Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

GENNAIO 2015

Alienati e contenti

Fino alla metà del XX secolo, più o meno, la maggior parte delle persone conosceva il funzionamento degli strumenti e delle tecnologie che adoperava nella vita quotidiana: il contadino sapeva perfettamente come funzionavano i suoi attrezzi da lavoro, dal rastrello al torchio per il vino, ed anzi era perfettamente in grado di ripararli in autonomia quando si rompevano. Poi è venuto il trattore, ma più o meno tutti sapevano come funzionava ed erano in grado di azzeccare la giusta diagnosi in caso di guasto: allora bastava allertare l'amico meccanico, che spesso fabbricava nella sua officina il pezzo di ricambio.
La dattilografa sapeva cosa fare quando le asticciole della macchina per scrivere si accavallavano, sapeva sostituire il nastro inchiostrato una volta esaurito, e spesso interveniva senza bisogno di aiuto sulle parti meccaniche in caso di piccoli guasti.
Così avveniva per qualunque mestiere il cui svolgimento richiedesse l'uso di attrezzi manuali o meccanici.

La maggior parte dei fotografi, anche dilettanti,  padroneggiava con competenza i propri strumenti di lavoro, sapeva come regolare otturatore e diaframma per ottenere gli effetti di luce voluti; conosceva le caratteristiche delle diverse pellicole e dei reagenti per lo sviluppo, che spesso curava in proprio, ben conoscendo i princìpi chimico-fisici e le procedure che stavano alla base della formazione dell'immagine.

Con il progredire della tecnologia, gli oggetti d'uso quotidiano sono divenuti sempre più semplici da usare (o user friendly, come si ama dire adesso), ma sempre più complessi dal punto di vista costruttivo, così sempre meno persone si preoccupano di capire come funzionano. Del resto, che bisogno ce n'è, dal momento che esistono i centri di assistenza?

Quando nelle case iniziò a diffondersi il telefono, ben pochi di coloro che lo utilizzavano erano (e sono) a conoscenza dei princìpi del suo funzionamento.
Lo stesso è avvenuto con la radio e – successivamente – con la televisione: come si possa formare un'immagine in movimento su una lastra di plastica semitrasparente è una magia nota a pochi eletti.
Tutti gli altri adoperano il mezzo senza avere idea di come funzioni.

Lo stesso si può dire per le automobili.
La mia prima Cinquecento (parlo di quella vera, non della replica chic che circola per le strade oggigiorno) aveva una meccanica semplicissima: io stesso, poco più che ventenne, ero in grado di regolare il minimo con un cacciavite, di asportare lo spinterogeno per evitare che me la rubassero, di pulire il carburatore e di raffreddare la pompa della benzina versandoci sopra mezza bottiglia d'acqua (o altri liquidi, in caso di estrema emergenza)…
Oggi viaggio su mezzi sicuramente più moderni e potenti, ma sui quali non potrei intervenire nemmeno se lo volessi: il motore è sigillato e tutte le parti meccaniche sono protette da un sarcofago che nemmeno Tutankhamon, per cui se mai la pompa della benzina dovesse surriscaldarsi e riempirsi di bolle d'aria, interrompendo così l'afflusso di carburante, sarei costretto a chiamare l'assistenza e non mi sognerei nemmeno lontanamente di raffreddarla con la pipì…
Differenza?
La Cinquecento ripartiva subito e mi portava a casa, mentre oggi perderei un sacco di tempo (e di soldi) nell'attesa del carro attrezzi!

Tutto questo lungo sproloquio è per dire che oggi usiamo tecnologie delle quali non sappiamo praticamente nulla.
I nostri ragazzi chattano sul web o si messaggiano con WhatsApp, ma di fatto sui mezzi che adoperano sono più ignoranti e inconsapevoli dei loro coetanei di cento anni fa, che se si rompeva la ruota della carriola sapevano riconoscere il problema e porvi rimedio con le sole loro forze, mentre se si blocca la wireless bisogna contattare il gestore di rete (e sfido l'italiano medio a spiegarmi con chiarezza chi sia costui e che cosa faccia nella vita).

La tecnologia ci ha di fatto alienati, togliendoci il controllo degli strumenti che utilizziamo.
A partire dai più semplici, l'acqua corrente e l'energia elettrica: di fronte a un'interruzione nella distribuzione dell'acqua potabile o a un improvviso black-out saremmo molto più indifesi e incapaci di reagire di quanto sarebbero stati i nostri bisnonni.

L'alienazione dell'uomo dai propri strumenti di lavoro o di svago è addirittura lampante quando si parla di fotografia.
Spesso chi usa un apparecchio fotografico (e non parlo solo dei principianti) non ha la più pallida idea di come funzioni davvero. Così come ignora le possibilità offerte dal trattamento dell'immagine dopo lo scatto (la cosiddetta postproduzione).
E questo è un male, perché porta il fotografo a usare il mezzo in modo improprio, parziale e scorretto.

Qualche esempio a caso?

Prima di tutto gli articoli e i tutorial che insegnano a fotografare in digitale come si fotografava con le diapositive a colori: sottoesponendo in fase di ripresa per ottenere colori più saturi e brillanti.
Chi afferma una sciocchezza simile dimostra di non avere la minima idea di come funzioni un sensore, inducendo così chi segue i suoi consigli (spesso ancor meno competente) a perseverare in una pratica fotografica non solo concettualmente, ma anche praticamente sbagliata.

Poi i dilettanti che cedono alle lusinghe del numero di megapixel, con le quali i fabbricanti tentano disperatamente di guadagnare qualche millimetro di mercato rispetto alla concorrenza. Senza pensare (né sapere) che il contenimento del rumore elettronico, e in definitiva la qualità globale dell'immagine, dipendono da diversi fattori, primo fra tutti le dimensioni del sensore, e non soltanto dalla quantità di fotodiodi di cui è infarcito. Questo però viene nascosto all'utilizzatore principiante, che alla fine non si spiega perché le sue fotografie scattate con una bridge da 20 Megapixel facciano letteralmente schifo rispetto alle stesse foto fatte dal cognato, che ha una reflex full-frame con “solo” dodici milioni di pixel.

E ancora, la totale ignoranza del funzionamento congiunto di otturatore e diaframma, che induce mamme e maestre a chiedersi perché le foto dei bambini fatte a scuola siano venute così mosse e sfocate, pur essendo state scattate con una macchina di elevata tecnologia (o che almeno dovrebbe esserlo, dato che “fa tutto da sola”).

Per questo continuo a insistere che la prima cosa da fare quando si acquista un apparecchio fotografico è studiare a memoria il libretto di istruzioni, verificando in pratica, sulla macchina stessa, tutto quello che si sta a mano a mano imparando.

Solo la conoscenza puntuale dei propri strumenti di lavoro (unita a una solida preparazione teorica e a conoscenze non improvvisate di ottica e sensitometria) ci impedirà di sentirci estranei agli oggetti che stiamo utilizzando, quasi fossero dotati di vita propria, dispettosi e impossibili da sottomettere al nostro volere.
Alieni, appunto.

Alla prossima.