Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere più divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo

GIUGNO 2016

Fotografia e/è cultura: Il chiostro della cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne

In questa serie, che abbiamo provocatoriamente chiamato “Fotografia e/è cultura” racconteremo ogni volta le modalità di formazione (non solo tecniche) di una fotografia.
Lo scopo è quello di dimostrare che dietro ogni immagine c’è sempre una storia; che il percorso fotografico non inizia con lo scatto, ma molto prima, con un attento studio del soggetto, della sua evoluzione storica, della sua funzione, del suo rapporto con l’ambiente che lo circonda.
La fotografia, insomma, è un viaggio che parte dalla conoscenza del soggetto per giungere alla sua trasfigurazione e alla sua trasformazione in un’opera capace di comunicare allo spettatore non tanto l’esistenza del soggetto stesso, quanto piuttosto l’intimo rapporto (fatto non solo di emozione, ma anche di sapere; non solo di cuore, ma anche di cervello) che il fotografo ha saputo instaurare con esso.
Solo in questo modo l’autore potrà strutturare un messaggio capace di sorprendere ed emozionare lo spettatore, proponendogli nuovi e stimolanti percorsi di lettura.

Saint-Jean-de-Maurienne è una cittadina nel cuore della Savoia alpina, facilmente e rapidamente raggiungibile da Torino attraverso il tunnel del Fréjus e – nella bella stagione – attraverso il più lungo ma spettacolare valico del Mont-Cenis.
Saint-Jean è conosciuta essenzialmente per tre motivi.
Il primo è quello di essere stata il luogo d’origine della Casa di Savoia.
Qui, durante lavori di restauro del portico, furono trovate le tombe di Umberto Biancamano (primo conte di Maurienne per nomina dell’imperatore Corrado II), di Amedeo I, Di Bonifacio (figlio di Amedeo IV) e di due vescovi, probabilmente Tibaud e Burckard, rispettivamente fratello e figlio di Umberto.
Il secondo è di natura sportiva: Saint Jean è tappa frequente del Tour de France, che per ben 59 volte vi è passato dopo aver valicato il massacrante Col du Galibier, che con i suoi 2642 metri di altitudine separa il dipartimento della Savoia da quello delle Hautes-Alpes.
Il terzo motivo è legato ai famosi coltelli Opinel, qui prodotti fin dal 1890.
La mano sormontata da una corona (“la main couronnée”) è al tempo stesso l’emblema della città e il marchio di fabbrica della Opinel.
Il Musée Opinel, piccolo ma interessante, illustra la storia e le modalità di produzione di questi famosi coltelli, senza dimenticare un fornitissimo e irresistibile negozio interno.
Saint-Jean, come tutta la regione, ha fatto parte del Ducato di Savoia (e poi del Regno di Piemonte-Sardegna) fino al 1860, quando (in base agli accordi tra Cavour e Napoleone III) Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia.
Il primo nucleo della cattedrale risale all’XI secolo.
L’edificio ha poi subito, come sempre succede, ristrutturazioni ed ampliamenti nei secoli successivi.
Nel 1450, il cardinale De Varambron decide di costruire un chiostro tra la cattedrale e il refettorio dei canonici, in sostituzione di un chiostro più antico (citato in un atto del 1211).
Il 1° gennaio 1482, il duca di Savoia Carlo I autorizza il canonico Amédée Gavit, vicario generale della diocesi della Maurienne, a usare i fondi della mensa episcopale per costruire il chiostro.
Il chiostro è un piccolo gioiello d’arte e di pace.
La sua bellezza deriva dalla sua semplicità: invece del marmo e dei materiali sontuosi che caratterizzano altri edifici di culto, i costruttori hanno usato semplice tufo e gesso di Savoia, materiali facilmente reperibili in loco.
Il tetto è ricoperto dalle tradizionali “lose”, le lastre di roccia scistosa che ricoprono le costruzioni tipiche delle Alpi occidentali (e che la Regione Valle d’Aosta ha reso obbligatorie).
Il colonnato è curiosamente inclinato verso l’esterno, caratteristica che fa impazzire i fotografi, i quali pensano di avere scattato una foto storta, mentre ad essere storta è l’architettura del luogo.
La fotografia è stata scattata diversi anni or sono, durante un workshop di tre giorni in giro per la Savoia alpina.
Quella mattina, intenzionato a visitare il chiostro insieme ai partecipanti al workshop, avevo avuto la brutta sorpresa di trovarlo chiuso: un’evenienza alla quale non ero preparato, dato che fino a quel giorno lo avevo visitato più volte, sempre entrando liberamente.
Mi recai quindi presso il locale ufficio del turismo, dove venni a sapere che il chiostro era stato chiuso a causa di ripetuti atti di vandalismo (le teste di minchia infestano con la loro fastidiosa e inutile presenza l’intero orbe terracqueo!), e che le visite si svolgevano solo su appuntamento e con una guida.
Prenotai una visita per quel pomeriggio alle due, ma mi sentii in dovere di avvertire l’impiegata che eravamo un gruppo di fotografi, e che per svolgere il nostro lavoro avremmo usato i cavalletti.
Mi aspettavo una risposta negativa, essendo abituato agli usi (e spesso agli abusi) vigenti nel Belpaese, ma la signora mi rispose, ridendo di gusto, che quelle pietre erano lì da mille anni e che non sarebbero stai i nostri cavalletti a deteriorarle.
Discorrendo sulla differenza tra il buonsenso dimostrato dalla signora e l’uso distorto del potere burocratico che caratterizza alcuni rappresentanti delle nostre istituzioni, ci presentammo puntuali alla visita delle due.
La guida (una studentessa estremamente gentile e preparata) accettò di aspettare con pazienza che tutti svolgessimo il nostro lavoro, soffermandoci sui particolari, discutendo delle inquadrature e della luce (una luce incredibile, riflessa ovunque dal biancore della pietra), piazzando ciascuno il suo cavalletto alla ricerca del punto di vista più adeguato.
La visita durò più di due ore, al termine delle quali alcuni di noi avevano scattato un centinaio di fotografie, che avremmo rivisto e discusso quella sera, durante il “dopocena fotografico” destinato alla postproduzione.
Di tutte le immagini realizzate quel giorno ho scelto quella pubblicata in questa pagina, dove si nota con chiarezza l’inclinazione del colonnato, ma dove soprattutto è possibile cogliere i giochi di luci e ombre che scandiscono gli spazi con un ritmo quasi musicale.
Dati tecnici: obiettivo Zeiss Planar da 50 millimetri su Canon Eos-5D, tempo di 1/25 di secondo a f/11, e ovviamente cavalletto.

Alla prossima.

Gallery

Il chiostro della cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne