Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

DICEMBRE 2012

Le foto delle vacanze, come sottrarsi al rito… o renderlo accettabile

“Vieni a casa mia a vedere le foto delle vacanze?”.
Questo rito barbarico, insopportabile per chiunque ma paragonabile a una mutilazione rituale per chi si occupa professionalmente di fotografia, ricorre come la cometa Nemesi a funestare ad ogni volger di autunno il rientro dalle vacanze.
Talvolta, raramente, ci si può sottrarre.
Due ore prima dell’appuntamento si telefona all’amico che ha diramato l’invito e si annuncia – con voce flebile – di essere stati colpiti da un attacco di erisipela. Voi non sapete cos’è, ma il bello è che non lo sa neppure l’amico il quale, per non confessare la sua ignoranza, vi augura buona guarigione e rinuncia a insistere.
Funziona sempre, tranne nel caso che l’amico sia un dermatologo. Allora vi sgama e voi non avete scampo.
Quando questo avviene armatevi di santa pazienza, evitate di ubriacarvi perché fareste brutta figura e affrontate con stoica determinazione l’arduo cimento.
Personalmente ho elaborato diverse strategie per evitare di addormentarmi sul colpo durante le interminabili e noiosissime proiezioni.
Anche perché il tonfo che la mia fronte produrrebbe abbattendosi violentemente sul tavolo finirebbe per svegliare tutti gli altri.
Una di queste strategie è una garbata e sottile ironia.
Di fronte a un amico che si vantava con voce stentorea di essere passato in soli due giorni da una vacanza nel Napoletano a un viaggio in Patagonia commentai “dagli Appennini alle Ande!”, citando De Amicis e suscitando l’attenzione degli altri, che conoscendomi avevano intuito che stavo tramando qualcosa.
Quando poi l’amico ci funestò con una serie interminabile di immagini riguardanti la sua camera d’albergo e quanto era efficiente l’armadio per riporre abiti e biancheria, aggiunsi “dagli appendini alle ante!”, suscitando l'ilarità generale ma anche l’ira funesta del padrone di casa che promise solennemente, con mio profondo sollievo, che non mi avrebbe mai più invitato a una sua proiezione.
Non sempre l’ironia funziona. Spesso è preferibile un composto e rassegnato silenzio.

Ma come fare per evitare ad amici e parenti una simile tortura?
Come proporre le nostre immagini senza causare crisi di panico al momento degli inviti e non meno gravi crisi di narcolessia durante la proiezione?
Un modo elegante sarebbe mettere le foto su Flickr e poi comunicare il link agli amici: chi vuole le va a vedere e chi non vuole non è obbligato.
Ma ben pochi sono capaci di tale aristocratica eleganza: noi vogliamo che gli altri vedano le nostre foto, per cui lasciare la scelta al libero arbitrio del singolo è un rischio che non possiamo correre.
Così, almeno, impariamo qualche trucco per rendere più gradevole e – perché no? – spettacolare la nostra presentazione Power Point.

Innanzitutto una domanda: quanto tempo siete disposti a dedicare alla preparazione della vostra proiezione?
La risposta deriva dalla considerazione e dal rispetto che nutrite per i vostri spettatori.
Confezionereste un bel regalo in carta di giornale? Certamente no: usereste una bella carta e un bel fiocco, comprereste un biglietto di accompagnamento e cerchereste di creare una certa atmosfera al momento di consegnarlo, giusto?
Bene, mostrare le vostre immagini agli amici è far loro un regalo. Il regalo del vostro lavoro, della vostra passione, della vostra capacità di raccontare. Confezionatelo bene, non improvvisate, pensate che alcuni di loro non sono mai stati e forse non potranno mai recarsi nei luoghi che voi avete visitato, che le vostre immagini rappresentano l’occasione per un viaggio virtuale, per un’ora di fuga dalla realtà quotidiana. Il vostro compito è quello di rendere piacevole questo viaggio.

Ecco qualche “tip” dettato dall’esperienza.

Imparate a raccontare.
Rinunciate alla mentalità del fotografo-artista, alla ricerca dell’immagine sublime ma isolata. Una proiezione non è una mostra ma un reportage, e reportage significa “racconto”. Un’immagine singola ha in se stessa il suo significato; un’immagine inserita in un racconto non ha significato se non in relazione a quelle che la precedono e la seguono. Questo significa adottare la mentalità del fotoreporter, cioè “pensare” le fotografie in funzione del racconto. Ragionate come un regista: pensate che state girando un film e che ogni immagine ha un suo ruolo preciso nella narrazione.

Siate attenti ai particolari.
Quando sfogliate una rivista di viaggi, le immagini su cui vi soffermate con maggiore attenzione non sono i vasti panorami e le vedute di insieme, ma i particolari. Una cesta di frutta al mercato, la serratura di un portone in ferro battuto, l’insegna di una bottega artigiana sono in grado di far capire ai vostri spettatori l’attenzione (e – perché no? – la perizia) con cui avete saputo leggere, interpretare e trasmettere loro lo “spirito” del territorio che avete visitato.

Individuate un filo conduttore.
Un reportage non è semplicemente un insieme di immagini, ma – come abbiamo detto – un racconto. E ogni racconto ha un suo leitmotiv, un tema ricorrente che lega le diverse sequenze e dà loro un senso e una direzione. Le vetrine dei negozi, il colore rosso, i portoni, i riflessi nelle pozzanghere… Tutto può essere sfruttato come tema ricorrente capace di unire e armonizzare le diverse parti del racconto.

Evitate l’autocelebrazione.
Questi siamo noi al bar… qui invece stiamo facendo le boccacce… qui siamo in camera… qui Maria sta preparando le valigie… Lasciate perdere. I vostri spettatori vi stanno già vedendo di persona e non sono interessati a una serie interminabile di immagini che vi ritraggono. Sanno benissimo che il viaggio lo avete fatto voi e non c’è bisogno di autocitarvi in ogni occasione. Lo so, anche il Caravaggio si autoritraeva nei suoi quadri, ma lui era il Caravaggio…

Mettete in ordine.
Proprio alla luce di quanto abbiamo detto fin qui, si rivela cruciale l’ordine che darete alle immagini da proiettare. Esattamente come accade nel cinema, la fase più importante della realizzazione non è quella delle riprese, ma quella del montaggio! Il segreto del buon regista è mettere insieme sequenze logiche, dare un respiro al racconto. Ogni argomento deve avere il suo spazio e i suoi ritmi. Se vi recate in una città d’arte organizzate le immagini per argomenti, in modo da raccontare i diversi aspetti del luogo che avete visitato: la vita sociale, i mercati, le chiese, i monumenti, la gente... Proiettare le fotografie nell’ordine in cui sono state scattate si rivela, di solito, la scelta peggiore.

Non esagerate in quantità.
Sapete come riconoscere un bel film? Dal fatto che quando finisce voi pensate “Peccato, è già finito”. E una buona cena? Dal fatto che vi alzate da tavola con un po’ di rammarico. Lasciate che i vostri spettatori escano da casa vostra con la voglia di ritornarci, fate in modo che alla fine della proiezione vi chiedano “Non hai altro da farci vedere?”. Per far questo occorre ridurre il numero delle immagini, evitare le ripetizioni, ma soprattutto effettuare...

...una selezione severa.
Meglio cento immagini belle che trecento mediocri. Quando scaricate le immagini dalla scheda di memoria effettuate subito una selezione drastica. Eliminate tutte quelle tecnicamente sbagliate, sovra o sottoesposte in modo irrecuperabile, gli orizzonti inclinati, i cestini della carta straccia all’incrocio dei terzi, le smorfie dei soggetti costretti a rivolgere la faccia al sole. Basta una sola fotografia sbagliata all’interno della serie per abbassare brutalmente la qualità globale della proiezione. Senza contare le critiche che potrebbero provenire dagli spettatori, di solito impietosi di fronte ai vostri errori.

Fate le giuste pause.
Non assillate i vostri spettatori con una proiezione precipitosa e affannata, con una serie ininterrotta di immagini. Approfittate del passaggio da un argomento all’altro per fermarvi, spegnere il videoproiettore ed accendere la luce. Date spazio ai commenti, rispondete alle domande, soddisfate la curiosità di chi – grazie a voi – sta vivendo luoghi e situazioni che forse non avrà mai occasione di sperimentare. In caso contrario non fareste altro che offrire il destro ai commenti salaci, alle frecciatine, alle battute impietose che sempre serpeggiano, sussurrate a voce bassa, quando il pubblico è infastidito e represso. Come facevamo a scuola, quando il professore si dimostrava noioso e pedante.

Occhio alla durata.
Ci sono regole precise che determinano la durata di una diapositiva sullo schermo. E’ scientificamente provato che per leggere correttamente un’immagine occorrono almeno cinque secondi. Per goderla, almeno sei-sette secondi. Dopo otto secondi il processo è finito e si aspetta l’immagine successiva. Considerate le debite tolleranze, possiamo dire che cinque secondi sono il limite minimo della leggibilità, dieci secondi il limite massimo della noia! Sette secondi sono il tempo ideale per una diapositiva non commentata, otto, nove al massimo se la diapositiva è commentata o accompagnata dalla musica.

Evitate gli incoci.
Quando si alternano un’immagine orizzontale e una verticale, soprattutto se in dissolvenza, si crea un antipatico “effetto croce”. Nell’organizzare la proiezione cercate di evitare questa continua alternanza. Quando possibile, inserite tra l’immagine verticale e quella orizzontale un’immagine quadrata, ottenuta effettuando il “crop” ragionato di una fotografia rettangolare.

No agli effettacci.
Power Point e gli altri software di presentazione permettono diversi effetti di transizione. Evitate il ridicolo di una diapositiva che irrompe sullo schermo da sinistra, alternata a una girandola di spicchi neri che introduce alla diapositiva seguente, che a sua volta fugge via dallo schermo calando come la lama di una ghigliottina! La classica dissolvenza, impostata a una velocità ragionevole, è ancora l’effetto più elegante e gradito.

Curate il commento.
Quello che dite durante la proiezione è metà dello spettacolo. Una proiezione di diapositive è un audiovisivo a tutti gli effetti, un insieme inscindibile di ascolto e visione. Evitate perciò ogni banalità. Il commento a una foto è come una didascalia stampata: deve attualizzare l’immagine, evidenziarne il quando e il dove, non spiegarla! Un’immagine che ha bisogno di essere spiegata è un’immagine sbagliata, che non sa raccontare, che non sa trasmettere il suo messaggio. Lasciate che l’immagine parli da sola ed evitate di illustrare cose che chi guarda è in grado di vedere da sé. Quando non c’è nulla da dire è meglio restare in silenzio: per l’amor del cielo, evitate di dire “Ecco, qui si vede un elefante” mentre proiettate l’immagine di un elefante! Perciò è indispensabile…

…organizzare il commento.
Se non avete tempo per una vera e propria sceneggiatura, preparatevi almeno una traccia scritta. Così eviterete di improvvisare, balbettare, inciamparvi. Non tutti sono allenati a parlare in pubblico e a sviluppare “a braccio” un argomento.
Adeguate la durata del commento alla durata della diapositiva sullo schermo. Come abbiamo detto, è bene che la diapositiva non resti fissa per più di otto secondi; di conseguenza il commento parlato non dovrà superare questo limite. Se avete molto da dire su un argomento “spezzate” il commento su due o più immagini.

Musica, perché no?
Se poi al commento parlato aggiungerete una musica di sottofondo l’effetto sarà ancora più gradevole. La musica riempie le pause di silenzio, libera dall’obbligo di dire a tutti i costi qualcosa, rende più godibile l’immagine e fa atmosfera. La musica, inoltre, allunga i tempi di permanenza delle dia sullo schermo: con la musica adatta potrete anche raggiungere il fatidico limite dei 10 secondi.
Occhio: la musica va scelta con attenzione. Evitate le canzonette e la musica commerciale, ma anche la sinfonia del Guglielmo Tell o l’ouverture dell’Olandese volante! La musica deve essere un sottofondo discreto e non invadente, rigorosamente strumentale (le parole di una canzone o l’aria di un’opera distrarrebbero gli spettatori che finirebbero per seguire il cantante e non voi) e priva di piani e forti improvvisi. La musica barocca è l’ideale: Vivaldi, Corelli, i Marcello, ma anche Bach o Haendel. Se preferite la musica moderna scegliete un jazz raffinato o una semplice musica leggera di intrattenimento spingendovi, se volete, sul genere airport music. In ogni caso evitate brani troppo noti. Non c’è nulla di più fastidioso che vedere i propri spettatori distratti da una discussione sul titolo o sull’esecutore del brano che stanno ascoltando.

E’ tutto, e come si vede non è molto. Tutto sommato basta poco per regalare ai nostri amici una piacevole e divertente serata.

Buona proiezione e... alla prossima!