Michele Vacchiano Cultural Photography

L'articolo del mese

MAGGIO 2018

Perché non dobbiamo consegnare il RAW al cliente

Talvolta il fotografo (specialmente se lavora per riviste o agenzie, ma anche per clienti privati) si sente chiedere il file RAW, “così ci penseranno i nostri grafici a trattarlo in modo da ottenere la stampa migliore”.

A questo proposito le opinioni dei professionisti sono discordi.

La maggior parte di essi vi direbbe di non farlo, anzi, di evitarlo come la peste.
Se vi chiedono di consegnare un RAW – essi dicono – rifiutate energicamente; se non basta, negate di averlo mai posseduto, oppure dite che la vostra ex moglie lo ha cancellato per vendetta; se non avete una ex moglie, date la colpa al gatto, che zampettando sulla tastiera del vostro PC ha cancellato l’intero archivio.
Insomma, consegnare un RAW sarebbe come dare le chiavi di casa a Jack lo Squartatore.

Al contrario, c’è chi non trova nulla di male nel consegnare il RAW, smettiamola con questa paura che ci rubino le foto, anche perché l’originale continueremo comunque a conservarlo noi; apriamo la mente all’idea della condivisione e smettiamo di essere conservatori (ed esageratamente conservativi).

Questo secondo punto di vista è fondato su buone ragioni, ma – anche se in parte lo condivido – io continuo a rifiutare di consegnare i file RAW, non tanto perché ho paura che qualcuno mi “rubi” la foto e la faccia passare per sua, quanto per una serie di motivazioni che vorrei esporre qui di seguito.

Prima di tutto, il lavoro del fotografo è – appunto – un lavoro.
Questo significa che la creazione di un’immagine è un procedimento complesso, che va da un’idea a un prodotto finito, e questo prodotto finito è l’immagine così come noi l’abbiamo elaborata, facendola coincidere con l’immagine mentale che ci eravamo fatti del soggetto al momento della ripresa.
Lo stile di un fotografo consiste proprio in questa capacità di trasformare un prodotto ancora grezzo in un’opera dell’ingegno.
Inoltre, i grafici che lavorano per le case editrici, le agenzie pubblicitarie o le riviste, per quanto bravi siano, non possono sapere che cosa avevamo in mente al momento della ripresa, né quali aspetti del file “grezzo” volevamo mettere in risalto oppure minimizzare: come ho sempre detto, il sensore registra tutte le informazioni, ed è la postproduzione che ci permette di evidenziare quelle che sono per noi più importanti.
Quando a scuola c’era compito in classe e dovevamo tradurre Platone, oppure sviluppare un tema sui Promessi Sposi, non consegnavamo la “brutta” tutta pasticciata e piena di correzioni, ma la versione definitiva, la “bella”, che richiedeva tempo per la copiatura ma che rappresentava il nostro lavoro finale, frutto di una lunga opera di revisione e di cesello.

Inoltre, il file RAW contiene spesso degli errori.
Se abbiamo lavorato a mano libera, è probabile che la fotografia “penda” un poco a destra o a sinistra; se abbiamo fotografato un edificio, è possibile che le linee verticali non appaiano perfettamente in bolla; se in ripresa abbiamo applicato la tecnica ETTR, per migliorare la risposta nelle ombre e ridurre il rumore elettronico (cosa che personalmente faccio sempre) il RAW apparirà sovraesposto.
Inoltre, potremmo avere commesso degli errori nell’impostazione del bilanciamento del bianco, o potrebbero esserci delle macchioline dovute a polvere sul sensore.
Tutti difetti che possiamo tranquillamente correggere in postproduzione e che ovviamente non vogliamo mostrare al cliente.

La fotografia 1, ad esempio, contiene un errore di bilanciamento del bianco.
Mi trovavo nello Utah, tra Arch View e Moab.
Camminando nel deserto con la Phase One a tracolla, avevo inavvertitamente toccato qualche pulsante del dorso digitale, impostando la temperatura cromatica su “tungsteno”.
Ovviamente la fotografia, scattata in luce diurna, è risultata fortemente virata verso il blu.
Ma è stato sufficiente, in postproduzione, impostare la temperatura di colore su “luce diurna” per rimediare all’errore (foto 2).
La foto 3 è stata scattata a Novara (Piemonte), nel chiostro della cattedrale.
Non c’era abbastanza spazio per riprendere il campanile mantenendo la macchina in bolla, per cui sono stato costretto a inclinare la macchina verso l’alto, ottenendo l’inevitabile convergenza delle linee verticali.
Entro certi limiti, le verticali convergenti possono essere tranquillamente corrette in fase di trattamento, senza con questo deteriorare in modo sensibile il file: cosa che ho fatto (foto 4), trasformando una fotografia sbagliata in una fotografia perfettamente vendibile (e di fatto venduta, così come la precedente).

Insomma, qualunque prodotto consegniamo al cliente, vogliamo che rappresenti al meglio il nostro stile e la nostra capacità professionale.
Lui deve vedere le soluzioni che gli abbiamo proposto (e per le quali ha pagato), non ficcare il naso nel nostro know-how e nelle nostre procedure operative.

Alla prossima.

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