Michele Vacchiano Cultural Photography

Il grande formato e il digitale

Bene. Dopo alcuni anni di comprensibile, normale, fisiologica isteria il mercato si è finalmente assestato. Il digitale ha trovato una sua importante, solida collocazione sia in ambito amatoriale che in ambito professionale.
Ormai sappiamo che cosa vogliamo e come lo vogliamo e le proposte delle case produttrici si stanno gradatamente adeguando alle nostre richieste. Certo, ci sono e ci saranno sempre (del resto ci sono sempre stati) i gadget tanto divertenti quanto inutili, le macchine fotografiche che cambiano colore, che inclinano le foto diritte, che suonano “E lui è un bravo ragazzo” se la foto è riuscita e che fanno perdere l’attimo decisivo per la lentezza dell’autofocus e del famigerato quanto inutile dispositivo anti-occhi rossi.
Ma questo è un mercato destinato a un pubblico che considera la fotografia come strumento secondario per ottenere altre cose, come il ricordo (pazienza se sfocato, sgranato, storto e sovraesposto) della serata sulla spiaggia.

I fotografi (amatori o professionisti poco importa e ho sempre detto che non mi fa differenza) hanno le idee chiare, sanno che cosa vogliono e mi sembra che lo stiano ottenendo.

E adesso, dopo questa lunga premessa solo apparentemente fuori tema, parliamo di grande formato e digitale.

Innanzitutto il panorama del mercato.

I dorsi a scansione

La Better Light, Inc. fu fondata nel 1992 da Michael Collette, un design engineer esperto in strumentazioni elettroniche.  Il suo scopo era quello di produrre dorsi digitali di elevate prestazioni, destinati in special modo ad un utilizzo scientifico, commerciale, industriale e al mondo della reprografia. Nel 1993 fu sviluppato il primo dorso a scansione, dotato di un sensore CCD Kodak trilineare. Il sensore era dotato di tre file di pixel, ciascuna dotata di un filtro rispettivamente rosso, verde e blu. Il dorso poteva essere inserito in una fotocamera 4×5” come un normale châssis (fig. 58). Fino al 1999 i dorsi prodotti dalla Better Light furono commercializzati da Dicomed.

Oggi i dorsi Better Light sono prodotti in diversi modelli, il più performante dei quali raggiunge la risoluzione di 1,1 Giga (12000×15990 pixel).
La qualità di acquisizione è superiore a quella di una pellicola piana 8×10” per quanto concerne la resa dei particolari e la definizione generale dell’immagine.
Ad esempio, nel sensore che equipaggia il modello da 8000 pixel la larghezza di ogni singolo pixel è pari a 9 micron ed ha una risoluzione limite di 55 coppie di linee per millimetro.
Il limite di risoluzione di una pellicola raggiunge – è vero – le 80 coppie di linee per millimetro, ma bisogna anche fare i conti con l’obiettivo in uso, il cui potere risolvente è tale da abbattere drasticamente questo valore. Inoltre – contrariamente alla pellicola, che può presentare lievi (ma talvolta significative) alterazioni della planeità all’interno dello châssis – il sensore trilineare scorre lungo una traiettoria assolutamente uniforme e perfettamente coincidente con il piano focale. Il movimento del sensore trilineare fa sì che ogni singolo pixel riceva esclusivamente luce blu, verde o rossa, senza interpolazione e senza creazione di artefatti. Il “moiré” che affligge le immagini generate dai sensori ad acquisizione è di fatto assente.
L’area di acquisizione è pari a 72×96 millimetri (120mm la diagonale), più piccola di una lastra 4×5” ma non tanto piccola da sconsigliare l’uso dei tradizionali obiettivi per il grande formato. L’unica limitazione è la variazione dell’angolo di campo inquadrato dovuta alla ridotta superficie di acquisizione, che rende problematiche le inquadrature grandangolari.

La caratteristica principale dei dorsi Better Light – e cioè l’acquisizione mediante scansione, che ne determina la superiorità indiscussa in termini qualitativi – costituisce anche il loro principale limite. Questi dorsi possono essere utilizzati esclusivamente per la ripresa di soggetti statici illuminati da luce continua.
Il costo, adeguato alle prestazioni, varia a seconda dei modelli. Il più costoso (circa 23000 dollari alla data di redazionedel presente articolo) non è significativamente diverso da quello di un dorso digitale di medio formato prodotto da Hasselblad o Phase One.

I dorsi per il medio formato

Pur se meno vivace – com’è facilmente comprensibile – del mercato delle reflex digitali di piccolo formato, anche il mercato dei dorsi digitali di medio formato segue una sua evoluzione. Parlarne in termini generali non è facile, dato che nel settore le novità si susseguono con una certa rapidità. Allo stato attuale della tecnologia i dorsi digitali destinati al medio formato utilizzano sensori di dimensioni diverse, fino ai 53,9×40,4 millimetri del Phase One IQ 180 (80 milioni di pixel).
I dorsi prodotti e distribuiti con diversi nomi commerciali (Leaf, Phase One, Hasselblad, Sinar ecc.) possono essere montati su fotocamere di medio formato come normali magazzini portapellicola, oppure sul grande formato mediante appositi adattatori.

Ma qui nascono i guai. Le piccole dimensioni dell’area di acquisizione (piccole, ovviamente, in relazione alle dimensioni della pellicola piana) rendono problematico l’uso degli obiettivi grandangolari, ma soprattutto rivelano come siano inutilmente sovradimensionati i tradizionali apparecchi di grande formato, soprattutto per limitazioni dovute al minore tiraggio richiesto da un fotogramma più piccolo. I quaranta millimetri di distanza minima tra le standarte di una Sinar P2 equipaggiata con soffietto standard impediscono, di fatto, l’utilizzo di molti obiettivi destinati alla fotografia digitale, come ad esempio il Rodenstock Apo-Sironar Digital 35mm f/4,5, appositamente progettato per essere usato come grandangolare nella fotografia con dorsi digitali.
Per questo motivo case come Linhof, Silvestri e Sinar hanno progettato apparecchi a corpi mobili di piccole dimensioni e dal tiraggio ridotto, espressamente dedicati alla ripresa in digitale con dorsi di medio formato.

A tutto questo si aggiunge un problema relativo al potere risolvente, che merita qualche parola di spiegazione.
A mano a mano che le dimensioni del negativo aumentano, la necessità di ingrandirlo in fase di stampa diminuisce in proporzione.
Pertanto il puro e semplice potere risolvente (ossessivamente perseguito dai cultori del piccolo formato) perde gradatamente importanza nei formati maggiori.
Dato il limite di risoluzione dell’occhio umano, un obiettivo che risolva 80 linee per millimetro (comprensibile quando il fotogramma debba essere ingrandito decine di volte) si rivela perfettamente inutile quando il fattore di ingrandimento non sia superiore a quattro. Pertanto adoperare un obiettivo su un formato più piccolo di quello per cui esso è stato progettato rischia di generare immagini scadenti a causa di un potere risolvente inferiore a quello che avrebbe un obiettivo progettato per il formato che si sta usando.
Insomma, per restare in un campo noto al fotoamatore, chi monta sulle reflex 35 mm gli obiettivi per il medio formato, nell’illusione di migliorare la qualità delle proprie immagini, rischia di commettere un errore madornale.
Da tutto questo consegue che la risoluzione offerta da un obiettivo progettato per il formato 4×5” potrebbe non rivelarsi sufficiente per un formato inferiore, dal momento che il fotogramma (analogico o digitale non fa differenza) dovrà essere sottoposto a un fattore di ingrandimento maggiore. Infine, non bisogna tralasciare che la risposta del sensore al trasferimento della modulazione è sensibilmente diversa da quella della pellicola. Di questo occorre tenere conto nella progettazione degli obiettivi.

La risposta a questi problemi è stata – da parte dei principali produttori (Schneider e Rodenstock) – la realizzazione di obiettivi appositamente destinati al digitale e caratterizzati da una progettazione ottica capace di far fronte alle oggettive differenze tra sensore e pellicola (addirittura si tiene conto della presenza e dello spessore del vetro protettivo applicato davanti al sensore CCD), oltre che da un più elevato potere risolvente e da lunghezze focali adeguate al ridotto formato delle superfici di acquisizione.

Il futuro

Ovviamente non è possibile prevedere – se non con larga approssimazione – quali potranno essere le prossime l’evoluzione della tecnologia in questo campo. Il sogno accarezzato dai “grandeformatisti” di un dorso digitale grande quanto una pellicola piana 4×5” resterà sicuramente un sogno.

Quindi, che fare?

Nell’ambiente regna ancora una certa confusione, ma la tendenza attuale è improntata a una prudente attesa. A chi non vuole rinunciare al grande formato non resta altro da fare se non continuare a scattare su pellicola, per poi scandire diapositive e negativi se il cliente richiede il file digitale. Ottenendo, tra l’altro, scansioni di tutto rispetto. Un dorso digitale da 80 Megapixel come l’IQ 180 di Phase One genera un file di 10328×7760 pixel, che dimensionati a 300 dpi (risoluzione media per la stampa) generano un’immagine di circa 87×66 centimetri (se la si vuole stampare senza alcuna interpolazione).
Una pellicola piana 4×5”, scandita a 4800 dpi, genera un’immagine di 24000×19200 pixel, che dimensionata a 300 dpi consente – senza interpolare – una stampa di 203×163 centimetri. Un metro e mezzo per due! Poi ovviamente tutto dipende dalla qualità del negativo di partenza e dalle prestazioni dello scanner, ma a un livello puramente teorico sembra – almeno per ora – che la pellicola abbia ancora da dire la sua (finché dura).

Michele Vacchiano © maggio 2012

Gallery

Dorso a scansione Betterlight Super 10K-2  Un'immagine del dorso Betterlight in cui è visibile la spazzola dello scanner (cortesia Betterlight www.betterlight.com).  La Silvestri S5 Micron.  La Linhof M679cs, anch'essa equipaggiata con scamotaggio su cui appare montato il dorso digitale Phase One P45 da 39 Megapixel (cortesia Linhof www.linhof.de).  La Sinar P3 deriva dalla supercollaudata P2, con la differenza che è decisamente più piccola, essendo progettata per lavorare con dorsi digitali ad acquisizione. Tutti i movimenti sono regolati da manopole micrometriche (cortesia Sinar www.sinar.ch).