racconto.

Inoltre, bisogna rendersi conto che la fotografia digitale (se la si vuole affrontare seriamente)
richiede un’attenzione pari a quella necessaria per fotografare con un apparecchio di grande formato a banco ottico.
Non sto scherzando.
Purtroppo questa è una realtà che quasi tutti ignorano, affascinati come sono dalla velocità e dall’immediatezza del digitale, dalla possibilità, che abbiamo prima ricordato, di scattare a raffica senza timore di sprecare pellicola, “quel che viene viene”.
Ma non è così.
Prima di scattare ogni singola fotografia bisogna seguire una check list non dissimile da quella che insegnavo durante i corsi di grande formato.

Prima di tutto bisogna considerare il punto di vista compositivo, il quale, a sua volta, è strettamente legato all’aspetto tecnico, perché la tecnica è funzione dell’espressione.
In parole più semplici, gli strumenti che uso e le procedure che metto in atto mi permettono di trasmettere il mio messaggio con chiarezza ed efficacia.

Quando qualcosa ci interessa al punto di indurci a tradurlo in immagine, chiediamoci prima di tutto: - È davvero necessario scattare questa fotografia?
- Perché lo voglio fare? Forse perché sono felice? Perché l’aria è frizzante? Perché gli uccelli cantano? Ma tutte queste cose lo spettatore non le potrà percepire, e noi rischiamo di realizzare una fotografia banale, soltanto perché ci siamo lasciati fuorviare da suggestioni extrafotografiche.
Dobbiamo invece concentrarci su quello che vediamo, e chiederci se quelle forme, quei volumi, quei toni e quei colori sono sufficienti a esprimere le nostre sensazioni e suggestioni.

In caso affermativo, dobbiamo chiederci come farlo.
- All’interno di questa scena, ho individuato un soggetto capace di attirare l’attenzione, di diventare veicolo del mio messaggio visivo?
- Come posso metterlo in risalto?
- Come tratterò lo sfondo? Posso sfruttare gli altri elementi della scena per guidare verso il soggetto l’attenzione dello spettatore? Al contrario, può essere più opportuno eliminarli del tutto, ad esempio sfocando lo sfondo, per caricare sul soggetto tutta la forza della comunicazione?
- Sono attento a tutto ciò che il mirino sta inquadrando, alla presenza di particolari superflui o elementi di disturbo? So come eliminarli scegliendo la giusta inquadratura e la focale più adatta?
- La luce che colpisce il soggetto è quella più adeguata a descriverlo e a “raccontarlo” come voglio io?

Quali procedure tecniche devo adottare per rendere efficace il mio messaggio?
- Prima di tutto, ho scelto con cura il punto di messa a fuoco? Se lascio fare all’autofocus, ho controllato su quale punto viene effettuata la messa a fuoco automatica? Ricordiamoci che il piano di messa a fuoco è sempre e soltanto uno, e deve coincidere con il soggetto, o con l’elemento più importante di esso. Lasciare che sia la macchina a scegliere il punto di messa a fuoco è un azzardo pericoloso: non sempre il sistema a matrice è in grado di capire dove noi vogliamo mettere a fuoco.
- Il valore ISO che ho impostato per la fotografia precedente è adatto anche a quella che sto per fare?
- Il diaframma che sto impostando mi garantisce una profondità di campo sufficiente e adeguata al messaggio che voglio trasmettere?
- Il tempo di otturazione è sufficientemente rapido da scongiurare il micromosso a mano libera? In caso negativo, ho il treppiede, o almeno un posto dove poter appoggiare la macchina per renderla stabile?
- Su quale punto sto rilevando l’esposizione? Sono sicuro che quel punto coincida con il grigio medio, o comunque con il particolare che io voglio perfettamente leggibile?
- Se uso il flash per la compensazione delle ombre, sono sicuro che il tempo di otturazione che la macchina determina per lo sfondo non generi un’immagine mossa, che si andrà a sovrapporre all’immagine ferma creata dal flash?

Dopo avere scattato la fotografia:
- Ho controllato l’istogramma, per verificare che la curva sia correttamente spostata verso destra e che le aree che ritengo importanti non siano bruciate o illeggibili?

Conosco già l’obiezione: “Tutto questo lo si può fare quando ci si occupa di paesaggio, di architettura, di still life. Ma come è possibile fare tutti questi controlli durante un matrimonio, o un reportage di cronaca, o quando ci si dedica alla street photography?”.

Bene, che ci crediate o no, quando diventerete davvero esperti questa check list sarà diventata istintiva, automatica, così connaturata con le vostre procedure operative da rimanere sotto la soglia della coscienza, per essere applicata con rapidità e precisione.
E se ancora non ci credete, pensate a quante cose dovete fare quando siete alla guida di un’auto e dovete affrontare un tornante in discesa: togliere il piede dall’acceleratore, frenare con il piede destro, azionare il pedale della frizione con il piede sinistro, scalare la marcia, togliere il piede sinistro dal pedale della frizione, iniziare a girare il volante, mantenere il piede destro sul freno fino a metà curva, mantenere il volante in posizione. Poi, giunti a metà curva, togliere il piede dal freno, iniziare ad assecondare il ritorno del volante, accelerare leggermente per uscire dalla curva, raddrizzare il volante, azionare il pedale della frizione con il piede sinistro, innestare la marcia superiore, togliere il piede dalla frizione e finalmente accelerare per affrontare il rettilineo.
Eppure, se sapete guidare, non pensate a tutte queste cose, le fate e basta, e anche molto velocemente.

Se imparerete a fotografare applicando le procedure che ho descritto, forse non scatterete centinaia di fotografie al giorno, ma quelle che scatterete (poche o tante che siano) saranno state fatte con il cervello, oltre che col dito indice.

Alla prossima.