L'articolo del mese
GENNAIO 2022
Il “purple fringing”
Che cos’è il purple fringing?
  E come può influire sulla qualità delle nostre immagini?
  Gli articoli in italiano che si trovano sul web non sono  molto esaustivi: quasi tutti si limitano a copiare, con poche varianti  lessicali, la spiegazione di Wikipedia.
  Perciò, cerchiamo di approfondire.
  Dunque, il purple fringing, o purple fringe (frangia  violetta), si evidenzia come un alone viola, ma anche di altro colore, che  compare soprattutto nelle aree di confine tra zone scure e zone chiare, come si  vede nella foto qui sotto.
 
Ad esempio, se fotografiamo un ramo o il profilo di una roccia contro un cielo molto chiaro, è facile che il fenomeno si presenti.
 
A che cosa è dovuto?
  Essenzialmente alla presenza di aberrazione cromatica nell’obiettivo.
  Ma anche alla presenza di aberrazione cromatica all’interno  delle microlenti che concentrano la luce sui singoli fotodiodi (pixel) che  compongono il sensore.
  In realtà dovremmo dire “aberrazioni cromatiche”, perché si  tratta di due fenomeni distinti, che spesso si manifestano insieme, sommando i  loro effetti.
  Andiamo con ordine.
  Un raggio di luce bianca che colpisce un prisma viene  scomposto nelle sue componenti fondamentali, i cosiddetti colori dell’iride.
  Il fenomeno è dovuto alla differenza di rifrazione delle  diverse lunghezze d’onda.
  In parole semplici, il prisma  rifrange (cioè piega) i raggi luminosi secondo angoli diversi, ciascuno  dipendente dalla lunghezza d’onda dei singoli componenti.
Così, per dirla in modo semplice (mi perdonino i fisici), la luce rossa viene piegata di meno e la luce violetta viene piegata di più.
 
Lo stesso fanno le gocce di pioggia quando sono colpite dal sole e disperdono la luce bianca che le attraversa, generando l’arcobaleno.
 
La lente è una calotta sferica che – per nostra sfortuna – si comporta come una serie infinita di prismi, quindi anch’essa rifrange (cioè piega) i raggi luminosi secondo angoli differenti, che dipendono dalle differenti lunghezze d’onda.
 
Nell’aberrazione cromatica lineare (detta anche assiale o longitudinale), le diverse lunghezze d’onda si focalizzano in punti differenti lungo l’asse ottico: assumendo che la luce gialla (lunghezza d’onda intermedia) vada a focalizzarsi esattamente sul piano focale, la luce rossa si focalizzerà oltre il piano focale, mentre quella blu si focalizzerà davanti al piano focale, in posizione più prossima alla lente.
 
Nell’aberrazione cromatica laterale, o extra-assiale, un raggio luminoso proveniente da un punto esterno all’asse ottico viene scomposto in un grappolo di cerchietti colorati che generano un piccolo spettro giacente sul piano focale.
 
Le aberrazioni sono ovviamente corrette in fase di  progettazione (gli obiettivi apocromatici, ad esempio, sono corretti su tre  diverse lunghezze d’onda), ma possono rimanerne tracce quando si usa  l’obiettivo ai diaframmi più aperti.
  Il fotografo può correggere l’aberrazione cromatica lineare  chiudendo il diaframma, in modo da comprendere i diversi punti-luce all’interno  del campo di profondità focale.
  Altre cause scatenanti del purple fringing possono essere un  eccesso di elaborazione (ad esempio un aumento artificiale del contrasto o una  gestione non corretta delle alte luci), oppure un’eccessiva interpolazione (quando  si tenta di ingrandire un’immagine oltre i limiti imposti dalla risoluzione del  sensore).
Un’altra causa di aloni colorati, spesso mal conosciuta, è  il cosiddetto blooming (letteralmente, “fioritura”).
  Si verifica specialmente con sensori CCD, oggi quasi del  tutto sostituiti dai sensori di tipo CMOS.
  Quando un gruppo di fotodiodi riceve più  luce di quanta ne possa gestire, perde la capacità di registrare un segnale  proporzionale alla luce che riceve, per cui la carica elettrica risultante  trabocca nei fotodiodi adiacenti. 
  Da questo consegue che il blooming appare  più evidente nelle aree sovraesposte. 
  Ma poiché le diverse lunghezze d’onda  reagiscono alla sovraesposizione in modo non uniforme, ecco che anche il  blooming può generare delle frange colorate, che spesso vengono confuse con il  purple fringing.
 
In postproduzione, è possibile ridurre l’effetto del purple  fringing innanzitutto impostando la correzione automatica dell’obiettivo: il  software legge i dati Exif generati dalla fotocamera, riconosce l’obiettivo  usato e apporta le necessarie correzioni.
  Diversi RAW converter offrono la possibilità di correggere  in automatico il purple fringing.
  Capture One, ad esempio, dispone di un eccellente strumento,  basato su algoritmi intelligenti.
  Se questo non basta, è possibile intervenire manualmente (ma  bisogna sapere bene cosa si sta facendo, perché il disastro è sempre dietro l’angolo).
  Non stiamo qui a descrivere le procedure rese possibili da  ogni singolo software, ma ci limitiamo a una raccomandazione valida per tutti:  quale che sia lo strumento che usiamo per trattare e postprodurre il nostro  RAW, ricordiamoci che nessun intervento è indolore, che la fotografia deve  “nascere bene” già in fase di ripresa, e che la postproduzione deve limitarsi a  evidenziare le caratteristiche “forti” dell’immagine, quelle che ci avevano  emozionati e che vogliamo comunicare allo spettatore.
  Tentare di recuperare una foto sbagliata nella convinzione  che “tanto c’è Photoshop” è una strategia perdente in partenza.
  Per questo conviene cercare di evitare che il purple  fringing si verifichi, mettendo in atto le corrette strategie già in fase di  ripresa.
  Prima di tutto, evitando di lavorare con diaframmi troppo  aperti, soprattutto se nell’inquadratura compaiono aree di contrasto elevato. 
  Ricordo che i diaframmi ideali sono quelli intermedi, dove  le aberrazioni residue sono ormai corrette, mentre gli effetti della  diffrazione non sono ancora troppo evidenti.
  Poi, è bene evitare il clipping, cioè la bruciatura, delle  alte luci, soprattutto se queste confinano con aree scure.
  Infine, dato che il purple fringing si manifesta soprattutto  ai bordi dell’immagine, può essere utile prevedere un ritaglio in fase di  trattamento, e inquadrare pertanto un’area più ampia del necessario, qualora si  sospetti che il fenomeno abbia qualche probabilità di manifestarsi.
Alla prossima.