Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

DICEMBRE 2021

Usare al meglio un supergrandangolare

Molti fotoamatori sono affascinati dagli obiettivi super grandangolari.
Il vasto angolo di campo che questi obiettivi riescono a inquadrare consente punti di vista inconsueti, composizioni ardite, dove i normali meccanismi percettivi vengono messi in discussione dalle prospettive esasperate e da uno spazio dal respiro quasi surreale.

Antelope Canyon (Arizona). Obiettivo da 28mm sul medio formato (equivalente a un 17-18mm sul full-frame). Il vasto angolo di campo mi ha permesso di lavorare in un ambiente estremamente ristretto e di inserire il soggetto (l’alberello rinsecchito) nel suggestivo contesto che lo circonda.

Un obiettivo da 15mm “macro” sul full-frame ha permesso di ottenere un’immagine fortemente tridimensionale, con i prodotti pubblicizzati ingigantiti dal primo piano e una prospettiva geometrica che guida verso lo sfondo (sfocato ma riconoscibile) per contestualizzare il soggetto nel suo ambiente (un salone di bellezza).

Ma questi obiettivi non sono facili da usare.
È proprio l’ampiezza dell’angolo di campo che trascina con sé i maggiori problemi.
Contrariamente a quello che molti pensano, la vera funzione di un supergrandangolare non è tanto quella di abbracciare un vasto angolo di visione, quanto quella di esaltare la prospettiva, staccando tra loro i piani dell’immagine e allontanando lo sfondo dal primo piano.
La corta focale e un diaframma adeguatamente chiuso provvederanno a esaltare la profondità di campo apparente, regalando all’immagine una diffusa impressione di nitidezza.
Per questo motivo, quando si lavora con questi obiettivi è necessario prestare un’attenzione rigorosa alla composizione, proprio per evitare un eccesso di elementi che distraggano lo spettatore e non gli permettano di individuare un preciso soggetto.
È quindi indispensabile progettare con estrema attenzione l’inquadratura, in modo da ottenere una composizione “pulita”, priva cioè di elementi superflui.

Torino, fontana nella piazza antistante un centro commerciale. Obiettivo da 11mm sul full-frame. I due muretti in marmo sono ovviamente posizionati a 90° l’uno rispetto all’altro, ma il formidabile angolo di campo (126 gradi) riesce a comprenderli entrambi. Un’ottica difficilissima da usare, per il rischio di comprendere nell’inquadratura elementi di disturbo. Per fare questa fotografia mi sono recato sul posto nelle primissime ore del mattino, quando il centro commerciale e tutti i negozi erano ancora chiusi, per evitare di incontrare (e riprendere) gente.

New York, 7th Avenue. Obiettivo da 18mm sul full-frame. In città è difficilissimo riuscire a evitare elementi superflui o disturbanti, rappresentati soprattutto dalle persone che irrompono nello spazio dell’inquadratura durante lo scatto e delle quali si finisce per inquadrare una mano, oppure una scarpa: errori che richiedono poi un ritaglio (non sempre agevole) in fase di trattamento o – peggio – interventi di timbro clone. In queste situazioni occorre avere pazienza e aspettare, spesso per lunghi minuti, un’inquadratura quanto più possibile “pulita”.

Pieve di Teco, antico borgo medioevale incastonato tra i monti che separano Piemonte e Liguria. Obiettivo da 28mm su medio formato (equivalente a un 18mm sul full-frame). Scena piena di elementi, e quindi difficile da gestire. Ho dovuto aspettare diversi minuti per avere la composizione più soddisfacente: il gruppo di clienti che si affollano intorno al banco del fruttivendolo, una passante per riempire lo sfondo, lo spigolo tra pavimento e muro che inizia esattamente dall’angolo inferiore destro dell’inquadratura e crea una prospettiva geometrica lungo la quale sono sistemati gli elementi principali della composizione.

In realtà, l’uso di un super grandangolare pone al fotografo più problemi che soluzioni, ma non solo per quanto riguarda l’inquadratura.
Come è noto, la caduta di luce ai bordi (spesso impropriamente definita “vignettatura”) è un fenomeno fisiologico che deriva, per dirla con semplicità, dal fatto che i raggi che entrano obliquamente nell’obiettivo devono fare più strada di quelli coassiali all’asse ottico.
In questi obiettivi i raggi di luce extra assiali colpiscono la lente secondo un angolo fortemente deviato, perciò la caduta di luce ai bordi può provocare una differenza di illuminazione chiaramente avvertibile tra il centro dell’immagine e le aree più periferiche.
Quanto maggiore è l’angolo di incidenza, tanto maggiore sarà la differenza fra centro e bordi.
Il fenomeno può essere facilmente corretto in fase di trattamento.

Un fascio di raggi che penetra obliquamente all’interno del sistema ottico (B) genera un cerchio di diametro inferiore a quello di un fascio di raggi assiale (A), e questo provoca una diminuzione dell’energia luminosa che raggiunge la superficie di acquisizione. Un utilizzo giudizioso del fenomeno da parte del progettista è in grado di tenere sotto controllo le aberrazioni extra-assiali (Disegno tratto da Michele Vacchiano, La riproduzione fotografica di documenti, Bologna, Zanichelli, 1987).

Più difficile correggere un altro fenomeno, che spesso si verifica anche con obiettivi di rango elevato, e che consiste in una perdita di qualità ai bordi dell’immagine, spesso pesantemente avvertibile, a causa di aberrazioni quali la coma (la parola, femminile, deriva dal termine latino che designa la coda della cometa, e non ha nulla a che vedere con “il” coma, che indica un profondo e patologico stato di incoscienza), la curvatura di campo, l’astigmatismo e l’aberrazione sferica.
Il riconoscimento dell’obiettivo da parte del software di trattamento può correggere, almeno in parte, il problema.
Un “trucco” per evitare che questo si verifichi consiste nel prevedere un ritaglio, o crop, in fase di trattamento, inquadrando un’area più ampia del necessario e ritagliando poi i bordi dell’immagine, area dove la perdita di qualità si fa più evidente.

Torino, Parco del Valentino. Obiettivo da 15mm sul full-frame. Anche in questo caso la composizione è stata attentamente studiata, per gestire al meglio la prospettiva e la dislocazione dei punti di interesse all’interno dell’inquadratura. Purtroppo questo obiettivo, decisamente interessante da molti punti di vista, soffre di una deludente perdita di qualità ai bordi, come si può immediatamente verificare osservando la fotografia pubblicata qui di seguito.

Un altro problema dei super grandangolari è la distorsione, che si verifica soprattutto negli obiettivi più economici (e quindi meno corretti) oppure negli obiettivi zoom.
Nei grandangolari la distorsione si presenta generalmente come incurvamento verso l’esterno (distorsione a barilotto) delle linee marginali.
Il problema non è grave quando si fotografa il paesaggio (che un cespuglio appaia più “panciuto” di quanto non sia in realtà è irrilevante, e sicuramente non se ne accorge nessuno), ma lo diventa quando nell’inquadratura compaiano linee ortogonali: la facciata del Partenone trasformata in palloncino non convincerebbe nessuno.
Ora, è vero che questo difetto può essere corretto in automatico dal software di trattamento, grazie al riconoscimento dell’obiettivo (e se tale correzione non risulta sufficiente, è possibile rimediare con interventi manuali), ma è anche vero che la correzione via software (automatica o manuale non fa differenza) altera le dimensioni e le proporzioni dell’immagine, anche se in modo impercettibile.
Risulta pertanto preferibile usare obiettivi caratterizzati già in partenza da un grado di distorsione minimo, soprattutto se ci si dedica alla fotografia di architettura.

A sinistra in alto: la distorsione a cuscinetto (pincushion) è caratteristica delle focali superiori alla normale e in particolare dei teleobiettivi, mentre la distorsione a barilotto (barrel) si riscontra specialmente negli obiettivi grandangolari, soprattutto se a focale variabile (zoom). A destra, un grafico descrive una distorsione di segno negativo (cioè a barilotto).

Forcalquier (Alpes de Haute Provence – Francia). Obiettivo da 18mm su sensore full-frame. Fotocamera su cavalletto con testa micrometrica per mantenere il piano focale perfettamente in bolla, evitando l’insorgere delle verticali convergenti. L’obiettivo usato, di elevata qualità (Carl Zeiss Distagon 18mm f/3,5) è caratterizzato da una distorsione trascurabile ed è perciò particolarmente adatto alle riprese di architettura, o di ambiente nel quale compaiano degli edifici.

Un ultimo problema, dovuto non alle caratteristiche degli obiettivi ma alla scarsa perizia del fotografo, è quello delle verticali convergenti.
Si sa che quando si inquadra un edificio inclinando la macchina verso l’alto, si ottiene la convergenza delle linee verticali, convergenza tanto più evidente quanto maggiore è l’angolo di campo dell’obiettivo.
È vero che le verticali convergenti possono essere corrette in fase di trattamento, ma è anche vero che la loro correzione provoca un’alterazione della prospettiva e un deterioramento del file.
Per evitare il fenomeno è indispensabile inquadrare con attenzione, mantenendo la macchina “in bolla”, cioè con il piano focale (il sensore) perfettamente parallelo ai piani verticali del soggetto.
Per avere la massima sicurezza, è indispensabile evitare di lavorare a mano libera e usare un treppiede dotato di testa a tre vie con regolazione micrometrica.
In caso contrario, ad esempio con una semplice testa a sfera, si finisce per impazzire nel tentativo di pareggiare l’inclinazione su tutti gli assi.
Come abbiamo già illustrato in un precedente tutorial (https://youtu.be/H61se_hA2nc), ci sono occasioni in cui le verticali convergenti non possono essere evitate. In questo caso non resta che esagerarle, ma facendo capire chiaramente allo spettatore che si tratta di un effetto voluto e non di un’inquadratura sbagliata e inesperta.
Si osservi la fotografia pubblicata qui di seguito.

Comprendere l’intero edificio in una sola inquadratura mantenendo la macchina in bolla sarebbe stato impossibile, a meno di allontanarsi molto (ma in città non c’era spazio sufficiente), oppure salire sul tetto di un altro edificio e riprendere il tutto con un super grandangolare.
In casi come questo è necessario sfruttare creativamente l’effetto di convergenza delle verticali; far capire allo spettatore che l’esaltazione della prospettiva è voluta, allo scopo di sottolineare l’altezza dell’edificio e la sua imponenza.
Per farlo, è necessario adottare degli accorgimenti precisi.
Prima di tutto occorre individuare una linea verticale centrale, per esempio uno spigolo dell’edificio, o il centro di una facciata (qui la facciata dello One World Trade Center, Lower Manhattan, New York City), capace di funzionare come asse di simmetria.
Poi, per quanto possibile, occorre fare in modo che le linee prospettiche laterali convergano tutte verso un unico punto centrale, giacente sulla linea mediana.
In questo modo si crea una composizione a triangolo, simmetrica dalle due parti, la quale denota che la convergenza delle linee verticali non è stato un errore di ripresa, ma che il fotografo è stato attento a comporre l’inquadratura in modo da ottenere un effetto prospettico accuratamente studiato e calcolato.

Ovviamente, utilizzando un super grandangolare allo scopo di riprendere l’intero edificio, si inquadrerà anche una vasta area di primo piano (selciato, pavimento o prato) che dovrà essere eliminata con un opportuno ritaglio in postproduzione (un esempio qui di seguito).

In conclusione, possiamo dire che utilizzare un obiettivo super grandangolare può essere creativo e stimolante, a patto che si tengano in considerazione i problemi e i limiti insiti in questo tipo di riprese, ci si rivolga a prodotti di elevata qualità e si studi l’inquadratura con estrema attenzione, attingendo a una consolidata esperienza.

Alla prossima.

Times Square, Manhattan. L’obiettivo da 18mm sul full-frame, mantenuto rigorosamente in bolla, ha permesso non solo di comprendere in un’unica inquadratura le persone in primo piano e i grattacieli sullo sfondo (senza peraltro tagliarne la sommità e senza generare la convergenza delle verticali), ma anche di abbracciare nel suo vasto angolo di campo tutta la colorata confusione e l’animazione che caratterizzano quello che io ritengo uno dei luoghi più “energetici” del pianeta.