Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

LUGLIO - AGOSTO 2019

La nicchia e la massa

Gli amici mi dicono che cucino bene.
In effetti, in cucina cerco di essere creativo, di reinterpretare le ricette della tradizione, così di solito riesco a mettere insieme piatti non solo gradevoli, ma anche originali ed equilibrati.
Tuttavia non mi ritengo un cuoco, né tantomeno uno chef (che poi è quasi la stessa cosa, ma fa più figo), nemmeno dilettante.
La mia polenta concia, il mio risotto alle fragole, il mio fricandò alla piemontese sono giusto piatti da preparare divertendosi, da proporre alla famiglia o agli amici, senza nessuna pretesa.
Di sicuro non mi sognerei mai di partecipare a una gara di cucina, come quelle che il digitale terrestre ci ammannisce più volte al giorno, su quasi tutte le reti, in decine di format differenti e replicate decine di volte, come le favole che i bambini vogliono sentire, sempre le stesse, prima di addormentarsi, e guai se il papà cambia una parola.
Né tantomeno mi permetterei di insegnare a qualcuno come si realizza una perfetta Fessilsuppu (se pensate che sia sardo vi sbagliate: viene fatta molto, ma molto più a nord), o come si prepara un antipasto di castagne al miele con lardo di Arnad.
Peggio ancora, poi, sarebbe pretendere di trarre un vantaggio economico dalla mia abilità culinaria: se mi proponessi come cuoco a domicilio potrei forse – parafrasando Abraham Lincoln – ingannare poche persone per molto tempo o molte persone per poco tempo.
Ma certo non potrei ingannare molte persone per molto tempo.
Sarei un millantatore, un abusivo, un concorrente sleale nei confronti di chi ha studiato a lungo per fare quel lavoro, e che paga le tasse su quello che guadagna.

Quello che vale per la cucina dovrebbe valere anche per ogni altra attività umana, fotografia compresa.
Invece non è così.
Ci sono persone che hanno studiato, si sono informate, sia frequentando corsi sia impegnandosi in proprio (un bravo autodidatta vale spesso quanto chi ha compiuto studi regolari), per giungere a un livello tale da poter proporre al mercato i propri lavori.
E non è neppure una questione di tempo o di esperienza: conosco fotografi che hanno acquistato da poco la loro prima reflex ma che dimostrano da subito un notevole talento, che non è innato, ovviamente, ma che deriva loro dall’avere lavorato in passato con la pellicola, dall’aver frequentato mostre, dall’avere studiato, dall’avere cercato gli stimoli giusti, dall’avere capito prima di altri quei pochi passi fondamentali che consentono di evolversi rapidamente e con successo.
Quando si sentono pronte, queste persone abbracciano in toto l’attività fotografica, oppure la affiancano a un’altra attività preesistente (vivere di sola fotografia non è facile), e con onestà e umiltà iniziano a proporsi a potenziali clienti, e quando vedono che la cosa funziona si mettono in regola con le normative fiscali.
Potranno avere successo oppure no, perché il mercato è un giudice severo, ma l’importante è provarci.

Il problema è che alcuni si sentono pronti quando ancora non lo sono.
E – quel che è peggio – riescono anche a trovare dei clienti, o comunque persone in grado di apprezzare e di pagare il loro lavoro.
Lasciamo da parte il doloroso problema dell’abusivismo, alimentato da dilettanti allo sbaraglio che offrono prestazioni a prezzi irrisori (e in nero), alimentando nell’opinione comune l’idea che la fotografia sia un prodotto che può essere acquistato a poco, o addirittura gratis, e concentriamoci su un’altra domanda: perché chi avrebbe ancora un lungo cammino da percorrere riesce ugualmente a trovare clienti?
Questo accade perché – nel mondo della fotografia come in qualunque altro settore – la clientela è quanto mai variegata.
C’è chi si accontenta della “Fontinella” prodotta dalla Pennsylvania Macaroni Co. (non ridete, esiste davvero) e chi magari percorre chilometri per trovare quel particolare tipo di fontina DOP prodotta in quella certa vallata; chi acquista le fettine di Bennet e chi va dal macellaio Pino, che alleva vitelle di razza piemontese nutrendole con nocciole di elevata qualità (www.vicciola.it).
Chiedete: c’è tutta quella differenza?
Rispondo: assaggiate la carne di Pino e me lo direte voi.

Allo stesso modo ci sono clienti incapaci (non per loro colpa, ma perché nessuno glielo ha insegnato) di riconoscere la qualità fotografica, per cui si accontentano di lavori mediocri, semplicemente perché non conoscono di meglio, o non lo sanno apprezzare.
Così, il fotografo che ha prodotto quei lavori si accontenta anch’egli, perché comunque vende e non si sente stimolato a migliorare, ad aggiornarsi, a crescere professionalmente.
Si sente arrivato, mentre in realtà sta soltanto vendendo merce taroccata.
Fino a pochi anni fa, bastavano a dimostrarlo le fotografie esposte nelle vetrine dei venditori di pellicole e fototessere con annesso minilab per la stampa, che si improvvisavano matrimonialisti il sabato e la domenica (figure ormai scomparse, davvero senza troppi rimpianti).
Oggi basta vedere le centinaia di “like” decretati dal popolo di Instagram a fotografie banali, insignificanti quando non addirittura sbagliate, per rendersi conto della scarsità di cultura visiva di cui soffre la maggioranza della popolazione.

Quanto ho detto non è un male, e l’umanità non andrà certo in rovina per quello.
Ci sono i consumatori di cibo-spazzatura e i gourmet raffinati, e di conseguenza ci sono venditori capaci di soddisfare entrambe le esigenze, e tutti convivono sotto lo stesso cielo.
L’importante è che non si rompano le palle gli uni con gli altri cercando di imporre le proprie scelte.

Ma ciascuno deve decidere che cosa vuole fare: se rimanere venditore di fontina ferlocca (e magari potrà anche avere clienti, e perfino guadagnare bene sui grandi numeri), o se puntare all’eccellenza, offrendo un prodotto di nicchia, un qualcosa che nessun altro è in grado di offrire.
Forse così avrà meno clienti, ma quei pochi saranno in grado di capire la differenza, e la pagheranno in proporzione.
Chi sceglie questa seconda opzione ha di fronte a sé una strada non facile, che passa attraverso una formazione continua, una costante revisione delle certezze acquisite, una seria capacità di autocritica e un investimento di risorse finanziarie necessario alla propria crescita professionale e personale.
In parole povere, per migliorare bisogna studiare.
Chi pensa di cavarsela acquistando l’ultimo modello di reflex o l’obiettivo top di gamma appena recensito su Juza, allora non ha capito niente.

Alla prossima.