Michele Vacchiano Cultural Photography

Reflex e nitidezza

Come ottenere la massima qualità dalle nostre apparecchiature (anche economiche)


La lamentela più frequente tra gli allievi dei corsi di fotografia riguarda la presunta scarsa qualità dei loro obiettivi.
Quasi tutti sono equipaggiati con il classico zoom 18-55 millimetri fornito in dotazione con la reflex e si rendono perfettamente conto dei limiti insiti in un mezzo sicuramente versatile ma al tempo stesso così economico.

“Va bene” rispondo, “tu dici che il tuo obiettivo è scadente, ma fammi vedere come lo adoperi”.
Apposta, dato che so bene dove voglio arrivare, faccio questa richiesta quando ci troviamo sotto un portico, o all’interno di un ombroso parco pubblico (lo so, a volte sono un po’ carogna come insegnante, ma lo faccio a scopo didattico).
Obbedendo all’invito il giovane allievo punta l’obiettivo verso un soggetto qualunque, inquadra e scatta.

A questo punto gli chiedo di consultare i parametri di esposizione utilizzati.
Poiché di solito invito a lavorare a priorità dei diaframmi, per tenere sotto controllo la profondità di campo, rimane da verificare il tempo di otturazione.
Si scopre in questo modo che con il sensore tarato alla sensibilità nativa (100 ISO nella gran parte dei casi) e un diaframma intermedio (situazione nella quale l’obiettivo lavora al meglio) i tempi di otturazione vanno dal ventesimo al cinquantesimo di secondo quando il soggetto è in ombra.
Un tempo troppo lento per garantire sufficiente nitidezza a mano libera!

Esiste una bufala ripetuta acriticamente da manuali di fotografia e da siti Internet che si copiano l’un l’altro senza mai verificare sul campo quello che scrivono: per evitare il mosso a mano libera impostate un tempo di otturazione approssimativamente pari al reciproco della lunghezza focale dell’obiettivo: un trentesimo di secondo con un 28 millimetri, un sessantesimo con un 50 millimetri, un duecentesimo con un 200 millimetri e così via.
Ma un accorgimento del genere evita che il mosso sia percepibile soltanto quando dal file si ricavano stampe “formato cartolina”, o immagini digitali di ridotte dimensioni da pubblicare su Facebook.
Qualunque ulteriore ingrandimento renderà evidente una proporzionale perdita di nitidezza dovuta proprio al mosso, o meglio a quel “micromosso” derivante principalmente (anche se non solo, come vedremo) dall’uso a mano libera.

Ma gli obiettivi stabilizzati non aiutano?
Certo che aiutano, ma un conto è “aiutare”, un altro è fare miracoli! Un trentesimo di secondo con lo zoom impostato alla massima focale è un rischio che personalmente non mi sento di correre nemmeno con l’obiettivo stabilizzato.

Quindi che fare?

Aumentare il valore ISO può rivelarsi (quasi) inutile: nonostante le eccellenti prestazioni dei sensori attuali e la loro ridotta percentuale di rumore elettronico, quella nitidezza che volevamo guadagnare grazie al rapido tempo di otturazione consentito dall’aumentata sensibilità rischia di essere vanificata proprio dall’incremento del rumore elettronico, tanto più evidente (ancora una volta) quanto più si ingrandisce il file.

Non resta quindi altra soluzione che garantirsi – quanto più spesso possibile – un appoggio stabile.
Il cavalletto è la soluzione ideale a patto che sia davvero stabile, il che significa, purtroppo, più pesante della macchina che è chiamato a sostenere. Non posso farci nulla, è una questione di baricentro.
Lo zaino posato in terra, la giacca a vento ripiegata, un muretto, una colonna, il tronco di un albero o la biforcazione tra due rami sono tutte alternative possibili, da valutare con attenzione in base alle circostanze e alla singola situazione di ripresa. La cinghia della fotocamera, avvolta intorno a un palo o a un ramo e tirata con forza, può aiutare a mantenere l’apparecchio ben fissato al suo temporaneo supporto.

All’interno dei luoghi di culto, gli stipiti in marmo delle porte di ingresso, ma anche il tavolino dove spesso vengono esposte le pubblicazioni parrocchiali al fondo della chiesa costituiscono ottimi punti di appoggio.
Quando si appoggia il fondello della fotocamera contro un supporto verticale (pilastro o colonna) una mano servirà a sostenere l’apparecchio e ad agire sul pulsante di scatto, mentre l’altra verrà utilizzata per spingere con forza sulla calotta del pentaprisma: la pressione esercitata aiuterà a mantenere salda la posizione e ad evitare piccoli scivolamenti durante i lunghi secondi necessari allo scatto.

Lo specchio reflex, sollevandosi, provoca a sua volta vibrazioni che possono indurre perdite di nitidezza. Per questo quasi tutte le reflex hanno la possibilità di sollevare lo specchio prima dello scatto. Di solito è necessaria una doppia pressione sul pulsante di scatto: il primo clic solleva lo specchio, le cui vibrazioni si esauriscono nel giro di poche frazioni di secondo; il successivo clic fa scattare l’otturatore: terminata l’esposizione l’otturatore si chiude e lo specchio ritorna in posizione di riposo.
E’ ovvio che dopo avere sollevato lo specchio il fotografo non potrà più vedere che cosa sta inquadrando l’obiettivo, per cui il sollevamento preventivo dello specchio ha senso solo quando si lavora su cavalletto (anche se confesso di averlo spesso utilizzato anche a mano libera).

E’ inutile sollevare preventivamente lo specchio quando poi si preme sul pulsante di scatto con la forza necessaria a uccidere uno scarafaggio: per evitare vibrazioni dovute a un dito “nervoso” sono stati inventati gli scatti flessibili. Un tempo meccanici e universali (tutte le macchine, dal banco ottico da studio alla compatta tascabile, avevano la stessa filettatura e potevano utilizzare qualunque flessibile), gli scatti a distanza sono oggi elettronici e dedicati: chi possiede più macchine di marca diversa deve acquistare altrettanti flessibili. Una rogna (oltre che una spesa).
In alternativa è possibile usare l’autoscatto, impostando (se la macchina lo consente) un ritardo di due secondi in luogo dei canonici dieci secondi necessari quando ci si vuole fotografare d soli. Purtroppo in alcuni modelli non è possibile abbinare l’autoscatto al sollevamento preventivo dello specchio: non riesco a definire questa manchevolezza se non come una inspiegabile cretinata.

Quando il soggetto è vicino e la luminosità ambientale non è eccessiva, l’uso del flash (anche in luce diurna) può diventare un potente alleato della nitidezza: la sua rapidissima emissione di luce è in grado di fermare le ali di un insetto in volo e di rendere ininfluente persino il micromosso causato dal sollevamento dello specchio reflex.

Con la macchina sul cavalletto, lo specchio sollevato e lo scatto flessibile il mio giovane allievo prova a ripetere lo scatto. Confrontando le due fotografie sullo schermo del portatile scopre che il suo 18-55 non è poi così scadente, anzi, è proprio un gran bell’obiettivo, capace di generare immagini nitide e incise come non ne aveva mai ottenute.
Provare per credere.

© Michele Vacchiano, giugno 2012

Gallery

Inaugurazione della Biblioteca  Musicale    Inaugurazione della Biblioteca  Musicale

Torino, 21 giugno 2012. Inaugurazione della Biblioteca Musicale, ritornata nella sede storica (la Villa Tesoriera) dopo un lungo restauro. Sono le nove di sera, ma nonostante la stagione la luce è scarsa a causa di una spessa copertura nuvolosa. Scatto a mano libera cercando di mantenere ferma la reflex (una pesante medioformato equipaggiata con dorso digitale). Sviluppato il RAW, mi accorgo che alle dimensioni alle quali verrà pubblicata la fotografia è accettabilmente nitida: basterà una leggera maschera di contrasto per migliorarne la godibilità. Ma un crop al 100% della zona centrale mostra impietosamente gli effetti del micromosso dovuto al tempo di otturazione (un ventesimo di secondo).
Phase One 645DF con obiettivo Schneider 80mm f/2,8. 1/20sec con f/8 a 200 ISO.

All'interno della villa    All'interno della villa

All'interno della villa, uno degli stucchi allegorici che – insieme ai sontuosi affreschi – costituiscono la decorazione delle sale. La fotografia è stata scattata con una medioformato digitale: macchina sul cavalletto, specchio sollevato, scatto flessibile elettronico. Il crop al 100% non mostra alcuna perdita di nitidezza. Il cavalletto permette di utilizzare il sensore alla sua risoluzione nativa (50 ISO in questo caso), ottimizzando il rapporto segnale/rumore.
Phase One 645DF con obiettivo Carl Zeiss Sonnar CF 180mm f/4. 4 secondi con f/11 a 50 ISO.

All'interno del parco

All’interno del parco, in ombra, il tempo di otturazione è troppo lento per garantire l’assenza di micromosso. Anche in questo caso, cavalletto raccomandato!
Canon Eos-1 DS Mark II con obiettivo Carl Zeiss Distagon 18mm f/3,5. 1/30 di secondo con f/11 a 100 ISO.

All'interno del parco

In cantiere. Fotografando in interni con la macchina sul cavalletto i tempi di otturazione sono abbastanza lunghi da impedire l’identificazione delle eventuali persone che si muovono all’interno della scena. Questo permette di aggirare la normativa sulla pubblicabilità dei ritratti, che impone la liberatoria scritta: quando il soggetto è un “fantasma” (così si chiamano in gergo tecnico queste figure) la liberatoria non è necessaria.
Canon Eos-5D con obiettivo Canon EF 24-105mm f/4L IS USM. 1/8 di secondo con f/8 a 100 ISO.