Michele Vacchiano Cultural Photography

Alta Provenza: appunti di viaggio

Fotografia dell'Alta Provenza

Le Alpes de Haute Provence (Aups d'Auto Prouvenço in occitano) è un dipartimento della regione Provence - Alpes - Côte d'Azur. Terra di montagne a due passi dal mare, di sole mediterraneo anche ad alte quote, di vecchi senza età che degustano il loro pastis seduti all'ombra di un pergolato d'uva; di città fiere delle loro antiche origini, delle loro chiese gotiche, dei loro mercati profumati e variopinti...

Terra di storia, di guerre e di contrasti, dove la parlata occitana, dopo secoli di oppresione culturale da parte della "langue d'oïl", viene oggi riscoperta e studiata. Come sempre, la montagna si rivela non un confine ma una terra di scambi e di unità culturale, e così la "langue d'oc", la parlata dei trovatori medioevali, si ritrova qui quasi identica a quella che ancora appare viva e vitale nelle valli meridionali del Piemonte alpino.

Qui soffia il Mistral, il vento di nord-ovest così importante per il clima della regione da essere scelto come nome d'arte dal più importante poeta provenzale, quel Frédéric (Federi) Mistral che riportò l'occitano alla dignità di lingua letteraria meritando il Nobel nel 1904.

Questa è la cronaca di un viaggio fotografico nelle Alpi dell’Alta Provenza, dove, tra le altre cose, si discute sulla compatibilità tra esigenze della fotografia (nel mio caso, professionali) ed esigenze della famiglia. Una dissertazione edificante ed istruttiva per chiunque voglia unire l’utile al dilettevole e portare moglie e figli con sé.

La differenza non è di poco conto. Viaggiando da soli e avendo il giusto tempo a disposizione si possono valutare con calma le condizioni della location ed eventualmente decidere di attendere alcune ore, o ritornare sul posto in un secondo momento qualora le condizioni di luce non fossero favorevoli.

Viaggiando con la famiglia questo è ovviamente impossibile. La situazione, di fatto, è più simile a quella del fotografo incaricato di fornire immagini per un pieghevole di promozione turistica che deve andare in stampa l’indomani (situazione sempre più frequente al punto di essere divenuta la norma): avendo a disposizione giusto il tempo necessario per andare, scattare e spedire via web le foto all’art director bisogna imparare a portare a casa un risultato vendibile con qualunque condizione di luce, anche se sta piovendo.

Nel mio caso, poi, è stato necessario fare i conti con un bambino di otto anni che durante i lunghi viaggi si annoia (il che è più che comprensibile per la sua età) e con una compagna di vita che parte per ogni viaggio in Francia avendo ben saldi i seguenti presupposti:
1. Il concetto di pulizia dei francesi è quanto di più lontano possa esistere da un normale e ragionevole concetto di pulizia;
2. Il cibo francese è immangiabile, e piuttosto che ingurgitare lumache o insalate condite con quelle orrende salse è preferibile digiunare. Inutile, del resto, cercare chi sia in grado di cucinare una pasta o una pizza accettabili: la prima è sempre scotta e la seconda non è nemmeno paragonabile a quelle surgelate del supermercato;
3. Non ha nessun senso trascorrere ore ed ore in macchina per andare a vedere dei posti che non siano paesini caratteristici dove fare almeno un po’ di shopping.

Fotografia dell'Alta Provenza Il primo problema è stato risolto grazie a un lettore di DVD portatile e a una scorta di film adeguati all’età del cucciolo. Il secondo ha richiesto un’abilità diplomatica che soltanto chi vive con la stessa persona da almeno dieci anni è in grado di capire e apprezzare.

Ciò detto, trattandosi di un viaggio fotografico, è necessario spendere due parole sulla scelta dell’attrezzatura. Come corpo macchina ho scelto la Canon Eos-1 Ds Mark II piuttosto che la 5D, più leggera e “user-friendly” ma meno performante in termini di dimensione di immagine. Sono invece stato a lungo indeciso se portare un solo obiettivo zoom (la scelta sarebbe caduta sul Canon 24-105 stabilizzato) o le focali fisse. Ovviamente lo zoom si sarebbe rivelato molto più comodo, ma dato che in Provenza non vado spesso e non so quando potrò ritornarci, ho preferito privilegiare la qualità, optando per tre focali fisse, tutte rigorosamente Zeiss: un 18 millimetri per le riprese supergrandangolari all’interno dei villaggi tipici, un 35 millimetri per le riprese generiche, un 85 millimetri per i paesaggi e le panoramiche destinate allo stitching.

Come sistemazione alberghiera avevo già da tempo prenotato un appartamento in residence dotato di cucina. Almeno la sera avremmo potuto cucinare cibi adeguati ai gusti della famiglia.

24 giugno

Giovedì ventiquattro giugno, giorno di san Giovanni. A Torino festa patronale, per cui non si lavora. Domani è venerdì: con un solo giorno di ferie si godono quattro giorni di vacanza.

Si parte, con tutta calma, alle dieci del mattino. Autostrada A32 Torino-Bardonecchia fino a Oulx. Oulx è in Italia, fisicamente, ma da Susa in poi la lingua e la cultura sono francoprovenzali a nord e occitani (cioè provenzali) a sud. Nel senso che tra le montagne del Piemonte meridionale si parla quella antica lingua dei “troubadours” che nella stessa Francia è stata quasi dimenticata (e solo recentemente recuperata, con fatica e tra mille opposizioni nazionalistiche). Del resto, ad ovest delle Chiuse di San Michele (a pochi chilometri da Torino) si diparte quel “sentiero dei Franchi” che i guerrieri di Carlo Magno percorsero per portar guerra ai Longobardi (come racconta anche il Manzoni nell’Adelchi), e nel corso della storia questi territori (come del resto tutte le Alpi occidentali) sono sempre stati di lingua e cultura francofona.

Fotografia dell'Alta Provenza

Briançon. Particolare di porta medioevale.

Passata la frontiera a Clavière e il Colle del Monginevro/Montgenèvre, ci dirigiamo verso Briançon per una prima breve tappa. Briançon fu il capoluogo della medioevale Repubblica degli Escartons, che comprendeva cinque cantoni: il cantone di Briançon (da Argentière a Saint-Gervais-les-Bains),il cantone di Château-Queyras (da Guillestre al Colle delle Traversette), il cantone di Oulx (da Cesana al torrente Gelassa, compresa Bardonecchia), il cantone di Pragelato (da Sestrière ai bordi di Perosa Argentina), il cantone di Casteldelfino fino a Sampeyre. Gli ultimi tre cantoni sono oggi in territorio italiano (i primi due in provincia di Torino, il terzo in provincia di Cuneo). La Repubblica nacque ufficialmente nel 1343 con la Grande Charte, e fu cancellata ai primi del Settecento dal trattato di Utrecht, dopo quattro secoli di vita intensa e fiorente. La cultura degli Escartons fu un caso unico in Europa: contrariamente al luogo comune che dipinge i montanari come rozzi bifolchi ignoranti, la repubblica era ricca e attiva, luogo di scambi culturali e commerciali continui attraverso i passi alpini (che nelle Alpi occidentali si chiamano colli); il novanta per cento della popolazione sapeva leggere, scrivere e far di conto. Il mestiere più diffuso era quello dell’insegnante, suddiviso in tre livelli: dal più semplice (insegnare a leggere e scrivere) al più elevato (filosofia, arte e lingue).

Briançon è oggi una cittadina turistica, rinomata non solo come stazione climatica (la città, nonostante l’altitudine di 1300 metri, è una delle più assolate di Francia) ma anche – e forse più – come stazione sciistica durante l’inverno.

Il centro storico, ricco di botteghe e ristoranti, è una città fortificata denominata Cité Vauban. Di origini medioevali, è stata fortificata piuttosto di recente dall’architetto militare Sébastien Le Prestre de Vauban (1633-1707). Costruita su un dislivello notevole, è circondata da una cinta muraria dominata dal Fort du Château. L’ingresso alla città è assicurato dalla Porte de Pignerol, dalla Porte Dauphine edalla Porte D'Embrun.

Le strade sono strette, le case sono alte e vicine le une alle altre per ottimizzare gli spazi. Recenti ristrutturazioni hanno restituito alle facciate i colori vivaci che avevano in origine. Frequenti le meridiane affrescate sui muri sivolti verso il sole. Le due strette strade che percorrono la città dall’alto verso il basso sono percorse da due stretti canali centrali, la Grande Gargouille et la Petite Gargouille, che scorrono veloci sfruttando il forte dislivello: un’eredità del medioevo, quando questi canali aiutavano a contrastare i numerosi incendi che affliggevano le abitazioni dell’epoca. Per questo i brianzonesi sono anche soprannominati Gargouillards.

Fotografia dell'Alta Provenza    Fotografia dell'Alta Provenza

A sinistra, la scultura in acciaio "Sur les talons" dello scultore Gary (Pino Dimonte) in Place d'Armes.
A destra, rue du Commandant Carlhan solcata in centro dalla "Petite Gargouille".
Sullo sfondo, un campanile della Collégiale Notre Dame.

Fotografia dell'Alta Provenza

Briançon. Le fortificazioni del Vauban che proteggono la città vecchia.

Da Briançon scendiamo verso la valle della Durance, che non lasceremo fino alla fine del viaggio. La Durance nasce a più di 2300 metri dal Mont Chenaillet (un antico vulcano sottomarino emerso durante la formazione della catena alpina) e percorre 320 chilometri prima di gettarsi nel Rodano a sud di Avignon.

Dopo circa 56 chilometri nella regione del Briançonnais, lungo la Route Nationale 94 in direzione di Gap, incontriamo illago di Serre-Ponçon. E’ un lago artificiale creato da una diga eretta lungo il fiume Durance, a valle della sua confluenza con l'Ubaye. Con i suoi 1,2 miliardi di metri cubi d’acqua e una superficie superiore ai 28 chilometri quadrati è la seconda riserva d'acqua artificiale in Europa. Il lago è davvero bello, circondato da villaggi, cittadine, monumenti storici come la chiesa di Saint Michel (XII secolo, poi distrutta e riedificata nel XVII, oggi su un’isoletta al centro del lago) e curiosità geologiche come le “Demoiselles coiffées” (conformazioni rocciose a forma di fungo dovute alla particolare friabilità del terreno). La creazione del lago implicò, tra gli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo, l’evacuazione di interi villaggi, ricostruiti poi, come Savines-le-Lac, al di sopra del livello dell’acqua. Un ponte lungo 924 metri, il Pont Savines, realizzato nel 1960, permette alla RN 94 di attraversare il lago in direzione Gap-Sisteron.

A Sisteron, 240 chilometri da Torino, imbocchiamo finalmente un’autostrada: la A 51 che unisce le Alpi al mare, in pratica Grenoble a Marsiglia lungo la valle della Durance.

Dopo 68 chilometri di autostrada arriviamo a Saint-Paul-lès-Durance. Saint-Paul è un piccolo centro che pochi conoscerebbero (anche in Francia) se nel suo territorio non sorgesse il sito di Cadarache, un centro di ricerche nucleari creato nel lontano1959 dal Commissariat à l'Energie Atomique. Con una estensione di più di 1600 ettari, interamente confinati entro una doppia recinzione elettrificata e filo spinato, è il più grande sito del Commissariat. Ufficialmente le ricerche interessano aspetti relativi ai reattori nucleari e al trattamento delle scorie radioattive. La presenza di un sito del genere nei pressi di un centro abitato potrebbe sembrare strana, soprattutto a noi italiani, ma non dimentichiamo che i francesi hanno più di 50 centrali nucleari funzionanti sul loro territorio, che l’energia nucleare soddisfa più del 75 per cento della richiesta di energia elettrica nel paese (un caso unico al mondo), e che parte di questa energia viene esportata (anche in Italia). Il fatto che esistano dei centri di ricerca sull’argomento non soltanto è logico, ma è anche auspicabile! Oltre a questo, non dimentichiamo che la Francia è una potenza nucleare. Insomma, se persino “Carlà” ha sposato “Sarkò” anche perché padrone della bomba atomica (almeno se si vuole dar retta alle dichiarazioni della di lei mamma) un motivo ci sarà, no? Scherzi a parte, in un paese dove l’energia nucleare è così diffusa deve esistere un sistema di monitoraggio continuo mirante a garantire la sicurezza della popolazione. In effetti, L’Institut de radioprotection et de sûreté nucléaire (IRSN) provvede al controllo costante dell’eventuale presenza di radionuclidi nell’ambiente e nei prodotti alimentari.

Come molti piccoli centri in Francia, Saint-Paul-lès-Durance è ordinato e tranquillo, con il suo municipio, la scuola, l’immancabile parco giochi per i bambini, la biblioteca, la ludoteca e un traffico rigidamente regolamentato, soprattutto per la protezione dei più piccoli. Il cartello “Attention: enfants en liberté” è comunemente diffuso all’ingresso di ogni più piccolo villaggio di Francia.

Un’altra caratteristica della regione è la sensibile rarefazione di centri abitati nel territorio. Chi vive in Italia, specialmente nell’Italia del nord, è abituato alla presenza quasi costante di abitazioni, anche a quote elevate. Tra un villaggio e l’altro spesso non c’è soluzione di continuità e non è possibile attraversare un tratto di campagna (o una strada di montagna) senza incontrare almeno una casa. La “città infinita” che si estende intorno a Milano ma anche lungo la Pedemontana tra Milano e Brscia è un esempio estremo (e aberrante) di questa urbanizzazione; ma anche in Piemonte o in Emilia-Romagna non è difficile percepire un’analoga sensazione.

In Provenza (e più generale in Francia) non è così. Tra un villaggio e l’altro, tra una cittadina e l’altra (se si escludono le fasce costiere) si estendono la campagna, o il bosco, o la brughiera; chilometri di “deserto” in cui la presenza umana non sembra essere immediatamente percepibile. Eppure ci sono ulivi, vigne sterminate, campi di grano a perdita d’occhio, appezzamenti coltivati a lavanda che sembrano interminabili sotto il sole del mezzogiorno. Ci si chiede chi li coltivi, chi mieta e trebbi quel grano, chi raccolga e vendemmi quell’uva, e quanta strada debba fare per recarsi dal più vicino villaggio ai suoi possedimenti agresti.

Mancano, poi, le grandi città così come noi le intendiamo. Se si escludono pochi centri davvero importanti, oltre all’area fortemente urbanizzata intorno a Parigi, tutti gli altri agglomerati urbani sono da considerarsi medi o medio-piccoli (soltanto cinque aree metropolitane superano il milione di abitanti), nonostante il fatto che – con i suoi 61 milioni di abitanti – la Francia sia il terzo paese più popolato d’Europa dopo la Russia e la Germania. Ma in ciascuno di questi centri – o nelle immediate vicinanze – sono presenti quei sussidi che consentono di non rimpiangere la grande città: ospedali, scuole, biblioteche… Una serie di servizi che – uniti a una politica di forte sostegno alla famiglia – fanno della Francia il paese al mondo con la più alta qualità della vita, almeno secondo la rivista “Living International”.

Il residence dove alloggiamo è ubicato in una zona piuttosto isolata a sud di Saint-Paul, più o meno a metà tra il centro abitato e Cadarache. L’area è in fase di forte ristrutturazione, circondata da cantieri, officine e scavi a cielo aperto. Sembrerebbe una periferia in costruzione. Per fortuna, alle spalle del residence, un folto bosco di conifere ci ricorda che siamo in Provenza e che la natura selvaggia è lì a due passi.

Ci chiediamo che cosa ci faccia un residence di dimensioni medio-grandi in un posto isolato come quello, e soprattutto come faccia a procacciarsi i clienti, ma la presenza delle auto parcheggiate, con targhe della Repubblica Ceca, della Slovacchia, della Polonia, ci chiariscono le idee: evidentemente il residence viene usato, oltre che dai turisti, dai rappresentanti di quei governi (forse ingegneri nucleari) inviati a lavorare o a studiare nel vicino centro di Cadarache.

La costruzione è nuovissima e gli appartamenti confortevoli, con mobili semplici e razionali. Secondo gli standard della mia compagna di vita il servizio di pulizia lascia a desiderare. In effetti l’appartamento appare pulito in fretta, evidentemente da una ditta abituata a lavorare per grandi numeri e non con la meticolosa accuratezza che una donna di casa (italiana) si sente in diritto di pretendere.

Il televisore in camera riceve dodici stazioni, di cui una portoghese, una tedesca e dieci francesi. Nessuna italiana, con notevole contrarietà della famiglia la quale – ad eccezione del sottoscritto – non conosce la lingua. Per fortuna la solita attenzione nazionale per i più piccoli fornisce un buon numero di canali di cartoni animati, apprezzati da Federico nonostante che l’audio gli sia incomprensibile.

Dopo avere sistemato l’appartamento e vuotato le valigie decidiamo di recarci fino a Manosque, il centro più vicino dove poter trovare un supermercato. In realtà tra Saint-Paul e Manosque ci sono circa 25 chilometri, se si decide di percorrere l’itinerario panoramico, oppure 21 chilometri per autostrada. Abbiamo tempo e decidiamo per la prima soluzione. Al supermercato acquistiamo posate, bicchieri e piatti di plastica, più una tovaglia di carta a metraggio: con buona pace per l’ecologia e la proliferazione dei rifiuti, ma non abbiamo voglia di lavare tutti i piatti, i bicchieri e le posate del residence.

Fotografia dell'Alta Provenza

Manosque. Piazza nel centro storico.

Ovviamente ne approfittiamo per dare un’occhiata al centro storico. Manosque (poco più di ventimila abitanti), città natale del romanziere Jean Giono, è un centro commerciale di età romana, distrutto dai saraceni nel 960 e ricostruito nel medioevo. La città vecchia, a forma di pera, è circondata da viali alberati che hanno sostituito gli antichi bastioni. L’aspetto è tipicamente provenzale, con strade strette e case alte, per proteggersi dal Mistral, il famoso (e spesso furioso) vento della Provenza.

Nella chiesa romanica di Notre Dame de Romigier l’altare è costituito da un antico sarcofago in marmo di Carrara e vi è venerata una piccola statua lignea della Madonna nera. Racconta la leggenda che dopo la distruzione di Manosque da parte dei saraceni e la diaspora degli abitanti, che si erano rifugiati fra le montagne, un contadino avesse deciso di dar fuoco a un cespuglio che gli impediva di dissodare un campo, presso le rovine della città. Una volta bruciata la sterpaglia, apparve un sarcofago mezzo sepolto nel terreno. I buoi aggiogati al carro del contadino si inginocchiarono, rifiutandosi di proseguire. Pensando di trovarsi davanti a qualcosa di sacro (o magari a qualcosa di diabolico), il contadino chiamò un prete, che aprì il sarcofago e vi trovò la statua lignea della Madonna nera, che evidentemente qualcuno aveva nascosto per sottrarla alla furia degli infedeli. I cittadini di Manosque, richiamati sul luogo, decisero di edificare lì una chiesa, di utilizzare il sarcofago come altare e di ricostruire la città.

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Scorcio di strada a Manosque e il monumento ligneo "Manosque città del libro".

E’ quasi buio quando torniamo al residence, dove una tranquilla cena all’italiana (dopo il pranzo a Briançon a base di Hamburger e insalata con salse “sospette”) ci prepara al riposo.

25 giugno

La colazione somministrata dal gestore del residence si può definire senza infamia ma soprattutto senza lode. I favolosi croissant morbidi e friabili, trasudanti burro puro, che costituiscono la base di qualunque colazione in qualunque albergo del paese, sono qui sostituiti da cornetti confezionati, probabilmente surgelati e riscaldati al microonde, e da saccottini al cioccolato ancor meno appetitosi. Quella che chiamano cioccolata è in realtà latte con Nesquik, mentre del caffè “espresso” non mette conto parlare. Non abbiamo tardato a capire perché nella sala non ci fosse nessuno oltre a noi!

Verso le dieci del mattino partiamo per la Vaucluse, la “Vallis clausa” cantata da innumerevoli poeti, dei quali il nostro Francesco Petrarca non fu che il capostipite.

Prima di questo viaggio ero convinto (e lo sono tuttora, a determinate condizioni) che il navigatore satellitare fosse un gadget tutto sommato inutile, se solo si è in grado di orientare e leggere una mappa. Non è una questione di soldi, dato che ormai i costi sono a dir poco popolari, ma ho sempre pensato che con una carta e una bussola si possa andare dappertutto, specialmente se si è abituati a camminare in montagna. Se poi a mappa e bussola si aggiungono le indicazioni scaricate da viamichelin.it, si può viaggiare tranquilli.

In realtà va detto che le indicazioni di viamichelin sono spesso approssimative. Ad esempio, l’indicazione “uscire dalla città” funziona solo se la città non è più grande di Ribordone Canavese: una strada vi entra, la stessa strada ne esce, se lasci la città dalla parte sbagliata torni indietro e hai perso massimo tre minuti. Ma quando la città è un centro di qualche migliaio di abitanti, l’indicazione “uscire dalla città” è troppo generica. Mi è accaduto più volte di percorrere la strada cittadina suggerita dall’itinerario di viamichelin, di trovare persino il numero di rotatorie indicato, di uscire dalla città e di non trovare l’autostrada o la route nationale che cercavo semplicemente perché avevo percorso l’itinerario nel senso sbagliato. Se viamichelin indicasse anche i punti cardinali sarebbe tutto più semplice.

Le mappe aiutano, ma solo a patto che
1. Siano sufficientemente dettagliate (e la carta al 200.000 che avevo a disposizione non sempre si è rivelata tale);
2. Chi guida sia affiancato da una persona in grado di leggere una mappa, di interpretarla nel modo corretto e di fornire le indicazioni necessarie, evitando in questo modo di doversi fermare ad ogni incrocio (cosa pericolosa e non sempre possibile) per verificare la correttezza dell’itinerario;
3. Le indicazioni stradali in loco siano precise ed esaurienti; in altre parole, che se a una rotatoria è indicata una città, questa stessa sia indicata anche alla rotatoria successiva, se no uno non sa dove andare. Durante il mio viaggio in Provenza ho potuto constatare numerose carenze in merito.
Senza il verificarsi di queste condizioni, l’idea del navigatore satellitare non appare più così superflua.

Tutto questo per dire che qualche volta ho sbagliato strada. Il che non sempre si è rivelato negativo, dato che mi ha permesso di vedere più cose e talvolta di abbandonare le grandi “routes départementales” per inoltrarmi in stradine secondarie, strette e piene di curve, è vero, ma anche tranquille, poco trafficate e deliziosamente immerse nella campagna, tra boschi di ulivi, pini e cespugli di lavanda.

Anche il viaggio tra Saint-Paul e Fontaine-de-Vaucluse è caratterizzato da qualche piacevole (anche se non voluta) deviazione, che ci permette di immergerci in paesaggi quasi deserti, dove dopo chilometri di nulla appare improvvisamente un villaggio, minuscolo ma non privo della sua scuola, della sua biblioteca, del suo giardino con scivoli e altalene, e naturalmente della sua osteria, l’unico punto vivo del paese, dove i contadini seduti sotto il pergolato d’uva fragola, la vecchia signora dietro il banco, l’odore greve di fumo e di vino che regna all’interno mi riportano agli anni della mia infanzia, quando accompagnavo il nonno in “piòla” (osteria, in piemontese) a festeggiare con un quartino di bianco la trota appena pescata.

In uno di questi villaggi (di cui non ricordo il nome) mi fermo a fare il pieno di gasolio (i distributori di carburante sembrano più rari qui che in Italia) e chiedo informazioni al gestore. Con spiccato accento provenzale mi spiega che devo seguire per Cavaillon.
“Questo lo so” rispondo, “ma dopo?”
“Cavaillon, Cavaillon, Cavaillon!” ribatte il tizio, gesticolando con la mano come a dire che la strada è lunga e devo andare sempre in quella direzione.
Ok, meno male che c’è la mappa.
Claudia e Federico ridono per mezz’ora: dall’interno dell’auto sembrava che il brav’uomo avesse detto “zabaiòn, zabaiòn, zabaiòn” e non capivano che c’entrasse lo zabaglione con la mia richiesta di un’indicazione stradale. L’aspetto divertente del non capire le lingue!

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Lungo la strada per Cavaillon, villaggi assolati e campi di lavanda.

Raggiungiamo Cavaillon per una stradina secondaria (ma è quella che mi ha indicato lui) che mi costringe a procedere ai quaranta all’ora. Da qui non ho problemi a raggiungere Isle-sur-la-Sorgue e da qui Fontaine-de-Vaucluse.

E’ un tipico borgo medioevale dominato dai ruderi del “castello dei vescovi”. Qui visse Francesco Petrarca durante il suo soggiorno francese. A pochi chilometri si erge il Mont Ventoux, che fu scalato dal poeta, e a poche centinaia di metri dal centro cittadino sgorga il fiume Sorgue.

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Su uno sperone calcareo tormentato dall'erosione, le rovine del castello dei vescovi a Fontaine-de-Vaucluse.

La sorgente è in realtà una risorgiva dovuta alla natura carsica del terreno: un laghetto di acque verdissime e trasparenti circondato da alte pareti strapiombanti. Queste sono le “chiare, fresche e dolci acque” di cui parla il poeta, quelle “ove le belle membra pose colei che sola a me par donna”, riferendosi all’amata Laura nella canzone numero 126 del suo Canzoniere.

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Il laghetto formato dalle acque sorgive.

Durante l’estate la sorgente diventa la più grande sorgente di Francia e la quinta al mondo come portata d’acqua. Lo specchio d’acqua ha origine da un sifone profondo centinaia di metri (esplorato con un batiscafo solo in tempi recenti), che costituisce l’unico punto di uscita di un enorme bacino sotterraneo (1100 chilometri quadrati!) nel quale confluiscono le acque del Mont Ventoux, dei monti di Vaucluse e della montagna di Lure.

Fotografia dell'Alta Provenza

Qui inizia il corso del fiume Sorgue.

La sorgente dà origine al fiume Sorgue, che dopo una trentina di chilometri va a gettarsi nel Rodano. Le sue piene sono spesso improvvise e impressionanti.

Il breve tragitto pedonale tra il centro del villaggio e la sorgente è fiancheggiato da bancarelle che vendono prodotti tipici, da mulini da carta (qui la carta a mano è fabbricata con gli stessi metodi usati nel Rinascimento), da ristoranti tipici. In uno di questi abbiamo avuto modo di gustare gli spaghetti conditi con il “pistou”, il tipico pesto provenzale. In realtà la salsa è diversa da quella tipica genovese, dato che mancano i pinoli e il formaggio è facoltativo. Anche la consistenza è diversa: non si tratta di una salsa omogenea come quella ligure, ma di basilico e aglio tritati piuttosto grossolanamente e legati con olio d’oliva. In ogni caso la sensazione è quella di un condimento fresco e tipicamente estivo. Devo inoltre ammettere che quello di Fontaine-de-Vaucluse è stato il miglior pistou che io abbia mai avuto occasione di gustare. L’unico effetto collaterale è stato un alito all’aglio che mi ha accompagnato per due giorni, costringendomi a riparare la bocca con la mano o a voltare la testa ogni volta che dovevo parlare con qualcuno!

Lasciata nel primo pomeriggio la sorgente di petrarchesca memoria, ci dirigiamo verso l’abbazia di Sénanque. In linea d’aria sarebbero pochi chilometri, ma la conformazione del terreno ci costringe ad aggirare verso nord i rilievi, per raggiungere Venasque e nuovamente piegare a sud, lungo una stretta strada di montagna, fino all’abbazia. In totale, una ventina di chilometri. Questa volta decidiamo (coscientemente) di non seguire l’itinerario consigliato, che percorre le strade dipartimentali, ma di percorrere stradine secondarie che salgono di quota e ci portano ad attraversare boschi di pini e distese di ulivi, tra modeste casupole in pietra a secco e sontuose ville che chissà chi si è fatto costruire in mezzo a questa specie di deserto verde. A La Roque-sur-Pernes, minuscolo villaggio arroccato in cima a un’altura rocciosa, decido di chiedere informazioni per raggiungere la route départementale. Ma il villaggio sembra deserto, come sonnacchioso sotto il sole del pomeriggio. In tutto il paese incontro soltanto due uomini, che sullo spiazzo all’ombra della chiesa si dedicano al passatempo preferito nel Midi: il gioco delle bocce. Chiedo informazioni in francese e mi sento rispondere in puro occitano: “Virade rèira, apuèi a man drecha!” (tornate indietro, poi girate a destra). Non capisco se lo fanno per farmi dispetto o se davvero non parlano francese (ma ne dubito fortemente). Evidentemente mi hanno scambiato per un turista della città che si è perso tra le montagne e vogliono divertirsi un po’. Peccato per loro che
1. Sono piemontese;
2. Nel Piemonte meridionale si parla occitano quanto e più che in Francia;
3. Conosco le parlate della mia regione non solo per esserci nato ma anche perché ho una laurea in dialettologia.
Al che rispondo, con impeccabile accento locale, “Grandmercé e adieussiatz!” (grazie mille e buona giornata), il che li lascia a bocca aperta, con la sigaretta pendula fra le labbra e la boccia in mano.

Fotografia dell'Alta Provenza

La chiesa dell'abbazia di Sénanque.

Da Venasque all’abbazia la strada percorre paesaggi scolpiti nel calcare e nel terreno carsico, tra colline selvagge e gole rocciose.

La cosa strana di questi posti è che per strada non incontri nessuno, poi quando arrivi in un luogo turistico ci trovi il mondo. Così è per l’abbazia di Sénanque: dopo venti chilometri durante i quali non abbiamo incontrato anima viva, se non qualche trattore, arriviamo sullo spiazzo dell’abbazia e facciamo fatica a trovare un parcheggio tra autobus tedeschi, auto italiane, intere parrocchie in pellegrinaggio guidate dalla solita animatrice con ombrellino rosso brandito a mo’ di alabarda.

Il luogo è di una bellezza sorprendente. Annidata sul fondo di un vallone, circondata da campi di lavanda, l’abbazia rappresenta uno degli esempi meglio conservati di architettura cistercense del primo periodo. La vita dei monaci si basa su tre principi irrinunciabili: l’ufficio liturgico, la lectio divina, il lavoro.

L’abbazia concede ospitalità a chi (purché maschio e superiore ai 18 anni di età) desideri trascorrere una settimana di tranquilla meditazione, condividendo la vita dei monaci.

Purtroppo dobbiamo rinunciare alla visita del monastero: l’intero percorso è guidato, è in francese ed esige che i visitatori osservino il più assoluto silenzio. Non posso pretendere che un bambino di otto anni stia zitto per un’ora, oltretutto senza capire nulla di ciò che gli viene spiegato.

Visitiamo però la chiesa, spoglia e severa come spesso avviene in Francia, e la libreria con annesso negozio di souvenir. Qui i collaboratori dell’abbazia vendono prodotti realizzati all’interno della comunità: olio, birra, liquori e prodotti salutistici a base di erbe, oltre all’immancabile sapone e all’immancabile lavanda in sacchetti.

Purtroppo il campo di lavanda prospiciente la chiesa è spoglio e incolto: evidentemente la lavanda è già stata raccolta, il che ci impedisce di scattare la tipica foto che compare su tutte le guide e su tutti i siti che parlano dell’abbazia.

Fotografia dell'Alta Provenza

L'abbazia nel sole del pomeriggio.

Da Venasque a Roussillon corrono 26 chilometri di strada dipartimentale. Roussillon deve il suo nome ai giacimenti di ocra rossa che la circondano e che hanno valso alla regione il soprannome di “Colorado provenzale”. Le stesse case dell’abitato sono realizzate in questo materiale e – a seconda dell’ora del giorno – assumono colorazioni vivaci sotto il sole del Midi.

Fotografia dell'Alta Provenza    Fotografia dell'Alta Provenza

A sinistra, un campo di lavanda lungo la strada per Roussillon. A destra, Le ocre di Roussillon nel sole del tardo pomeriggio.

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La piazza con le facciate colorate in ocra rossa e un vicolo a Roussillon.

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La piazza e una finestra dove l'azzurro delle ante in legno contrasta con i toni ocra della facciata.

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A Roussillon, una bottega artigianale.

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Ristorante tipico, ombreggiato da un pergolato d'uva.

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Roussillon: l'abitato.

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Le crete di Roussillon e panorama sulla campagna circostante.

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Lavanda blu, crete rosse e pini verdi.

26 giugno

Sabato. Giorno di mercato a Manosque. Questa volta ci andiamo in autostrada: il programma della giornata è intenso e non vogliamo perdere tempo. Le guide turistiche parlano di “mercato provenzale”. Conoscendo bene i mercati del Midi, profumati di erbe e di sole, di lavanda e olive, variopinti di saponi colorati, pregusto già il piacere di immergermi in quell’atmosfera gaia e chiassosa che ritrovo sempre con piacere.

Parcheggiamo senza problemi a pochi passi dal centro storico, entriamo dalla Porte de la Saunerie (la medioevale “porta del sapone”) e ci avviamo verso il mercato.

La delusione è proporzionale all’aspettativa. Tra banchetti di verdura, borse taroccate, abiti dozzinali e paccottiglia varia (tra cui due confezioni di pile a stilo acquistate per alimentare la compatta di Federico e subito buttate nel cestino perché esaurite) sembra di essere in un qualunque mercato rionale, ma di quelli scadenti, quali si trovano in certi quartieri degradati delle nostre periferie.

Lasciamo Manosque, decisi a visitare luoghi più ameni e caratteristici: i “villages perchés”, i villaggi arroccati sulla cima delle colline, iniziando da Reillanne per poi recarci a Vachères, i due più belli, almeno secondo le guide.

Fotografia dell'Alta Provenza

Reillanne. Ruderi al Site Saint-Denis.

Ancora una volta rinunciamo alla strada più diretta e (vagando talvolta con un po’ di approssimazione) scegliamo le solite stradine secondarie, tra mulini a vento, vigne, grano, con lo sfondo delle colline illuminate dal sole.

A Reillanne sembra non esserci anima viva, come al solito. La Skoda Octavia fatica a passare nelle strette vie del paese, ripide e piene di svolte improvvise dietro le quali una cancellata, un muretto a secco o un’aiuola mi costringono a manovrare per evitare serie modifiche alla carrozzeria.

Questi villaggi fra le montagne del Luberon rappresentano il soggiorno estivo (o del fine settimana) per chi abita nei centri della pianura. Molte abitazioni sono in realtà seconde case e non mi stupisce la scarsità di animazione. Ma qui non c’è solo scarsa animazione, qui c’è il deserto! Eppure ci sono auto parcheggiate ovunque! Quindi la gente c’è, ma dove sono finiti tutti quanti? Senza indugiare in questi pensieri mi avvio verso il sommo della collina, uno spiazzo panoramico con qualche rovina, i ruderi di una torre e una chiesa dalle porte sprangate. Lo sguardo spazia verso il Luberon e gli altri villaggi arroccati. Sotto di noi boschi e campagne costellate di villette, segno evidente della vocazione turistica di questi luoghi. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, giudicando dalla conformazione e dal relativo isolamento dei luoghi, la popolazione di questi villaggi è in crescita, non solo grazie ai progressi delle tecniche di coltivazione o alla scelta di alcuni cittadini che scelgono di allontanarsi dal traffico e dall’inquinamento, ma anche grazie alle già citate politiche a sostegno delle famiglie e di una qualità della vita elevata anche nei piccoli centri, al punto da non far rimpiangere le comodità delle città più grandi.

Reillanne è dominata dal "Site Saint-Denis": una vasta spianata in cima alla collina dove è possibile ammirare i ruderi di un castello e di un'antica chiesa, oltre a una chiesa più recente risalente alla seconda metà dell'Ottocento. Nel terzo secolo dopo Cristo gli abitanti di stirpe celto-ligure, ormai da tempo romanizzati, che vivevano intorno alla Via Domitia subirono le invasioni di burgundi e visigoti e furono costretti ad abbandonare i campi per rifugiarsi sulle alture. Questa fu probabilmente l'origine dei "villages perchées" e di siti fortificati come quello di Saint-Denis.

Fotografia dell'Alta Provenza

Reillanne. Case e paesaggio.

E’ l’una passata e decidiamo di cercare un posto per mangiare. Un piccolo ristorante molto, ma molto rustico ci sembra offrire cibi commestibili. Ci accomodiamo a un tavolo nel vasto dehors esterno, protetto da ombrelloni bianchi, e dopo un’attesa pressoché infinita ci portano quanto richiesto. Peccato che un tavolo accanto al nostro sia occupato dai proprietari di un bouledogue francese, un cane che già di suo non mi piace, non solo per l’aspetto grottesco ma anche per quell’orribile risucchio con il quale respira, povera bestia, a causa della conformazione del muso e della canna nasale corta (mi perdonino i proprietari di bouledogue, ma è questione di gusti, a me piacciono i cani grossi); questo poi era anche incredibilmente sporco, non dico di che cosa, e quel che è peggio continuava a ronzare intorno al nostro tavolo, tentando di sfregarsi contro le nostre gambe, manco fosse un gatto, probabilmente mendicando qualche boccone. Neanche a pensarci che i padroni lo richiamassero, intenti com’erano a chiacchierare amabilmente senza minimamente sospettare che il sudicio botolo potesse infastidire qualcuno.

Fotografia dell'Alta Provenza

Forcalquier. La chiesa di Notre Dame de Provence sulla spianata della cittadella.

La pazienza dei miei familiari è messa a dura prova, e quando propongo di continuare la visita dei “villages perchés”, sperando di trovare qualche posto un po’ meno squallido, ricevo in risposta un rifiuto categorico. Capisco, condivido e contratto una visita a Forcalquier, dove le guide promettono un centro storico con negozi caratteristici e un po’ di artigianato locale.

Le origini della cittadina risalgono, come sempre, all’epoca romana: Forcalquier deriverebbe da “furnus calcarius”, forno da calce. Fu capitale di contea nel medioevo. Di quell’epoca rimangono i resti del castello dei conti, arroccati alla parte meridionale della collina. Il sito, denominato "la citadelle" è oggi una semplice spianata dove sorge la cappella di Notre Dame de Provence (inaugurata nel 1875), in stile neobizantino (qui a sinistra).

Su un lato della collina esiste un “carillon” composto da 15 campane (originariamente erano 20). Il carillon suona tutte le domeniche alle 11,30 e in occasione delle feste principali. Il suo repertorio è costituito da musiche tradizionali della Provenza. Viene suonato manualmente secondo lo stile tradizionale “à coup de poing”.

La fontana gotica risale al 1512. Nel 1912 il bacino originale a pianta ottagonale è stato sostituito dal bacino attuale. La base della fontana è ornata da curiosi bassorilievi.

La porta e il convento dei “cordeliers” ricordano la cintura di corda dei frati francescani.

Fotografia dell'Alta Provenza

Forcalquier. Panorama dalla cittadella.

Fotografia dell'Alta Provenza    Fotografia dell'Alta Provenza

Forcalquier. La piazza con fontana gotica e scorcio della città vecchia.

27 giugno

Domenica e ultimo giorno del viaggio. Decidiamo di dedicare l’intera giornata al viaggio di ritorno, passando a visitare le rinomate Gorges du Verdon, il lungo canyon formato dal fiume Verdon.

Il fiume nasce presso il Col d’Allos, nelle Alpi Marittime, e sfocia nella Durance presso Vinon-sur-Verdon, dopo avere attraversato il grande lago artificiale di Sainte-Croix. Tra Moustiers-Sainte-Marie (presso il lago di Sainte-Croix) e Castellane si estende per 25 chilometri il famoso canyon, considerato uno dei più spettacolari d’Europa e meta costante di canoisti, amanti del rafting e del torrentismo, arrampicatori, motociclisti e ciclisti che percorrono in ogni stagione la “corniche sublime”, l’anello che circonda l’intero canyon snodandosi per un centinaio di chilometri.

Non avendo il tempo di compiere il giro completo decidiamo di percorrere la destra idrografica delle Gorges, da Moustiers-Sainte-Marie (classificato come uno dei più bei villaggi di Francia) a Castellane, fermandoci ogni tanto per fotografare. Lungo questo percorso è situato il “Point Sublime” (il nome dice tutto), da cui si gode la vista forse più spettacolare del canyon.

Vale la pena di citare l'associazione "Les plus beaux villages de France". Nel 1981 al sindaco di Collonge-la-Rouge, Charles Ceyrac, capitò fra le mani un album fotografico, edito da Selezione dal Reader's Digest, sui villaggi più caratteristici della Francia. Fu così che Ceyrac ebbe l'idea di unire persone e risorse per proteggere e promuovere il patrimonio culturale e artistico della nazione, incrementando il turismo e offrendo così un'alternativa all'abbandono delle campagne. Sessantasei sindaci aderirono all'iniziativa e il 6 marzo 1982 l'associazione ebbe il suo atto di fondazione. Oggi conta 154 villaggi. Evitando la museificazione o - all'opposto - la trasformazione dei villaggi in parchi di divertimenti, l'associazione intende conciliare la salvaguardia del patrimonio con lo sviluppo sostenibile.

Fotografia dell'Alta Provenza

Moustiers-Sainte-Marie, uno dei più bei villaggi di Francia.

Da Moustier ci dirigiamo verso le Gorges. La strada stretta, curvosa e poco protetta (un semplice muretto di poche decine di centimetri separa la rassicurante orizzontalità del nastro d’asfalto dalla verticalità del baratro) ci costringe a moderare l’andatura, spesso provocando il disappunto dei motociclisti che ci sorpassano con stizza nei pochi punti dove questo è possibile. Peggio per loro.

Purtroppo le piazzuole dove è possibile fermarsi sono poche e già occupate da altre auto parcheggiate, quando non da ingombrantissimi autobus turistici. Facciamo quello che possiamo per scattare fotografie salvaguardando al tempo stesso la nostra sicurezza.

Fotografia dell'Alta Provenza

Verso le Gorges, le montagne del Verdon.

Dopo qualche chilometro la strada abbandona il bordo del canyon per inoltrarsi verso l’interno. Dopo La-Palud-sur-Verdon ritorna verso il fiume e nei pressi di Rougon raggiunge il Point Sublime.

Ci arriviamo a mezzogiorno. Riusciamo miracolosamente a parcheggiare all’ombra e percorriamo a piedi i circa 300 metri di pietraia assolata che ci separano dal terrazzino panoramico. Lo spettacolo è grandioso. Il paesaggio ha un che di preistorico e selvaggio che affascina e quasi intimorisce.

Fotografia dell'Alta Provenza

Panoramica del canyon da Point Sublime.

Fotografia dell'Alta Provenza    Fotografia dell'Alta Provenza

A sinistra, ancora il canyon da Point Sublime. A destra, il Verdon da un ponte.

Fotografia dell'Alta Provenza

Sulle rive del fiume.

Fotografia dell'Alta Provenza

Dallo stesso punto, una ripresa panoramica: otto scatti parzialmente sovrapposti riuniti in postproduzione.

Poco più avanti la strada scende rapidamente verso il fiume: ne approfittiamo per una sosta rinfrescante nei pressi di un vecchio ponte in muratura.

Poco prima di giungere a Castellane ci fermiamo per mangiare. Il Relais des Gorges du Verdon, in località Chasteuil, è frequentato da motociclisti di passaggio, oltre che dagli ospiti del prospiciente campeggio. Oltre a specialità locali addomesticate per i turisti e alle immancabili insalate, il ristorante offre discrete pizze cotte nel forno a legna.

Per tornare verso Torino l’itinerario viamichelin consiglia di scendere a Grasse, raggiungere la costa e l’autostrada litoranea (A8) nei pressi di Antibes, entrare in territorio italiano a Ventimiglia e di qui percorrere la A10 fino a Savona e allo svincolo per la A6 Savona-Torino.

Ma è domenica, e che domenica! E’ l’ultimo giorno del lungo ponte di San Giovanni, iniziato lo scorso giovedì. Ora, San Giovanni è patrono non soltanto di Torino, ma anche di Genova. Ciò significa che sulla A10 avremmo incontrato il traffico dei torinesi e dei genovesi di ritorno dalle località del Ponente ligure (meta tradizionale soprattutto dei torinesi in questo periodo dell’anno).

Per evitare infinite code autostradali decidiamo di tornare percorrendo la strada del nord, ritornando cioè verso Briançon per rientrare a Torino dalla valle di Susa. Per raggiungere Barcelonnette e di qui il lago di Serre-Ponçon si può tornare verso la Valle della Durance, raggiungendo Sisteron e poi piegando a nord-est, oppure tirare diritto (si fa per dire) lungo la D908, superare il Col d’Allos e scendere nella valle dell’Ubaye, nel Parco del Mercantour. Scegliamo la seconda strada, non solo per evitare di percorrere due lati di un triangolo, ma anche per la maggiore spettacolarità del paesaggio che avremmo attraversato. Dopo lo splendido lago di Castillon (anche lui artificiale ma comunque suggestivo) raggiungiamo Saint-André-les-Alpes lungo la D955 e la D202. Di qui risaliamo la valle del Verdon fino a Colmars e Allos. La strada è stretta, ripida e curvosa, il che è logico, dal momento che deve raggiungere un valico (il Col d’Allos) posto a 2247 metri di altitudine.

Fotografia dell'Alta Provenza

Il lago di Castillon.

Quello che – come sempre – ci stupisce è trovare cittadine ordinate e perfettamente organizzate dopo decine di chilometri di nulla. Allos è una stazione sciistica importante con condomini, alberghi, strutture ricettive e ristoranti. In estate, offre un soggiorno in alta quota con possibilità di escursioni e scalate. Eppure noi italiani la giudicheremmo lontana e isolata rispetto alle grandi città della pianura. E’ vero che può essere raggiunta anche da Barcelonnette attraverso il Col d’Allos, ma da novembre a maggio (quindi durante la stagione sciistica) il valico non è transitabile a causa della neve. Decisamente i francesi sono disposti molto più di noi a lunghi spostamenti.

Da Allos al colle la strada si fa ancora più stretta e occorre procedere con prudenza soprattutto quando si incrociano altre vetture. Sono ovviamente abituato a guidare in montagna, ma le nostre strade di alta quota sono generalmente più larghe e soprattutto più protette di questa!

La situazione non migliora nemmeno dopo avere valicato il colle: la strada richiede attenzione e velocità moderata fino alla congiunzione con la D902, pochi chilometri prima di Barcelonnette. In totale 31 chilometri percorsi in poco più di un’ora. Una gran perdita di tempo compensata da una serie di panorami mozzafiato: scendendo dal colle verso la valle dell’Ubaye siamo sicuri di scorgere, verso nord, avvolto nella foschia ma ben visibile, il massiccio degli Ecrins, con la Barre des Ecrins (il quattromila più meridionale delle Alpi) e il Pelvoux.

Da Barcelonnette torniamo verso Savines-le-Lac con la D900, e poi con l’interminabile D954, che invece di costeggiare il lago di Serre-Ponçon come sarebbe logico, risale i fianchi della montagna fino a quota 1010 metri, per poi ridiscendere finalmente verso Savines. A metà strada abbiamo modo di ammirare le “Demoiselles coiffées”, curiose formazioni geologiche dovute all’erosione di strati diversi di terreno e somiglianti a grossi funghi di calcare (o a “signorine con l’acconciatura”, appunto).

Fotografia dell'Alta Provenza

Le "demoiselles coiffées".

Da Savines a Briançon e di qui a Torino il viaggio è senza storia.

Un viaggio forse più lungo e intricato di quanto avevamo programmato, ma non ci dispiace, alla fine, avere talvolta sbagliato strada, o avere altre volte valutato troppo ottimisticamente le distanze, perché ogni deviazione ci ha permesso di scoprire angoli di natura selvaggia, paesini medioevali, la bellezza nascosta del paesaggio.