Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

NOVEMBRE 2020

Il bello del brutto

Adesso non succede quasi più, perché il mondo è cambiato.
Ma fino a non molti anni fa, accadeva che il redattore capo di una rivista di viaggi (di quelle che “facevano le marchette” pubblicando un articolo su un territorio e facendosi dare un contributo dalla comunità montana, dal comune o dalla locale proloco, cosa ormai impossibile dato lo strangolamento imposto agli enti territoriali dalle sempre più stringenti e umilianti leggi finanziarie) chiedesse al fotografo di recarsi (a proprie spese, obviously) fino a Castelnuovo Val Supata, o a Pizzo Papero di Sotto, se preferite, per realizzare un servizio fotografico che illustrasse le bellezze del luogo (senza dimenticare ristoranti, trattorie e strutture ricettive, se no col cavolo che vedevi i soldi).
Contestualmente, e con elegante nonchalance, informava che il servizio sarebbe andato in stampa il giorno successivo.
Per cui il fotografo partiva, con il mezzo più veloce a sua disposizione, per realizzare in fretta e furia il servizio.
Che piovesse o ci fosse il sole, che nevicasse o tirasse vento, che il luogo fosse deserto o strabordante di turisti, bisognava andare e – ciò che più conta – portare a casa un congruo numero di fotografie pubblicabili.
Questo, lungi dal rappresentare un handicap iniziale, contribuiva a scatenare la fantasia e permetteva di realizzare fotografie originali indipendentemente dalle condizioni ambientali.
Piove? Non importa, ci si concentra sui riflessi nelle pozzanghere e sul riverbero delle luci sull’asfalto bagnato.
C’è nebbia? Ok, buttiamoci sui particolari vicini.
C’è troppa gente? Perfetto, la gente sarà il leitmotiv del reportage.
L’unica cosa che non andava fatta (e che non si faceva) era pensare di poter realizzare le stesse fotografie che si sarebbero realizzate in condizioni di “tempo buono”.
Niente inquadrature d’insieme, perché il contrasto era inesistente; niente riprese di giardini o aiuole, perché i colori avrebbero fatto schifo.
Insomma, l’imperativo categorico era (ed è) adeguare il proprio modus operandi alle condizioni ambientali.
Giusto per non fare come i dinosauri, che non sapendosi adattare si sono estinti.
Inoltre, diciamocelo, il cosiddetto cattivo tempo ha il suo fascino (come disse una mia antica fidanzata per consolarmi dall’aver trascorso un’intera settimana reclusi in un rifugio d’alta quota causa pioggia; senza neppure poter amoreggiare perché si dormiva in camerate da otto).
Qualche decennio fa, ai tempi della pellicola, sottoposi alcuni miei scatti a un editore specializzato in poster (oggi non sono più di moda, ma negli anni Settanta e Ottanta erano un must).
Lui sparpagliò le mie diapositive sul tavolo luminoso, le analizzò per non più di un secondo e mezzo, poi sentenziò: “Non vanno bene: i cieli sono troppo drammatici. Noi vogliamo il cielo azzurro e sgombro da nubi, il fiorellino in primo piano, la baita sul piano intermedio e le montagne sullo sfondo”.
Okay, saluti e baci, non è il mio stile.
Insomma, io non faccio fotografie da poster o da cartolina, ma proprio per questo le mie immagini hanno successo (tranne che presso gli editori di poster).
Senza contare l’aspetto della sfida.
In un suo celebre romanzo, Il cammino dell’arco, Paulo Coelho narra di un arciere capace di centrare una ciliegia a grande distanza.
Ma quando il suo maestro lo portò su un ponte traballante, sospeso su una gola vertiginosa, non riuscì neppure a centrare un albero.
Fuor di metafora, è agevole ottenere fotografie correttamente esposte e perfettamente a fuoco con un sole sfolgorante alle spalle; ma quando la tormenta infuria e il treppiede diventa instabile a causa del vento, beh, è lì che il fotografo viene messo alla prova.
E, credetemi, è lì che ci si diverte!
Perciò, quando il cielo si oscura, rallegratevi ed esultate, perché è quello il momento di uscire a fotografare.
E non ve lo dico a scopo consolatorio: come ho già detto in un precedente tutorial, di tutti i workshop che ho organizzato, quelli di cui i partecipanti si sono dichiarati più soddisfatti si sono svolti sotto la pioggia.
E di tutte le fotografie di viaggio che ho venduto, quelle tra le più apprezzate sono state fatte nel nord della Scozia, sotto una pioggia battente, con le nuvole così basse da toccare il mare e con i gabbiani che volavano ad ali distese, sfiorando insieme, con la punta delle ali, il cielo colore del piombo e la superficie gelida dell’Atlantico.
Ci sarà un motivo?

Alla prossima.

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