Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

MAGGIO 2022

In un tutorial su YouTube, pubblicato il 15 ottobre 2020, avevo preso in considerazione il mestiere del fotografo, offrendo suggerimenti e proponendo strategie utili a chi volesse intraprendere la strada della fotografia professionale.
Dopo quel video, e anche dopo l’analogo articolo pubblicato il mese scorso su questo sito, molti mi hanno scritto rimproverandomi di voler fare il misterioso: perché, mi hanno chiesto, non ci racconti come hai fatto TU a diventare professionista?
Okay, nessun problema.
Ecco il mio percorso, corredato anche da ricordi personali.
Però… non so quanto potrà essere utile, trattandosi di una storia alquanto anomala e diversa da quella che forse vi aspettereste, ma dato che me lo avete chiesto… peggio per voi, e buona lettura.

Come sono diventato professionista

L’hobby della fotografia l’ho avuto fin da bambino.
Nella mia famiglia la fotografia era un’attività molto praticata, insieme alla musica (a 18 anni sognavo di fare il compositore).
A partire dai sette anni, non ricordo un periodo della mia vita in cui non avessi in mano una macchina fotografica.
Durante tutta la carriera scolastica il mio rimase – ovviamente – un hobby, che negli anni del liceo e dell’università esercitavo durante le gite in montagna, grazie a una Lubitel 2, copia sovietica e proletaria della Rolleiflex biottica usata a quell’epoca dai fotoreporter.

Alla ricerca di indipendenza, anche se vivevo ancora con i miei, sperimentai diversi mestieri (anche all’estero), per poi finire a fare il supplente in un liceo privato.
Insegnavo latino, greco, italiano, storia dell’arte e francese.
Mi davano mille lire all’ora (oggi sarebbero circa sei euro, considerando l’adeguamento ISTAT) e lavoravo quaranta ore alla settimana, senza contare il tempo impiegato a casa per preparare le lezioni e correggere i compiti.
Nel frattempo continuavo a frequentare l’università e trovavo perfino il tempo per uscire con le ragazze.
Dormivo pochissimo, mangiavo come un orso e pesavo 55 chili.
Pensavo che l’insegnamento sarebbe stato il mio futuro, a quello mi stavo preparando, ma poco prima della laurea mi si presentò l’occasione di un concorso per aiuto bibliotecario indetto dal comune di Torino.
Di concorsi per l’insegnamento non si parlava, almeno a breve termine, così decisi di cogliere al volo questa inattesa opportunità: mi misi a studiare materie di cui ignoravo l’esistenza, vinsi il concorso e un anno dopo fui mandato a dirigere una biblioteca di quartiere.
Là iniziai a produrre slideshow didattici su vari argomenti, che proiettavo alle classi in visita in biblioteca.

Nel 1982 vinsi un nuovo concorso e divenni bibliotecario.
Nel frattempo mi ero iscritto a un corso di produzione audiovisiva, e ben presto diventai esperto di tecnologie audiovisive applicate alla didattica.
Non solo: grazie ai miei studi di semiologia iniziai a esplorare il mondo dei linguaggi audiovisivi, riuscendo a proporre nuove idee e strategie di gestione dell’offerta culturale all’interno delle biblioteche pubbliche.

Avevo le idee molto chiare su quello che volevo fosse il mio futuro, e in quella visione la fotografia rivestiva un ruolo predominante.
Ricordate quello che diceva Letizia Battaglia, recentemente scomparsa? Se vuoi fare il fotografo cercati un altro lavoro?
Ecco, io ho fatto così, ma con una differenza: ho subito fatto in modo che la fotografia diventasse parte integrante del mio lavoro quotidiano.
Però non mi bastava: sapevo di avere qualcosa da dire, fotograficamente parlando, e volevo dirlo anche al di fuori del circoscritto mondo bibliotecario.
Per riuscirci, dovevo fare due cose: studiare e farmi conoscere.
Studiare non era un problema: è la cosa che so fare meglio, l’ho fatta per tutta la vita.
Farmi conoscere era decisamente più complicato, ma poiché sapevo scrivere (avevo già avuto esperienze giornalistiche) incominciai a proporre idee e progetti editoriali a redattori di riviste e case editrici.
Un mondo chiuso e difficile, nel quale uno sconosciuto fa fatica a entrare.
Farsi ricevere da un direttore editoriale era già una conquista, ma il colloquio che ne seguiva era più stressante di un esame all’università.
Ero comunque abbastanza motivato e determinato per farmi almeno ascoltare.
Imparai ben presto la strategia del predatore: dieci inseguimenti a vuoto per catturare un coniglio.
Imparai anche a non avere più orari: dopo le mie otto ore in ufficio tornavo a casa e iniziavo a scrivere, a tenere contatti con gli editori e a proporre progetti.

Nel 1984 iniziai a pubblicare sulla “Rivista della montagna”, a cui seguirono altre testate, con le quali collaborai occasionalmente fino a tempi recenti.
L’anno successivo uscirono i miei primi due libri:Macrofotografia, pubblicato dalla casa editrice Hoepli di Milano, e Gli audiovisivi in biblioteca, testo che mi consacrò nel gotha degli autori di biblioteconomia.
Sia per conto della mia amministrazione, sia su incarico di altri enti e agenzie formative, iniziai a tenere corsi sull’argomento, oltre che sulla conservazione dei materiali fotografici e su altri temi più strettamente biblioteconomici.

Nell’àmbito del mio lavoro, realizzavo immagini di esterni e interni di biblioteche, da pubblicare sui pieghevoli informativi e – più tardi – sul sito Internet delle biblioteche civiche torinesi.
Ma soprattutto mi specializzai nella riproduzione fotografica di testi antichi, manoscritti, lettere e stampe, attività che svolgevo non solo per esigenze interne, ma anche per soddisfare le richieste provenienti da università, istituti di ricerca o semplici privati, tanto in Italia quanto all’estero.
In questo àmbito, organizzai anche un servizio di microfilmatura e digitalizzazione di tutti i fondi antichi e rari posseduti dalle Biblioteche civiche torinesi.
Anche questa divenne presto materia di insegnamento per gli operatori culturali che ero chiamato a formare.

Nel 1987 uscì La riproduzione fotografica di documenti (editore Zanichelli di Bologna), a tutt’oggi l’unico libro esistente sull’argomento, purtroppo ormai datato, perché pubblicato ai tempi della pellicola.
Da quel momento la produzione di libri divenne quasi continua, fino al 2016.

Già da diversi anni collaboravo anche con il Parco Nazionale del Gran Paradiso, sia realizzando audiovisivi di divulgazione naturalistica, sia organizzando workshop e incontri di fotografia in montagna.
Dal 1986, e per una decina d’anni, tenni anche corsi di fotografia presso la Scuola di Giornalismo.

Dopo un esperimento, di breve durata, come direttore di una rivista telematica di fotografia redatta a Torino, nel 1998 iniziai a collaborare con “Nadir”, fondata e diretta dall’architetto e fotografo Rino Giardiello, che lo stesso anno aveva vinto il premio indetto dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” per il miglior sito italiano di arte e cultura.
I numerosi articoli pubblicati su “Nadir” mi resero noto al pubblico dei fotoamatori molto più di quanto non avessero fatto i libri pubblicati fino a quel momento.
Su “Nadir” iniziai a tenere una rubrica fissa destinata alla fotografia in grande formato con apparecchi a corpi mobili.
Contestualmente, organizzavo workshop e corsi di specializzazione sull’argomento, convertendo al grande formato numerosi fotoamatori, affascinati dalle incredibili possibilità creative del mezzo.

Agli inizi del nuovo millennio ebbi un nuovo avanzamento di carriera.
Intanto continuava la mia attività di conferenziere e insegnante, che le amministrazioni e gli enti di formazione per cui lavoravo ricompensavano dietro presentazione di parcella per attività occasionale, dato che ero ancora un lavoratore dipendente.
Ma poiché quell’attività stava diventando ben più che occasionale, fui invitato ad aprire una partita IVA, per rendere più agevoli i rapporti contrattuali con i soggetti che mi assegnavano incarichi di docenza.
Cosa che feci nel 2002 e che mi rese ufficialmente professionista.

Pochi anni dopo, la gigantesca struttura carceraria chiamata “Le Nuove”, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, fu presa in carico dalla Città di Torino, che iniziò un lungo e complesso lavoro di ristrutturazione, per destinare le ex aree carcerarie a nuove funzioni: uffici comunali, uffici giudiziari, un museo.
Io fui incaricato, in esclusiva, di seguire e documentare fotograficamente l’andamento dei lavori: un immenso cantiere (il più importante della città in quel periodo) che durò molti anni e durante il quale scattai migliaia di fotografie, oggi conservate presso gli archivi del Settore comunale competente.

Nel 2012 lasciai il Comune di Torino, per dedicarmi interamente alla fotografia.

Dal 2013 sono uno dei primi (e dei pochi) professionisti certificati IMQ, l’Istituto italiano del Marchio di Qualità, sapete, quel bollino verde che trovate anche su lavatrici e ferri da stiro.
Nello stesso anno mi fu assegnato il premio Green Ribbon per il mio impegno a favore dell'ambiente e del territorio.

A parte la realizzazione di servizi fotografici, fortemente ridotta dopo lo scoppio della pandemia nel 2020 e i conseguenti lock-down, la mia attività principale rimane oggi quella di formatore: workshop, corsi individuali e collettivi, tanto organizzati in proprio quanto tenuti per conto di enti pubblici o agenzie di formazione; lezioni e conferenze presso amministrazioni, associazioni, circoli.

Oltre a questo sito Internet, ho creato un gruppo di discussione Facebook e un canale YouTube, nel quale ho pubblicato, a oggi, più di cento video e tutorial su diversi argomenti, con lo scopo di divulgare e diffondere la cultura della fotografia.
Cose che non sarei riuscito a fare senza il supporto costante e competente del mio web developer, esperto di comunicazione web, oltre che valente fotografo.
A dimostrazione del fatto che il successo personale dipende anche (e in larga misura) dai collaboratori che scegliamo di avere accanto.

Ci ho messo parecchio, ma sono riuscito a trasformare il mio sogno in progetto: quello di fare della fotografia la mia attività principale, ma anche quello di acquisire un ruolo non secondario nel mondo dell’immagine.

A che cosa devo tutto questo?
Sicuramente alla mia ambizione, alla mia innata curiosità e a una buona dose di faccia tosta, ma soprattutto a uno studio incessante e a una preparazione solida, che fin dall’inizio mi hanno permesso di propormi ai miei interlocutori come professionista serio e competente.
Senza quello, e senza un profondo rispetto nei confronti del mio lavoro e delle persone con cui avevo a che fare, non sarei arrivato a questo punto.

Ma non ho finito qui, e ancora mi sto chiedendo che cosa farò da grande.
Io amo viaggiare: quando viaggio con la famiglia produco centinaia di immagini che poi cedo alle agenzie di stock.
Per cui smetterei volentieri di insegnare se fossi pagato per scattare fotografie in giro per il mondo.
Se qualche tour operator o qualche redattore di rivista di viaggi legge queste righe, io sono qui.

Alla prossima.