L'articolo del mese
SETTEMBRE 2018
Come prepararsi a una lettura portfolio
La lettura portfolio è un evento, organizzato in occasione di festival o incontri di fotografia, durante il quale il fotografo (dilettante o professionista) può sottoporre le sue immagini al giudizio di un esperto, di solito un professionista affermato (ma non solo, come vedremo).
Alcuni fotografi alle prime armi spediscono le loro fotografie online a professionisti, chiedendo loro il “favore” di effettuare una lettura portfolio.
Non fatelo.
Il professionista ha già il suo lavoro, che normalmente lo impegna parecchio; le esigenze di autopromozione e la necessità di mantenere la sua rete di pubbliche relazioni lo spingono a fare molte cose a titolo gratuito; quindi non si vede perché dovrebbe accollarsi un ulteriore incarico che non gli porta né prestigio né soldi per fare un favore a uno sconosciuto.
Non prendetevela a male, perché dicendovi questo io vi sto facendo davvero un favore: rischiate una stroncatura soltanto perché il destinatario delle vostre fotografie non aveva nessuna voglia di occuparsi di voi (io cerco, per quanto posso, di essere gentile, ma conosco professionisti molto diretti, e talvolta brutali, nei confronti degli esordienti).
Quindi – se volete sottoporre le vostre foto a un giudizio – fatelo nelle sedi e nelle occasioni appositamente organizzate.
Abbiate le idee chiare su quello che volete fare da grandi.
Il fotografo professionista non è l’unico esperto al quale rivolgersi: ci sono anche i galleristi, i critici, i curatori di musei, gli art director e i redattori di riviste.
Scegliete la persona a cui rivolgervi in base a quelle che sono le vostre intenzioni: intendete esporre delle foto artistiche in una mostra? Volete pubblicare un libro fotografico? Volete iniziare a collaborare con agenzie di stock? Intendete proporvi come fotografi matrimonialisti?
Scegliete con cura l’esperto giusto: se sottoponeste a me delle fotografie di moda, sarebbe come chiedere a una casalinga di San Nicola Silano come cucinare una perfetta choucroute alsacienne!
La forma non è importante: la forma è tutto!
Iniziamo però da un elemento che non ha a che fare con la fotografia: il linguaggio.
Se le fotografie sono accompagnate da un testo, o se dovete stilare una lettera (o una mail) di presentazione, scrivete in perfetto italiano e con uno stile chiaro, conciso e inappuntabile, con i congiuntivi al posto giusto e soprattutto senza errori di grafia.
Non sto scherzando: c’è chi non distingue graficamente “ne” da “né” e da “n’è”, oppure “se” da “sé”, o ancora confonde “da” (preposizione) e “dà” (verbo).
Quando leggo simili svarioni la mia disposizione d’animo vira velocemente verso il negativo.
Scrivete frasi brevi ed evitate gli anacoluti (cioè le frasi iniziate con un soggetto e finite con un verbo che ha un soggetto diverso): frasi del tipo “la foto, l’ho scattata al buio” possono essere usate parlando, ma non scrivendo.
Evitate le eccessive subordinazioni, preferendo frasi brevi e coordinate.
La sequenza più chiara e comprensibile è costituita da soggetto, verbo, complemento oggetto, eventuali complementi indiretti, punto.
L’italiano non è una materia scolastica, ma il veicolo con il quale ci facciamo capire.
Se qualcuno lo strapazza io mi incazzo, e come me molti altri colleghi: ricordate che i professionisti più affermati sono tali perché hanno alle spalle un background culturale di un certo spessore.
La stessa cura va posta nel linguaggio con cui presentate le vostre immagini quando siete di fronte a un interlocutore diretto: evitate di rimbambirlo di parole, o peggio di spiegare minuziosamente ogni singola immagine. Dite ciò che essenziale e lasciate che siano le vostre fotografie a parlare.
E adesso passiamo alla vera e propria presentazione delle immagini.
Errore da non fare: presentare le dieci o venti fotografie più belle che voi abbiate mai fatto nella vostra vita.
Desolato di dover dare una brutta notizia, ma sinceramente, delle vostre belle fotografie non frega niente a nessuno.
Se mi fate vedere un panorama montano, un gatto, vostra figlia, la facciata del castello di Annecy, una ragazza nuda sulla spiaggia e la faccia nascosta della Luna, io vi rimando a casa.
Perché quello che l’esperto di turno vuole vedere è un PROGETTO.
Le riviste, le agenzie, gli art director e gli agenti da cui sperate di essere rappresentati non vogliono vedere “belle” fotografie, vogliono vedere un insieme di immagini coerenti e vendibili.
Coerenti, perché chi vi giudica vuole valutare la vostra capacità di raccontare per immagini: la parola “reportage” significa “racconto”, ed è esattamente quello che voi dovete produrre.
Vendibili, perché il genere di fotografie che presentate deve essere in linea con l’attività del potenziale cliente. Se sottoponete il vostro portfolio al redattore di una rivista di viaggi, lui vorrà vedere un reportage di viaggio, e non sarà minimamente interessato alla vostra perizia nel fotografare monete sabaude del diciassettesimo secolo.
Trattate l’argomento in modo creativo.
Il vostro compito è convincere l’interlocutore non solo che siete specializzati nel genere fotografico che a lui interessa, ma che lo sapete trattare in modo innovativo come nessuno ha mai fatto prima.
Non basta che fotografiate animali: dovete essere i migliori al mondo nel fotografare uccelli di passo nelle risaie del Vercellese, o il ciclo vitale della Strangalia maculata nei boschi di media quota delle Alpi occidentali. Sto esagerando per farmi capire, ma mica tanto.
Il vostro scopo non è far sì che qualcuno apprezzi le vostre immagini (se così fosse, vi accontentereste di qualche “like” su Instagram), il vostro scopo è quello di vincere una concorrenza competente, numerosa e agguerrita.
Le fotografie vanno presentate sotto forma di stampe, di formato non superiore ai 20x30 centimetri.
Perché?
Prima di tutto perché la gente non ha voglia di maneggiare dei lenzuoli, quindi evitate le gigantografie.
Poi perché il formato 20x30 è ancora abbastanza ridotto da perdonare (piccoli) errori di messa a fuoco.
Su questo sarò chiaro e drastico: il novanta per cento dei dilettanti usa uno zoom impostato in modalità autofocus, senza minimamente curarsi del punto preciso sul quale l’obiettivo si focalizza, ma lascia fare alle 9 (o 50, o 3227, chissenefrega?) aree che la macchina, poverella, usa per capire dove diavolo il fotografo potrebbe volere il piano di messa a fuoco (non ditemi che non lo fate anche voi perché non ci credo).
Con il rischio che – se fotografate una modella appoggiata a un portone medioevale – la messa a fuoco venga effettuata non sull’occhio della modella più vicino a voi, come la regola impone, ma sulla maniglia della porta!
Ne consegue che quanto più ingrandite la fotografia, tanto più l’errore diventa evidente.
Preferibilmente, montate le stampe su passe-partout, ma curate che il cartoncino sia di ottima qualità e “acid-free”, come quelli prodotti da Panodia.
Il vantaggio sarà duplice: prima di tutto l’esperto potrà maneggiare tranquillamente le fotografie senza la preoccupazione di stamparvi una ditata; in secondo luogo, riconoscerà (perché lo riconoscerà, fidatevi) che avete usato un prodotto adatto alla conservazione e vi loderà per la cura che dedicate al vostro lavoro.
Errori da non fare:
1. Presentare le foto in un raccoglitore a fogli di plastica. L’esperto vuole poter maneggiare le stampe e – se necessario – modificare l’ordine in cui le avete presentate, perché in quel modo ritiene che il vostro racconto sia più gradevole e comprensibile.
2. Presentare un libro fotografico già stampato (anche se autoprodotto). Ma scusa, se ti credi già così bravo da pubblicare un libro, che caspita vuoi da me?
3. Far vedere le foto sullo schermo di un tablet. Anche se questa abitudine è ormai molto diffusa, non permette di valutare il progetto nella sua interezza, né di visualizzare insieme (e in un formato decente) due o più immagini.
4. Stampare sulla foto il vostro nome, o peggio la dicitura “© Aristogene Spezzalacapra (o come vi chiamate)”. Può essere inteso come segno di presunzione, e ancora una volta l’esperto può chiedervi che diavolo volete da lui, dato che vi credete già così famosi.
Siate professionali.
Mostrate di credere in quello che fate, cercate di essere umili e – soprattutto! – di fronte alle eventuali critiche non accampate scuse! Una delle cose che mi dà più fastidio, quando giudico una fotografia, è sentire frasi del tipo “Eh, ma non potevo spostarmi”, oppure “Eh, lo so che la facciata sembra un barile, ma il mio zoom alla focale minima distorce”. Chi giudica una fotografia giudica – appunto – la fotografia, e non è minimamente interessato alle circostanze in cui (o ai mezzi con cui) è stata scattata.
Essere professionali vuole anche dire essere preparati a un’eventuale richiesta di ulteriori contatti: preparate un congruo numero di biglietti da visita (semplici, con nome, cognome, recapito telefonico e indirizzo mail; non con scritte tipo “Tutti i servizi fotografici al miglior prezzo”). La cosa più antipatica è dover chiedere “Scusi, ha una biro, che le scrivo il mio telefono?” (non ridete, succede davvero).
Preparate anche una chiavetta o un DVD con le foto che avete presentato, in modo che l’interessato possa guardarsele con calma a casa sua.
Siate pronti a spiegare il vostro lavoro.
Se l’esperto vi chiede “Perché hai fatto questa fotografia?” la risposta peggiore che possiate dare è “Perché mi piaceva il soggetto”. Il principiante fa la fotografia perché vuole portarsi a casa il ricordo di un qualcosa che gli è piaciuto, il professionista la fa perché ha in mente un’idea (ancora una volta, un progetto).
Errore da non fare: cercare di attirare l’attenzione dell’esperto raccontandogli che avete fatto una mostra nel negozio di fotografia più famoso della città, o al bar del paese, o nei locali della biblioteca pubblica. Dimenticate di averlo fatto! Cancellate il ricordo dalla vostra mente! Ma soprattutto, non ditelo mai a nessuno!
Ecco, se dopo questi consigli non vi sentite depressi e scoraggiati, allora vuol dire che avete le palle sufficienti per sottoporvi a una lettura portfolio.
In bocca al lupo!