Michele Vacchiano Cultural Photography

Il "tip" del mese

Ogni mese un suggerimento, un consiglio, un "trucco del mestiere" utile a rendere piů divertente, piacevole e professionale il lavoro del fotografo.

SETTEMBRE 2013

Il vuoto del comunicare

Lucchino è una storica tabaccheria torinese, situata all'inizio di via Po, subito dopo avere svoltato l'angolo di piazza Castello.
Più centro non si può.
Negli anni d'oro della pipa (tra i Settanta e gli Ottanta) la competenza di Lucchino sulle pipe e sui tabacchi era fuori discussione.
La moda della pipa è tramontata, gli anni sono trascorsi e la tabaccheria ha cambiato proprietari.
Rimane tuttavia ben fornita di pipe e - soprattutto - tabacchi.
Un giorno di fine giugno sono entrato in negozio per cercare, insieme a mia moglie, dei biglietti d'auguri.
Ovviamente ho dedicato un'attenta occhiata alle confezioni di tabacchi da pipa esposte negli antichi e monumentali scaffali di legno, che danno al luogo quell'atmosfera calda, storica e un po' retrò tanto cara a noi torinesi.
Devo confessare che non mi tengo costantemente aggiornato sulle novità in fatto di tabacchi da pipa: da anni ho le mie marche preferite e difficilmente azzardo esperimenti.
Quando posso varco il confine svizzero sulle sponde del Lago Maggiore e mi spingo fino a Brissago, dove l'instancabile Daniel Schneider propone agli intenditori il Torina di Schürch, molto simile al compianto Balkan Sobranie 759, inspiegabilmente uscito di produzione ormai da molti anni.
Sono stato quindi incuriosito dal vedere un'intera serie - che non conoscevo ancora - prodotta dalla Skandinavik e ricca di varie miscele.
"Quelli sono tabacchi da pipa" mi avvertì un signore dietro il banco, intercettando il mio sguardo attento.
"Ah, certo" risposi, "ma che cos'è quel tabacco… Arabica?"
Ora, quando un fumatore di pipa chiede a un venditore di tabacchi da pipa che cos'è un certo tabacco di una certa marca, vuole sapere di che tipo di miscela si tratta, se è una mixture di gusto inglese o un blend di tabacchi cavendish, se è corposo o leggero, se il taglio è di tipo flake o mixture… Tutte domande alle quali un venditore di tabacchi da pipa dovrebbe saper rispondere se vuole continuare a vendere tabacchi da pipa ai fumatori di pipa, giusto?
"Un tabacco da pipa" fu la risposta.
Pagai i biglietti di auguri, ringraziai e uscii, non senza avere scambiato un'eloquente occhiata con la mia compagna di vita, che ormai non ha bisogno di parole per percepire e condividere i miei stati d'animo.
L'episodio, nella sua banalità, non meriterebbe menzione se non perché rappresenta un paradigma ormai diffuso, un modo generalizzato di fare comunicazione.
Un approccio al comunicare che privilegia la fretta, la superficialità, l'approssimazione, il dire qualcosa pur di non ammettere che non si sa rispondere.
La tecnologia ci ha messo a disposizione una quantità e una varietà di strumenti di comunicazione impensabili fino a pochi anni fa.
La posta elettronica, i blog e i social network permettono a chiunque di comunicare il proprio pensiero a una folla virtualmente illimitata di lettori.
Eppure mai come in questo periodo la comunicazione è risultata così vuota, insignificante e banale.
Persino prima di un concerto di musica "colta" (come è avvenuto proprio a Torino in occasione della Nona Sinfonia di Beethoven, magistralmente interpretata dall'orchestra sinfonica della RAI in occasione di un concerto pubblico e gratuito in piazza San Carlo) non si è capaci di presentare un capolavoro tanto indiscusso quanto universalmente noto se non dicendo frasi ovvie e scontate, giusto per dire qualcosa a diecimila persone che sono lì per ascoltare della buona musica e che invece sono costrette a sentire banalità.
Siamo ancora capaci di dire qualcosa di originale senza copiarlo da un articolo di Wikipedia?
Siamo capaci di ammettere che non sappiamo una cosa e allora evitiamo di dirla, piuttosto che riempire il vuoto del silenzio con il vuoto delle nostre parole?
Okay, ma che c'entra tutto questo con la fotografia?
C'entra eccome, perché il vuoto comunicativo coinvolge anche e soprattutto la comunicazione per immagini.
Dei miliardi di fotografie scattate ogni mese nel mondo e disperse fra i social network, la maggior parte raffigura le stesse persone che le hanno scattate, o persone a loro vicine, in un'ossessiva autorappresentazione narcisistica e masturbatoria, utile solo ad affermare la propria esistenza fermandola nel tempo ed esorcizzando così l'inevitabile trascorrere della vita e il suo galoppare verso l'annullamento finale.
Niente di diverso dallo scrivere il proprio nome sugli alberi del parco o sui muri di Pompei, giusto per tramandare in qualche modo il proprio passaggio nel mondo.
Va benissimo, per carità, ma questo non è comunicare, è annaspare convulsamente in un oceano vuoto insieme a miliardi di nostri simili nel disperato tentativo di raggiungere la superficie alla ricerca di una boccata d'aria.
Ovunque, sui social network come nei telegiornali, nei programmi di intrattenimento come sui rotocalchi, la quantità di comunicazione è inversamente proporzionale alla qualità dei contenuti.
La dimensione della "chiacchiera" prende il sopravvento sulla "parola" (come già espresse magistralmente il filosofo Martin Heidegger nella sua opera Essere e tempo); il comunicare di per sé diventa importante più di ciò che realmente si comunica, in una sorta di horror vacui che aborre il silenzio e lo riempie purchessia perché il silenzio spaventa, costringendoci all'ascolto di noi stessi.
E allora pur di non confessare la propria ignoranza - cosa che di per sé non sarebbe disdicevole né disonorevole, ma soltanto onesta - si risponde in modo spesso ridicolo, "è un tabacco da pipa".
Oppure si diffonde informazione fasulla senza alcun rispetto per chi ascolta (tanto non ne capisce), come la speaker del Tgcom (il notiziario veloce di Italia 1), che dopo essersi impappinata sulla pronuncia di "Frankfurter Allgemeine" (e provarla qualche minuto prima?) ha annunciato la morte di Margherita Hack (29 giugno 2013) descrivendola come scienziata famosa soprattutto "per le sue ricerche sul nucleare".
O come il settimanale "Donna moderna", che in un servizio sul turismo in Valle d'Aosta definì la lingua francoprovenzale parlata nelle Alpi occidentali (già descritta come lingua autonoma dal glottologo Isaia Ascoli nel 1873 ed oggi riconosciuta e tutelata dalla legge) "un curioso miscuglio di francese e meneghino"!
A parte il ridicolo di una visione così ingenuamente milanocentrica, non è che prima di scrivere certe stupidaggini ci si possa velocemente informare?
E ancora, come non citare lo squallido provincialismo della pronuncia romanesca che impera indisturbata nei notiziari, nei programmi di intrattenimento, nelle interviste, senza che a nessuno venga mai in mente di pagarsi un corso di dizione?
Vorrei vedere che cosa succederebbe se un giornalista di France 2 si mettesse a diffondere le notizie usando l'argot parigino!
Superficialità, mediocrità, ignoranza e pigrizia mentale sembrano rappresentative non soltanto di un gruppo sociale o generazionale, ma dell'intera società nel suo complesso, insieme a una diffusa short term vision che ci rende incapaci di progettare il cambiamento.
Lo stesso avviene nei corsi di fotografia improvvisati da estemporanei "formatori", che nulla spiegano se non il funzionamento di macchine e obiettivi, come si scelgono tempo e diaframma per avere un'esposizione "giusta", come si dispongono i soggetti per "obbedire alla regola dei terzi", come si tolgono gli occhi rossi su Photoshop…
Nobilitando magari il tutto con qualche nozione di storia della fotografia copiata dalla solita Wikipedia, che meno male che c'è ma siamo tutti capaci di leggerla (come siamo capaci di leggere il libretto di istruzioni della nostra fotocamera), senza dover spendere soldi per andare a sentire chi ci parla di strumenti e non di fotografia, di fatti e non di idee, di contenitori invece che di contenuti.
Alla prossima.

Gallery

Miliardi di fotografie come questa sono pubblicate quotidianamente sui social network. Miliardi di fotografie come questa sono pubblicate quotidianamente sui social network. Miliardi di fotografie come questa sono pubblicate quotidianamente sui social network. Miliardi di fotografie come questa sono pubblicate quotidianamente sui social network. Locandina di un corso di fotografia (abbiamo lasciato solo l'elenco degli argomenti cancellando autori e luoghi: si dice il peccato ma non il peccatore…)