Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

APRILE 2020

Appassionati e professionisti

Quando raccomando di lavorare in ETTR per mantenere le ombre leggibili; quando dico che recuperare le ombre in post genera rumore; quando spiego che una foto con contrasti eccessivi è meglio non farla, e magari aspettare condizioni di luce migliori; quando raccomando una cura maniacale nella scelta del corretto punto di messa a fuoco, quando invito a fare attenzione allo sfondo, che può contenere elementi indesiderati, molti mi rispondono evocando procedure capaci di ovviare in postproduzione ai problemi che io espongo.
C’è l’HDR, mi dicono, c’è l’iperfocale, c’è il focus stacking, c’è il blending delle immagini, c’è lo scontorno se lo sfondo è brutto.
Perché Michele Vacchiano non ne parla?
Possibile che sia rimasto così indietro sulle procedure di trattamento?

C’è una differenza tra chi fotografa per passione e chi ha fatto della propria passione un mestiere.
Questa differenza si concretizza in due parole: “soldi” e “tempo”.
Mi spiego.
Il cliente che si rivolge a un fotografo professionista, di solito non paga le fotografie: paga un servizio, cioè un lavoro.
Si dà per scontato che il numero di foto debba essere congruo e di solito è specificato nel contratto (da un minimo a un massimo).
Se il cliente è un’azienda o una società di servizi, è lui a stabilire il compenso, e a questo punto sta al fotografo decidere se la somma che gli è stata proposta sia tale da coprire il suo impegno e le sue spese.
È sempre più raro che sia il prestatore d’opera a poter stabilire il costo della sua prestazione (ma questo non solo in fotografia).
Per quanto mi riguarda, l’ultimo lavoro per il quale ho potuto decidere io il compenso è stato fatto nel 2016 per un istituto di ricerca di Parigi: avevo chiesto una cifra decisamente elevata (giustificata dall’alta specializzazione del lavoro), che mi è stata pagata senza battere ciglio dopo una settimana dalla presentazione della fattura.
Un altro mondo.
Nel proporre il compenso, il cliente considera la giornata (o mezza giornata) dedicata alle riprese.
Il tempo speso dal fotografo per effettuare la postproduzione non viene preso in considerazione, sia perché il cliente non si rende conto di quanto impegno richieda, sia perché esso dipende strettamente dal modo di lavorare, dalla competenza, dalle procedure del singolo professionista.
Lavori in RAW e devi postprodurre tutte le immagini?
Peggio per te: se lavoravi in JPEG te la cavavi subito.
Questo è il motivo per cui ancora oggi alcuni matrimonialisti lavorano in JPEG.
Dovendo trattare molte fotografie per volta, il professionista utilizza i software che gli permettono di ottimizzare il lavoro e sveltire le procedure.
Bridge, ad esempio, permette di rinominare in batch tutte le immagini di un servizio, di inserire una volta per tutte i metadati, le parole-chiave e la descrizione, di sviluppare una sola fotografia per poi incollare i parametri di sviluppo su tutte le immagini della serie.
Anche Lightroom e Capture One, tanto per fare due esempi, permettono di fare questo, pur se in modo diverso.
Ecco perché è raro che io decida di utilizzare gran parte del tempo destinato allo sviluppo a tecniche complesse e laboriose, come l’HDR (che – se fatto bene, cioè manualmente grazie alle maschere di livello – richiede tempo, abilità e l’uso di una tavoletta grafica) o altre elaborazioni che attengono più all’àmbito della grafica che a quello della fotografia, come il blend di immagini, gli scontorni o il focus stacking.
Quello che io insegno nei miei video sono le tecniche e le procedure per ottenere da subito un’immagine già buona in partenza, senza dover perdere troppo tempo nella fase del trattamento.

L’esigenza è quella di ottenere una foto vendibile nel più breve tempo possibile.
Solo quando mi tolgo il cappello del professionista per indossare quello dell’appassionato, oppure quando voglio creare “la” fotografia spettacolare, mi regalo il tempo per pasticciare, sperimentare, smanettare alla ricerca dell’effetto perduto.
Quindi – voi chiedete – come fai quando la foto è difficile? Quando il contrasto è eccessivo, quando sai che nemmeno un accurato mixaggio di luci e ombre riuscirà a recuperare un’immagine leggibile? Oppure quando lo sfondo fa schifo e nemmeno spostandoti riuscirai ad avere un’ambientazione decente?
Semplice, evito di scattare “quella” fotografia.
Aspetto un’altra luce, scelgo un altro punto di vista, mi concentro su un particolare se la visione di insieme è così problematica da richiedermi un lungo e laborioso impegno.
Insomma, evito di complicarmi inutilmente la vita, rendendo sproporzionato il rapporto tra il tempo impiegato per completare il lavoro e il sempre più miserevole guadagno che i clienti mi riconoscono.
Questo lo può fare l’appassionato, che dedica al suo hobby il tempo libero; di sicuro non chi con la fotografia ci lavora.

Alla prossima.