Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

GENNAIO 2013

Piove sul bagnato: ovvero, come fotografare nell'acqua e vivere felici

L'acqua, in tutti i suoi aspetti, è un tema fotografico al tempo stesso entusiasmante e difficile, proprio a causa della sua natura e delle mille forme che assume: il mare, i laghi, i fiumi e i torrenti… ma anche le pozzanghere, la neve che cade, la pioggia stessa… E poi i ghiacciai (sono fatti d'acqua anche loro!) o le fontane…

Per fotografare l'acqua bisogna superare due ostacoli: il primo è logistico, l'altro è squisitamente tecnico.

L'ostacolo logistico è rappresentato dal fatto che l'acqua… bagna!
E le macchine fotografiche, si sa, sono come i gatti: non amano bagnarsi.
Il problema non si pone soltanto quando si lavora sotto la pioggia, oppure quando si fotografano le rapide durante un giro di canyoning, ma anche – più banalmente – quando si fotografa in riva al mare e il sottile e impalpabile aerosol marino penetra per ogni dove all'interno delle nostre preziose attrezzature. L'aerosol marino non è solo umido ma anche salmastro, il che rappresenta una vera catastrofe se l'apparecchio non viene smontato, pulito e asciugato in fretta.

Le macchine “tropicalizzate” se la cavano meglio delle altre, date le numerose guarnizioni che le proteggono, ma occhio a controllare periodicamente la tenuta delle guarnizioni stesse, che con gli anni possono seccare e perdere la capacità isolante.

La soluzione più sicura è quella di dotarsi di custodie antipioggia, per giungere fino alle supersicure (e costose!) custodie stagne se si lavora in condizioni davvero estreme, ad esempio in grotta o facendo torrentismo.

Per esperienza possiamo dire che una buona custodia antipioggia è in grado di proteggere la reflex e l'obiettivo durante un temporale o in presenza di spruzzi. Tuttavia, se utilizzata a lungo senza poterla aprire, può favorire la formazione di condensa, portando al suo interno quell'umidità che cercavamo di tenere fuori.

Il problema tecnico è rappresentato dalla difficoltà di determinare l'esposizione corretta quando si fotografa l'acqua. La sua naturale luminosità e – soprattutto – la presenza di riflessi possono ingannare l'esposimetro, che tenderà a suggerire un'esposizione inferiore a quanto necessario.
Lo stesso accade fotografando sul ghiacciaio o sulla neve.
Quindi, se la situazione lo consente, sarebbe preferibile effettuare una misurazione esposimetrica sul cartoncino grigio medio, oppure utilizzare un esposimetro esterno per luce incidente.
In alternativa, controllare l'istogramma della fotografia appena scattata ed eventualmente ripetere lo scatto in modo che la curva appaia leggermente spostata sulla destra (cioè verso la zona delle luci): questo consentirà, in fase di sviluppo, di decrementare l'esposizione per tenere sotto controllo le alte luci salvaguardando al contempo le ombre e abbattendo il rumore elettronico (si tratta della tecnica nota come ETTR, “expose to the right”, diffusa da Michael Reichmenn sul suo sito Luminous Landscape e riconducibile – da un punto di vista concettuale – allo Zone System di Ansel Adams).
Se non si ha il tempo di effettuare una misurazione preventiva o di controllare accuratamente l'istogramma (e posso garantire che facendo rafting NON se ne ha il tempo!), l'unica soluzione è impostare preventivamente la correzione dell'esposizione aumentandola di uno o due terzi di stop.

Torrenti, rapide e cascate possono essere fotografati in modo da “congelare” il movimento dell'acqua. Lavorando in pieno sole basta impostare un valore ISO appena superiore alla sensibilità nativa del sensore (bastano 200 o 400 ISO) e un diaframma piuttosto aperto (ma MAI a tutta apertura!), compatibilmente con le esigenze di profondità di campo. In questo modo si ottengono tempi estremamente rapidi (fino a 1/2000 di secondo a f/5,6), tali da fermare a mezz'aria le singole gocce d'acqua.

L'effetto contrario, quello dell'acqua “velata”, richiede tempi di otturazione superiori a 1/15 o 1/8 di secondo (dipende dalla velocità dell'acqua), tempi non facili da ottenere quando la luminosità ambientale è forte.
Chiudere tutto il diaframma e impostare la sensibilità più bassa possibile a volte non è sufficiente, per cui bisogna ricorrere ad altri artifici.
Un filtro neutral density sarebbe l'ideale, ma è molto raro che i fotoamatori lo abbiano nel loro corredo.
Più diffuso è il filtro polarizzatore, che come è noto assorbe luce e può – nella maggior parte dei casi – determinare quel decremento dell'esposizione sufficiente ad allungare quanto basta il tempo di otturazione.
Irrinunciabile, in questi casi, il ricorso al cavalletto, o almeno a un appoggio stabile (non la spalla dell'amico, ma la spalletta del ponte!).
Alla prossima!

Gallery

Val Corsaglia (provincia di Cuneo). Grotte di Bossea.  Cascata. La scarsa illuminazione e la necessità di mantenere una ragionevole  profondità di campo (diaframma chiuso a f/8) hanno richiesto un tempo di  otturazione di 30 secondi, più che sufficienti a trasformare la cascata in un  velo evanescente. Lago di Garda. La luce del tramonto accende di toni  rossastri gli scogli in nprimo piano, che contrastano col blu del lago e dello  sfondo, reso indistinto dalla foschia. Ancora sul Lago di Garda, ma questa volta al mattino, poco  dopo l'alba. Un fronte nuvoloso avanza sul paesaggio (anche le nuvole sono  acqua!). La sua linea netta taglia obliquamente l'inquadratura creando un  effetto dinamico. Non sempre la nebbia è un nemico. In questo caso  contribuisce a far risaltare il primo piano interponendosi tra questo e lo  sfondo. Neppure la foschia è necessariamente un nemico. In questa  fotografia il controluce e l'umidità presente nell'aria dopo la pioggia  contribuiscono a creare un'atmosfera suggestiva, sottolineata dal colpo di luce  sugli alberi in primo piano.. Il fronte del ghiacciaio del Rutor sopra il rifugio  Deffeyes. Il ghiaccio è una delle forme che l'acqua assume ed è spesso  occasione per esercitare la creatività fotografica. Una delle cascate del Rutor (La Thuile). Le condizioni di  luce erano tali da permettere un tempo sufficientemente lungo da trasformare la  cascata in un velo vaporoso e pressoché indistinto.